DEMOLITION – AMARE E VIVERE di Jean-Marc Vallée (2015) Mazzate d’amore

Ciao, probabilmente non ci conosciamo. Magari sei da queste parti per caso e ora che stai leggendo da questo piccolo e rassicurante schermo incominci a credere di aver sbagliato tutto. Dovei acquistare un altro libro. Be’, io non penso sia così: non hai sbagliato tutto, per dire, non hai preso l’ultima fatica di Fabio Volo. Ti par poco? E io? Non sono un critico cinematografico; lo avrai capito. Non ho opinioni interessanti da elargire. Faccio abbastanza pena in ogni cosa che faccio. Come puoi osservare ho anche difficoltà ad usufruire dei mezzi della moderna tecnica. Avrò impaginato come si deve? Chissà quanti refusi. Che vergogna. Sai, una volta avevo un portatile, quelli con la mela… Si aveva una mela dietro. Non ce l’ho più, l’ho distrutto durante un’orrida sbronza. Pessimo vero? Dall’esterno può apparire una faccenda divertente, cose come questa possono essere viste come uno scacco alla monotonia. No. Non è così, non è divertente. Diciamo che è curioso e spassoso per chi non vive all’interno di codeste dinamiche. Per dire, giusto una settimana fa (o anni fa) sono stato risvegliato per endovena, una minuta e quasi innocente fiala di metadoxil. Vedi? Non sono cose delle quali andar fieri. Per fortuna ho ripescato una nuova mela e ad ogni modo, eccoti in questa sorta di minestra di cinema. Per l’occasione in forma confidenziale ed epistolare. Sì, nulla di che. Tuttavia è funzionale se lo si riesce a leggere. Certo, non è l’epistolario di Cicerone ma non è neanche uno scontrino da ribattere. Diciamo che ci facciamo due chiacchiere: io scrivendo e tu leggendo. Dove sei ora? Su un treno? In aereo? A letto? Ecco, siamo assieme. Complimenti. 
Or bene, il ritorno del canadese Jean-Marc Vallée, dopo l’acclamato Dallas Buyers Club (che a me non aveva fatto impazzire) e dopo Wild (e questo mi era piaciuto di più). Demolition.
In Italia han poi mal pensato di accodarvi un imbarazzante e fuorviante “Amare e Vivere”. Ma perché?! Chi è che ha alzato la manina durante la riunione per dire: “Hey, ragazzi, ce l’ho. Infiliamoci un ulteriore titolo chiarificatore”. Orrendo. Orrore che invece non coinvolge il film giacché, lo dico subito, a me è piaciuto. Sarà perché ho visto qualcosa che capisco nel personaggio interpretato da un (molto figo) bravissimo Jake – come si scrive – Gyllenhaal. 
Il film, lo si vede dalle prime battute, tematizza l’elaborazione del lutto. Davis (cioè Jake), un uomo fico con un lavoro fico e una casa fica. Un uomo che però pare non riuscire a vivere bene ciò che ha dentro. Non uno stoico e in fondo neanche uno stronzo. Vi è forse un principio di anaffettività in Davis?
Si guarda allo specchio e prova a piangere come si deve, ma proprio non ci riesce. L’introspezione deve allora passare per altre strade. A volte un input medicatore (esistite questa parola?)invita al costruire. Fai qualcosa di costruttivo per la tua via. Davis, complice un piccolo problema con un distributore automatico. Decide invece di smontare, di distruggere. Per localizzare il centro del problema, il nocciolo; per guardare in faccia il difetto. In questa sua ricerca (non lontana da quella della Reese Witherspoon di Wild) si imbatte in Karen Moreno (Naomi Watts) e figlio. Poteva qui accendersi un simpatico moto accomodante e gratificante. Un’allegra combriccola di svitati. Gente arrabbiata con il mondo. Per nostra fortuna Vallée non si inoltra in codesti territori. 
A tal proposito mi è capitato di leggere una recensione sul sito Bad Taste, scritta da Gabriele Niola (e chissà se anche Gabriele Niola si è ritrovato a dire “leggevo una recensione di Aldo Magro sul blog del Cavallo”). Leggendola ho vivamente pensato “quest’uomo non ha capito una mazza di Demolition”. Perché? Perché Vallée non ribadisce di continuo quanto sta soffrendo il suo protagonista. Non è così. Il regista canadese non affonda il coltello nelle paturnie. Anzi. Diciamo che certo le affronta, è inevitabile. In un film che parla di lutto, di senescenza, di apparenze, devono esserci immagini di gente che sta un pochetto male. Ma non è come dice Niola, non è un continuo mostrare il malessere che isterilisce il film. Vallée non ci scartavetra le palle con “l’indicibile dolore” del suo protagonista. Nel film c’è per fortuna un certo livello di ironia. Demolition non è “un mare di melassa melensa”. Vallée non cade in questa facile trappola. Anzi, si può dire che per certi aspetti vi è una certa leggera freddezza. Il regista è ben che mai lontano dal fare di Davis Mitchell un eroe. Davis non è un eroe in una società cattiva cattiva, bu bu bu. Davis non è questo caro Niola. Davis non “subisce angelicamente”. Cristo, ma che film hai visto Niola? 
Non è un “impeto di ruffianeria” scrivere lettere di protesta alla società degli snack. A te, Niola, pare una cosa poco credibile? Per me non lo è. Credo di aver fatto anche io cose tipo queste. Ho inviato lettere per contestare. Contestare multe, evasioni, disservizi. Lettere condite allegramente con questioni altre. Alla fine si poteva tranquillamente pensare che fossi pazzo. Alla fine erano meno credibili le mie missive rispetto a quelle di Davis. In lui c’è un gusto più pregnante del raccontare i propri cazzi ad un estraneo. 
Il modo in cui poi si fa avanti il personaggio di Naomi Watts… Mi è piaciuto. Così come mi è piaciuto il primo sguardo a distanza di Chris. E a proposito non di Davis ma di Chris, il giovanissimo attore che lo interpreta (Judah Lewis), è decisamente da tenere d’occhio. 

Insomma, per farla breve, molto breve, Demolition mi è assai piaciuto. Condensa in sé il giusto modo di raccontare il non stare benissimo. Non c’è ruffianeria nel film, non c’è “banalità”. C’è un discorso. Un discorso indubbiamente più sensato del mio di adesso. Non che ci voglia molto tra l’altro. 

Saluti, Aldo.

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