STAR WARS: EPISODIO IV - UNA NUOVA SPERANZA di George Lucas (1977) La matrice dello sforzo


Facciamo un piccolo salto indietro nel tempo. Sorvoliamo ogni algoritmo decennale fino ad arrivare al 1977. Caspita, il 1977. Ne sono successe di cose quell’anno. Innanzitutto sono nato io. Non ho molti ricordi di quel giorno, forse sono nato sbronzo. Ma ormai è davvero troppo difficile scoprirlo con adamantina sicumera. Bisognerebbe anche recuperare i cocci della distanza geografica che mi distanzia dal mio luogo di fuoriuscita giacché in linea di massima sono nato a circa 12190.4293 chilometri da dove ora sto scrivendo. Oltre all’evento epocale della mia nascita, nel 1977 sono avvenute anche altre cose. Tipo? Eh eh, tipo... Tipo l’uscita in tutti i cinema terrestri di Guerre Stellari! Un film che ha cambiato la vita di molti non cambiandola per niente. Nel senso che le cose hanno continuato ad essere, a livello pratico e razionale, come sempre. La Forza non ci è venuta incontro nei momenti difficili e non è mai apparso un R2-D2 a guardarci le spalle o a tirarci fuori dai pasticci. Tuttavia un piccolo cambiamento è avvenuto a livello immaginifico, in quella zona-bimbo che ci salva dalla tragedia totale. Guerre Stellari ha coccolato il nostro bisogno di uscire fuori dalla realtà e lo ha fatto a tal punto che anche oggi (in età cimiteriale) la vista di una spada laser ci rincoglionisce. A tal proposito, l’ultima volta che ne ho vista una ero in un supermercato in quel di Cordoba. Io e il simpatico uomo che era con me non abbiam potuto fare a meno di prender mano alle armi per iniziare così un mini duello. Un sudamericano e un rumeno che in un supermercato spagnolo si mettono a giocare agli Jedi. Sì, Guerre Stellari ha decisamente cambiato una piccola parte delle nostre vite e lo ha fatto perché – come direbbe l’Aristotele de la Poetica – è un film ben costruito, è un film dove il racconto è cotto a puntino. Una nuova speranza segue una struttura semplice, così elementare da andar bene per un bambino delle elementari: c’è l’eroe, ci sono i cattivi, c’è la principessa da salvare, ci sono i robot simpatici e ci sono tante belle navi spaziali che sparano cose spaziali. Apparentemente è un film di una spudorata ingenuità. Eppure è diventato un classico, ossia non solo è sopravvissuto nel tempo ma continua ad esercitare la sua… forza nel presente. Un qualcosa quindi deve pur avere e per quanto mi riguarda quel qualcosa è dovuta al fatto che Guerre Stellari, la vecchia trilogia, ha nutrito il mio cervello di bambino. Cosa questa che, ad ascoltare le parole di Lucas[1], era negli intenti del suo ideatore. Il buon George aveva realizzato che i bimbetti di allora non avevano nulla che accompagnasse la loro vita di fantasia. Non c’erano i western, non c’erano i pirati, non c’era un’idea concreta di avventura. Per Lucas sarebbe stato culturalmente distruttivo ritrovarsi con un’intera generazione a secco di avventure da addentare. “I realized a more destructive element in the culture would be a whole generation of kids growing up without that thing”. E quindi ecco pronta una nuova e fresca avventurina che nonno George, seduto vicino a noi, nel lettone morbidoso, inizia a raccontare così: “Tanto, tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana...”. 
