X-FILES 10 Quando la paura faceva Novanta
Il 29 giugno del 1994 io ero tra quelli che han atteso le 22 per guardarsi su Canale 5 la prima puntata di X-Files. Non ricordo se fosse stato annunciato come un evento o semplicemente come una cosa nuova da guardare prima di addormentarsi ma, per quanto mi riguardava, la curiosità vi era così come vi erano molti - troppi – capelli sulla mia capoccia. Se non rimembro male avevo anche preparato una videocassetta per registrarmi la puntata. All'epoca registravo più o meno qualsiasi cosa giacché trovavo assai affascinante l’idea di poter gestire un filmato video. Mandare avanti, mandare indietro, mettere in pausa, masturbarmi, eccetera. Ero un giovane che provava piacere nel sondare l’esistenza e tutte le sue possibilità; nel senso che non ero ancora un alcolizzato (ero totalmente astemio), nutrivo consolidate idee suicide e mi relazionavo con gli ambienti. Mi muovevo giulivo per la città, cercando – per quanto possibile – di evitare i manifesti con la faccia di Berlusconi. Già all'epoca mi sembrava un coglione (nel senso etimologico del termine) e l’atroce aurea di ottimismo che donava alle persone che lo omaggiavano mi faceva cagare. Come se non bastasse, oltre il doversi pippare l’ombra del sorrisone del Silvione nazionale, il mondo dei giuovani viveva l’oscura notizia della morte di Kurt Cobain. Da dire che io non ero tra i fan dei Nirvana, non che mi facessero schifo tuttavia quando mi trovavo ad ascoltarli mi scendeva giù un forte sconforto. In qualche modo mi sentivo sufficientemente “tormentato” e iniettarmi dosi di Nirvana non faceva bene al mio ego. Rammento questa immagine di me con i capelli calati sulla faccia, a scuola, coinvolto in un incontro studentesco. Stavo ascoltando nelle cuffie i Nirvana. Se avessi continuato così il mondo mi sarebbe semplicemente passato davanti. Davanti ai capelli sulla faccia. In altre parole, ero troppo stupido per i Nirvana. Per dire, nella mia totale ignoranza, non avevo manco compreso cosa stesse accadendo all'epoca in Ruanda. Per quanto riguardava l’avere nozioni sul sociale dovevo far affidamento sugli altri e dovevo far affidamento sugli altri, all'ora dell’intervallo, per sondare i gusti. Or bene in quegli anni di petting estremo aleggiavano qua e là tra i banchi di scuola svariate melodie [gli Offspring di Smash, i Blur di Parklife, i Soundgarden con Superunknown, gli Stone Temple Pilots di Purple, gli Stone Roses di Second Coming, i Kyuss di Welcome to Sky Valley, i Portishead con Dummy, gli Oasis di Definitely Maybe, Burzum con Hvis lyset tar oss, i Beastie Boys di Ill Communication, i Bark Psychosis di Hex, l’Unplugged dei Nirvana, i Pulp di His 'n' Hers, i Nine Inch Nails di The Downward Spiral, Nas con Illmatic, Beck con Mellow Gold, i Mayhem con De Mysteriis Dom Sathanas, Ambra con T'appartengo, i Dream Theater di Awake, i Korn di Korn, i Weezer con Weezer, i Pearl Jam di Vitalogy, Jeff Buckley con Grace] ma io mi limitavo al minimo indispensabile, in un’ottica squisitamente culturale mi veniva più che sufficiente guardare in televisione Patrizia Bruschi alle prese coi vibromassaggiatori a fasce.
