LA GRANDE BELLEZZA di Paolo Sorrentino (2013) La glande bellezza

In breve, c'è poco da dire. Dopo 50 minuti piuttosto che prendere e lanciare il dvd dalla finestra ho deciso mestamente e più pragmaticamente di stoppare la visione di quest'opera filmica. Non ce la facevo, non ce l'ho fatta, non volevo farcela. Ho resistito 50 minuti solo perché Sorrentino mi piace (tra l'altro ho adorato ed odorato il suo precedente This Must Be the Place anche se inizio a credere di aver sbagliato tutto) ma alla fine quello che potrebbe essere aristotelicamente riassunto come un'affezione per sé della quantità ha saturato la mia pazienza. All'ennesima sviolinata registica, all'ennesima frasetta da contrappunto ho mollato la presa. Non mi andava più di assistere a questa esibizione, a questa sorta di tignoso cinepanettone per specialisti. Ho lasciato quindi passare un mese, il mese di novembre tra l'altro. Ho pensato che sì, ora, in quel di dicembre, potevo riprendere la visione del film. Pellicola della quale tra l'altro mi stavo completamente dimenticando non fosse per la notizia dei riconoscimenti in quel degli European Film Awards. Potevo tornare ad immergermi or dunque e ben donde in questo coacervo di qualità e quantità. Ma dopo pochi secondi stavo già sbuffando. Infastidito dal manierismo, da questo palese ed elegante non volere fare il film ma voler fare il Film. Tutto per me cinematograficamente detestabile, giacché così sbattuto in faccia a partire dai volti in seno all'agape di Jep. Quando pensavo che Sorrentino avesse già cagato fuori con l'ennesimo dolly o con l'ennesimo ricamino dialettico eccolo che affonda ulteriormente. Senza pudore. Giuro, quando ad un certo punto ho visto ballonzolare  un prete su un'altalena mi sono messo le mani in faccia, inorridito come il Danny di Shining. Ho aperto uno spiraglio tra le dita e in un incremento orrorifico ecco l'uomo in carrozzella, lasciato solo nel prato. C'è nettamente più originalità e meno esibizionismo nonché meno artificio in Bangerz di Miley Cyrus, giusto per capire. 
8½ oltre ad essere tra i miei film preferiti in assoluto è anche un oggettivo capolavoro. Impossibile imitarlo, giustificato è certo citarlo ma cercare persino di rifarlo è da beoti. Preso da una incontrollata e deludente alterigia Sorrentino si fellinizza per parlarci di... De che? La mondanità festaiola allegoria di un paese che... La vacuità di... Cosa eravamo? Cosa siamo? Dove andiamo? Perché non hai più scritto nulla Jep? La politica, la Chiesa, santi e santoni ed artisti? Cafonal e stracafonal? Bla bla bla, giusto per citare il film stesso. Un vaniloquio di immagini e personaggi, a partire dal protagonista interpretato da un gigionesco ed irritante Servillo, bravissimo attore per carità ma qui perfetto simulacro (in ogni ammiccamento e consequenziale ruga) del ma quanto sono bravo di Sorrentino. Un Servillo al servizio del suo regista e quindi fastidioso quanto lui. E se al top della piramide ci sono regista ed attore anche gli altri comprimari non sono da meno. Curiosamente, ma neanche tanto, si salvano solo Verdone e la Ferilli (divani a parte lei è un'attrice che può dare molto). Tutti gli altri invece sono in preda a continui spasmi, imbrigliati in un'opera pomposa e spompante che dell'umiltà se ne fa un toast. Pompini autoriale in ogni dove. Senza sosta e senza vergogna l'asettica grandezza ricopre ogni centimetro di pellicola con qua e là micidiali colpi di grazia come il già citato prete sull'altalena o come l'incrociare Fanny Ardant per non parlare di pennute apparizioni con alitate scaccia uccelli o mari in una stanza. Il cesellare di Sorrentino qui è insomma all'apogeo. Quando pensi che in quella scena abbia esagerato, raggiunto il suo massimo ecco che ti sorprende con una sequenza ancora peggiore.

Per riuscire a smaltire questo pippone allucinante neanche la sacra birra potrebbe aiutarmi. Ma paradossalmente mi affascinano i pareri (molti) positivi. Qualcuno addirittura parla di capolavoro. Ma di 'sti tempi anche una venuta su una parete a scacchi appare come capolavoro. Merda d'artista o il cesso di Duchamp. Siamo lì, ma in modo diametralmente asincrono. Dicevo? Dicevo.... Mi affascinano i pareri positivi soprattutto quando il mio è agli antipodi. Quelli che per me sono difetti per gli altri sono pregi, quello che per me è una esposizione marmorea di un fallo venoso per altri è una lucida e spietata analisi di... Vi è una interessante commutazione ove, nel mio caso, il capolavoro o il gran film diviene, come direbbe Flaubert, un pessimo esempio di un ottimo esempio. Jep Gambardella, anche la fonetica è così blanda nel suo essere ricercata. E anche e soprattutto il teorizzato surrealismo è mera macchietta nonché estetica stocazziana. Film fastidiosamente scialbo e men che mai universale. E la cosa forse peggiore è il celato moralismo di sorta. Non esplicito ma appuntato. Senza un minimo di coraggio quindi. Nelle pseudo o illusorie bruttezze decagate dal film la questione peggiore è proprio il voler indicizzarle; quello stare a distanza. La bruttezza più ricamata non è il contenuto ma la forma. Non è quello che indichi ma il tuo stesso dito. Un noi fasullo e prettamente estetico ed asettico quello inquadrato da Sorrentino. Un noi che banalmente e anche volgarmente diviene un suo Lui. Immeritato Oscar 2014 come Miglior film straniero; Il sospetto di Thomas Vinterberg avrebbe meritato di gran lunga la vittoria, altro che ‘sta sontuosa cosa autoreferenziale.

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