Quanta dolcezza. Peccato che, a suo dire, Star Wars è circa il 25% di quello che lui avrebbe voluto. Non tutte le ciambelle vengono col buco, figurarsi poi quelle spaziali. Ad ogni modo il tavolo con gli ingredienti è stato bello che apparecchiato: le avventure esotiche alla Edgar Rice Burroughs (il creatore di Tarzan), un’idea di esplorazione dello spazio alla Buck Rogers (del quale rimembro in modo un filino perturbante il robot Twiki), il fondamentale Flash Gordon di Alex Raymond, il concetto di potere personale partorito da Castaneda nonché la passione per le gare automobilistiche di George Lucas. Ecco quindi The Star Wars, ossia un abbozzo di tredici pagine che un giovane Lucas consegna nelle mani del suo agente, Jeff Berg. Berg si dà subito da fare ma pare che nessuno studio fosse interessato a spendere 25 mila dollari per investire su una sceneggiatura. Sconfortato dall’idea di non riuscir a portare alla luce il suo simpatico progetto, Lucas si deprime in solitudine. Nei momenti di maggior pena passa il tempo a tagliuzzarsi i capelli davanti alla sua scrivania[2]. Taglia e ritaglia ecco tornare alla mente di George un nome: Ralph McQuarrie[3]. Aveva avuto modo di vedere qualche suo disegno e ne era rimasto molto impressionato, a tal punto da dirgli “Sto pensando ad un film ambientato nello spazio…”. Solo che poi non se n’era fatto niente e Lucas aveva fatto American Graffiti. Qualche anno dopo in casa McQuarrie arriva una telefonata, dall’altra parte del filo c’è Lucas che, con ancora qualche ciuffetto di capelli tra le dita, domanda: “Sei ancora interessato a fare qualcosa per quel film ambientato nello spazio?”. Senza Ralph McQuarrie forse avremmo avuto Star Wars ma di sicuro non avremmo avuto Star Wars. Grazie alle suggestive tavole di McQuarrie, Lucas riuscì a catturare l’attenzione della 20th Century Fox. “Ho iniziato con piccoli schizzi a matita”, dice McQuarrie che poi ha finito per trasformare quegli schizzi in R2-D2, C-3PO, Chewbacca, gli Stormtrooper, Darth Vader e compagnia cantante. E a proposito di Darth Vader, Lucas aveva suggerito un aspetto da guerriero giapponese con un bel casco in testa ma McQuarrie leggendo lo script aveva ben pensato che dovendo svolazzare nello spazio, sarebbe forse stato più a d’uopo donare a Vader una qualche tuta spaziale. E allora Lucas aveva rilanciato con un “Bene, bene, dagli una sorta di apparecchio per la respirazione”. Lucas aveva ormai dato decisamente avvio alla sua avventura spaziale anche se - come noto -  le cose non proseguirono benissimo. 
Innanzitutto a livello di storia si dovette attuare un taglio radicale. Ben più profondo di quelli che Lucas faceva ai suoi ciuffetti. Si dovette iniziare in medias res, senza troppe delucidazione su quello che era successo prima. L’ombra del disastro annunciato aleggiava come un moscone su un mare di merda. I costi si alzavano e le scene si dimezzavano e la principessa Leila tirava su di coca. Un compendio perfetto della disfatta può esser offerto dall’attore Dave Prowse, l’interprete di Darth Vader. Un piccolo sforzo di immaginazione ed eccolo lì tutto austero e minaccioso che percorre i corridoi della nave imperiale. È così concentrato nella sua missione e così praticamente accecato dalla maschera che non si accorge di uno Stormtrooper e ci inciampa sopra. Le milizie al suo seguito vanno  poi, uno dopo l’altro, ad ammucchiarsi in una imbarazzante montagnetta umana. Tutti sopra il povero Darth Vader. George or bene se la passa male. Finisce anche in ospedale, la diagnosi è ipertensione, esaurimento nonché diabete da tenere sotto controllo. Basta! Dopo Star Wars George vedeva solo un’unica soluzione: il ritiro. Arrivò poi il giorno della proiezione di prova. Lucas invitò alcuni fidati amici tra cui Spielberg, De Palma e Scorsese. Fu un disastro. Ne uscirono tutti sgomenti, qualcuno dei collaboratori mal celava gli occhi lucidi per la disperazione. De Palma, commentando a pranzo il film e in particolare i capelli di Carrie Fisher disse: “Che diavolo sono? Pasticcini danesi?”, rincarando poi la dose con un commento a proposito di Darth Vader del tipo “Quello è il tuo cattivo? È il meglio che sai fare?”