Ma, come detto, in quel lontano giugno la tivì propose X-Files e a molti (seppur inizialmente non a tantissimi nel Belpaese) apparve un buon modo per trascorrere il tempo, nove anni per la precisione. Praticamente tutti gli anni 90. Gli anni in cui con sole 10 mila lire potevi persino acquistare i libri tratti dalle sceneggiature degli episodi. Cosa questa che io non ho mai fatto. X-Files, ossia la creatura di Chris Carter, ossia l’ora del mistero, l'ora delle cose striscianti, sgocciolanti, morsicanti, zampettanti, possedute, indottrinate, ri-programmate, pelose o svolazzanti. Viaggi nel tempo, nello spazio, viaggi in cunicoli bui a caccia di sanguinosi figuri o di bambole assassine o di tabagisti indefessi. A spasso tra paeselli di provincia e boschi boscosi in quel di Vancouver. Il tutto in compagnia del fantasioso Fox Mulder e della razionale Dana Scully. Gesù, Gillian Anderson, colei che all'epoca era stata definita da uomini ma soprattutto da donne “l’eroina degli anni Novanta”. Togliendomi i capelli dalla faccia io l’ho guardata ed ho pensato: amo questa donna. Donna che in realtà, ai tempi, era ben più giovane del me di adesso. Gillian Anderson era la Clarice Starling de Il silenzio degli innocenti ma in versione sexy. Dana Scully è stata la donna totalmente vestita più sensuale del mondo. Costantemente ammantata dal suo cappotto, le poche volte che la vedevi in maglietta era come vederla nuda e tu giovane uomo eri contento. Le poche volte poi in cui la si vedeva sorridere era come se d’improvviso la televisione esplodesse per la sorpresa. Gillian Anderson mi ha fatto capire che i tempi di Non è la rai erano finiti.
E pensare che per il ruolo dell’agente Scully i capoccioni della Fox avevano pensato ad una femmina tipo Pamela Anderson. Per fortuna poi – grazie alla ferrea volontà di Chris Carter - è stata scelta lei, la donna con il curioso accento. La fanciulla nata a Chicago ma trasferitasi pressoché subito in Inghilterra. Una donna che – a dispetto del suo personaggio in X-Files – non ha impiegato molto a perdere la verginità grazie ad un futuro giovane nazista e grazie al suo sentirsi brutta e grassa. Or bene ecco quindi una Gillian Anderson adolescente, con un anello sul naso e una capigliatura da punk, una fanciulla che alla vigilia del diploma si fa anche arrestare. Gillian Anderson, dai Dead Kennedys agli eleganti tailleur di Dana Scully, collega e poi amica e poi anche altro di Fox Mulder, lo spettrale (spooky in originale) Fox Mulder interpretato da David Duchovny. Attore, manco a farlo apposta, abbastanza distante dal suo personaggio (in buona sostanza, vi è più Fox Mulder in Gillian Anderson e più Dana Scully in David Duchovny) nonché attore che prima di X-Files aveva già rivestito un ruolo investigativo, giacché era il multiforme detective Bryson in Twin Peaks. Ma chi è David Duchovny? Non lo so. So solo che si è laureato in lettere a Princeton e che vanta un dottorato in critica letteraria conseguito a Yale. Io invece vanto un diploma di scuola media conseguito alla Gobetti di Rivoli. In tal guisa sono più vicino a Gillian Anderson, fanciulla che a ridosso della sua promozione agli X-Files riceveva il sussidio di disoccupazione. E quindi? E quindi dopo 14 anni la sezione X-Files riapre e d’improvviso ci si ritrova nel 2016 e, come giusto, le cose sono cambiate. La musica è cambiata, le auto sono cambiate, vanno forte i capelli e la qualità nell'editoria si è decisamente abbassata, le persone ridono per cose che non fanno ridere, la sessualità costituisce un problema, va forte la musica di merda. Difficile muoversi in codesto contesto e nella decima stagione, la serie di Chris Carter, tende ad evidenziare il salto temporale.
Gli alieni o le cospirazioni non rappresentano più una grande minaccia se rapportati al terrorismo. Tutto quello che appariva pazzesco negli anni Novanta, oggi appare quasi innocente. Internet è il luogo dove Mulder può smarrirsi, il luogo dove in un attimo può vedere smontata ogni bizzarria sopranaturale a lui così cara. L’io voglio crederci appare più come la parte di una filastrocca che un moto di orgogliosa prosopopea. Da un punto di vista extra diegetico poi, le serie tv sono diventate di alta qualità. Fucine di buona scrittura, laboratori di ottime idee. L’ingenuità di alcune situazioni oggi vivono uno sguardo molto più critico, molto più attento. Il noumeno echeggia nella reggia, ossia – serialmente parlando - viviamo il primato della conoscenza razionale. Alcune cose che tempo addietro potevano costituire un corpo solido oggi diventano tuttalpiù simpatiche digressioni. A tal riguardo mi viene da pensare all'episodio della mosca in Breaking Bad nonché ad alcune apparizioni nella seconda stagione di Fargo. Oggi il disincanto si è spento, la bizzarria verte sulla follia e – come insegna Flesh and Bone – le favole non esistono, la scarpetta di Cenerentola può contenere dolorose spine da accompagnare alle unghie spezzate. Ma prima che io mi tramuti in un poeta de noantri, mi concedo questo delirante spazio per blaterare che comunque Socrate ci aveva preso. Il nanerottolo brutto e peloso avrebbe toccato con la decima stagione di X-Files una allegra conferma al suo dire: solo il già conosciuto può essere riacceso. Se hai visto X-Files sul finire del secolo scorso, ritrovarlo oggi, nel 2016, equivale a riaccenderlo, a dargli nuova ed identica identità. Lo conoscevi già, per questo gli vuoi ancora bene. Per questo lo accogli amorevolmente in casa. Stando così le cose aveva ragione anche Richard de Fournival, il quale (in Bestiaire d’amour) trova modo di dissentire da Socrate*. Caro Socrate, anche il testo ha la sua importanza, non solo il lettore. Non è il lettore il custode della memoria, è il libro ad esserlo. Leggere, guardare, X-Files oggi è cioè un attualizzare il passato. È in questa attualizzazione del suo passato che X-Files 10 acquista linfa.