. Il povero Lucas mangiava i suoi spaghetti di soia e in cuor suo sperava almeno di riuscir a coprire le spese. A quel punto Steven  Spielberg si avvicinò all’amico e disse a tutti: “Quel film incasserà cento milioni di dollari. Ha una meravigliosa innocenza e sincerità, proprio come quella di George, e il pubblico lo amerà”. Per confermare questa sua estrema fiducia Spielberg scrisse su un foglio una stima dei guadagni del film e lo mise in una busta aggiungendo che con questo voleva provare che tutti loro si stavano sbagliando. Lucas aprì poi la busta, Spielberg aveva scritto 33 milioni di dollari. Be', anche Spielberg si era sbagliato. Non solo Guerre Stellari arrivò ad incassare oltre 700 milioni di dollari ma divenne una pagina fondamentale della storia del cinema. Parafrasando Marty McFly, penso che ancora non siate pronti per questa musica, ma ai vostri figli piacerà.
Un piacere che trascende i lungimiranti piani di profitto, per quanto questi siano altamente contemplati. Leggenda o meno, la scommessa di Spielberg si esprimeva innanzitutto in termini di moneta e non tanto in termini di numero di spettatori. A tal proposito, il film che per antonomasia ha sancito la fine della New Hollywood è stato proprio Guerre Stellari. Una fine e un nuovo inizio che come viene da alcuni[4] allegramente evidenziato costituisce un bel paradosso. Perché? Perché Lucas era il regista di THX 1138, “un cupo film di fantascienza ucronica”, un film maturo, per un pubblico adulto. Non nel senso che THX è un bel pornazzo di quelli tosti, ma nel senso che il film di Lucas del 1971 vive di angosce, di timori, di allerta per un futuro sociale e politico cupo. Un film di fantascienza che cavalca alla grande l’elemento critico inaugurato da quel filmone assoluto che è 2001: Odissea nello spazio. E poi ecco arrivare un altro film di fantascienza di Lucas, Guerre Stellari, ossia “la negazione pura e semplice” del panorama senescente di cui sopra. Senescenza o espressioni grammaticali a caso tipo prosopopea o cunnilingus, ecco che George Lucas ci fa una pernacchia e ci propina una storia di cavalieri e principesse e di antropomorfe creature pelose, “un film che riporta la fantascienza alla condizione di spettacolo infantile”. Non solo, Lucas aggiunge al prodotto un qualcosa in più. Quel qualcosa in più che porta Guerre Stellari ad essere il vertice della New Hollywood: Guerre Stellari è anche una oculata operazione di merchandising. Nel contratto con la Fox, Lucas sta ben attento a tenersi stretti i diritti sul marchio Star Wars. Il guadagno cinematografico assumeva nuove risorse. Nuove risorse date non solo dal numero di biglietti venduti ma anche dalla produzione di fumetti, giocattoli, tazze per il caffè, bastoncini cotonati per le orecchie, tampax. Cotale prassi fino ad allora era stata intrapresa in modo esemplare solo dalla Disney (sì, proprio quella compagnia che nel 2012 per la modica cifra di 4,05 miliardi di dollari ha acquistato la Lucasfilm), con l’arrivo di Guerre Stellari il marchio intraprende nuove ed entusiasmanti strade e si dà forma ad una “vera rivoluzione nella logica industriale del cinema americano”. In sintesi, nasce il moderno concetto di blockbuster. Alla faccia della regressione infantile del cinema mainstream. Il tutto quindi si può riassumere in una bieca opera commerciale? Direi proprio di no. Come scrive Béla Balázs, “L’atmosfera è certamente l’anima di ogni arte”[5].
Parafrasando Balázs, la storia può magari essere semplice, al limite del banale, ma se ne avvertiamo il profumo e se ne percepiamo il calore la creazione diviene arte. Una vera e propria opera che non si può congedare sbrigativamente appioppandole la colpa del guadagno o archiviando la sua estetica in un discorso di banalizzazione dell’inquadratura soggettiva[6]. Guardare Star Wars è chiosarlo in termini di banalità o di film caotico - paradigma di un appiattimento tipico dei film dei “supereroi” (?!) -  è quanto mai ingloriosamente sbrigativo. Ma in fin dei conti cosa gliene può largamente fottere ad un critico dei Cahiers du Cinéma del fatto che il Millennium Falcon è la nave che ha fatto la rotta di Kessel in meno di 12 parsec? Una beata mazza. Probabilmente neanche ad una casalinga di Treviso, ad un bracciante lucano e ad un pastore abruzzese gliene può fregar di meno. Eppure, eppure forse la cosa dovrebbe interessare. Soprattutto se si pensa che lo stesso Millennium Falcon ha superato le grosse navi corelliane e che è una nave che supera di 0.5 la velocità della luce. Che dire poi di Luke? Caro critico dei Cahiers du Cinéma e cara casalinga di Treviso, sappiate che Luke Skywalker – sì quel biondino lì – colpiva i ratti womp col suo T-16 quanto voi ancora usavate il naso come mezzo di contrabbando. Questo perché Luke è il miglior pilota dei territori esterni. Non parliamo poi di quel covo di feccia e criminalità che è il porto di Mos Eisley. Fino a poco tempo fa nella cantina di Chalmun, un baretto poco raccomandabile ma illuminato dall’ottima musica dei Bith, potevate anche incontrare il giovane Greedo. Un cacciatore di taglie il cui idioma è stato ben pensato dal tecnico del suono Ben Burtt, lo stesso che ha trovato il giusto tono meccanico della voce di Darth Vader (non prima di aver lavorato e scartato 18 tipi di suoni). E dubito fortemente che un pastore abruzzese si sia mai imbattuto in un dianoga, l’insidioso e ciclopico cefalopode. Lucas ha avuto grossi problemi con quella scena e infatti il dianoga lo si vede poco e male. E che dire dei Wookiee? Leggenda vuole che mentre Lucas e l’attore Terry McGovern scorrazzavano allegramente in auto ad un certo punto quest’ultimo guardandosi alle spalle ha sbottato “Penso di essermi imbattuto in un Wookiee”. Al che Lucas si è interrogato su cosa fosse un Wookiee e McGovern gli ha risposto “Non lo so, mi è venuta così” e Lucas ha commentato con un pensieroso “Mi piace questa parola”. Cosa si evince da tutto questo? 
Si evince che Guerre Stellari è nettamente entrato nell’immaginario di molti e si può ben donde comprendere cosa possa costituire a livello emotivo il veder svolazzare il Millennium Falcon o l’udire la voce di R2-D2 o il credere di poter svolazzare felice su un caccia X-wing. È un tornare bambini, nonché un farsi un bagno completo nella melassa nerd. Sguazzando con entusiasmo e scoreggiando con ilarità. Per farla breve, giacché come giustamente suggerisce Cicerone l’oratore elegante è colui che non caga troppo fuori, il primo Guerre Stellari è la più tipica pietra miliare e lo è con merito. Riguardandolo oggi conserva ancora intatto il suo potere, la sua forza. Sì, vi è qualcosina che forse poteva venir meglio (la sonda mentale destinata alla principessa Leila è un sofisticato marchingegno che termina con una normalissima siringa acquistabile in farmacia) ma rimane ed è e sarà il tanto avventuroso primo episodio. Sì, forse L'Impero colpisce ancora è più compatto, più corposo, più cupo ma non si può in tal guisa contestare nulla al primato di Guerre Stellari. Imprescindibile. E comunque e in conclusione, all’interno di questo spaziale spazio nerd, penso possiamo trovarci un po’ tutti concordi con le parole di George Lucas quando dice che sì continueremo a viaggiare nello spazio, sperando però di “avere con noi una spada laser e un Wookiee al nostro fianco”.

[1]http://www.rollingstone.com/movies/news/the-wizard-of-star-wars-20120504
[2] George Lucas – la biografia by John Baxter, passaggi ripresi dal numero di settembre 1999 della rivista Ciak
[3]http://awdsgn.com/classes/fall09/webI/student/trad_mw/mcnamara/rmq/pages/interview.html
[4] Il cinema americano contemporaneo by Alonge & Carluccio
[5] L'uomo visibile by Béla Balázs

[6] L’occhio interminabile by Jacques Aumont

Commenti

Post popolari in questo blog

NYMPHOMANIAC di Lars von Trier (2013) Plateau orgasmico

IL CINEMA D’ISOLAMENTO (cioè , per chiudere, 10 film da vedere... da soli)

LOVE di Gaspar Noé (2015) Pene di pene