Sì, non so bene cosa io stia or ora scrivendo. Forse mi sono un po’ troppo distratto al pensare agli anni Novanta e a quando la mia ragazza di allora mi infilava il dito nel sedere. Una cosa molto alla Socrate, in fin dei conti. Sì, mi sto facendo trascinare da eventi mnemonici. Per dirla dal punto di vista ermeneutico, la mia natura temporale fa surf sul testo. Per dirla come la direbbe il bel Ricoeur, il testo ri-figura la mia azione. X-Files 10 è un testo che si piega di quattordici anni all'indietro. I rimandi ad un passato glorioso sono pedissequamente presenti in codesta nuova stagione. L’imperativo altisonante è “non siamo più negli anni ‘90”. Bisogna farsene una ragione. In tal guisa l’episodio più forte, quello che nella sua natura demenziale cela una gradevole e autoironica malinconia, è La lucertola mannara (titolo che fa molto Adventure Time). Un episodio a suo modo geniale, un episodio che racchiude, condensa, riassume (giusto per non ribadire il concetto) quegli episodi bizzarri che a volte sbucavano nella serie. Puntate che io adoravo e odoravo. Erano le puntate nelle quali Mulder appariva come un ragazzino credulone ed entusiasta, nonché le puntate in cui vedevi Scully fare cose assurde. Quei rari momenti nei quali la vedevi persino sorridere. La lucertola mannara vive di un’autocelebrazione intelligente, vive di un ego che ride di se stesso, vive una nostalgia che solo i vecchi fan possono televisivamente (stringendo il telecomando sul petto a mo’ di orsacchiotto) apprezzare senza bollare quanto visto come idiota, stupido, infantile. Giusto per citare a caso i Counting Crows, l’avventura incentrata sull’uomo-lucertola è hard candy. Un episodio che è il racconto di un racconto nonché un saluto con tanto di affettuoso abbraccio ai tempi andati. Orbene, come ho detto, apprezzavo assai questi episodi schizoidi. All'opposto delle mie attrattive vi erano invece le puntate incentrate sugli alieni, ossia l’ossatura e il senso di X-Files. Dico, le vicende con i simpatici amici grigi mi stavano anche bene, solo che poi tutto andava ad impregnarsi troppo di liquidi alieni. Si andava di complottismo andante e ci si prendeva esageratamente sul serio. Ogni cosa si faceva triste, eccessivamente drammatica nonché e soprattutto noiosa. Insomma, le cose che degustavo con gusto di X-Files erano quelle ove Mulder e Scully si ritrovavano ad indagare sulle faccende meno spaziali. Quando dovevano indagare nelle beote cittadine di provincia, quando dovevano carpire i movimenti di sette religiose, quando dovevano dar la caccia a uomini-mostri, quando dovevano (e sì, è capitato anche questo) stanare il diavolo stesso. X-Files riassumeva perfettamente tutto ciò che all'epoca attirava la mia attenzione. Erano gli anni nei quali io stesso mi addentravo nelle case abbandonate o nei luoghi noti per culti satanici. Non vi erano dita nel sedere che potevano arrestare il mio bisogno di horror.
A tal riguardo il primo episodio di codesta decima stagione mi aveva lasciato assai perplesso. Di nuovo gli alieni, di nuovo i militari, di nuovo persone pedine di altre persone. Du’ cojons. Al secondo episodio (Evoluzione della specie), a mio modo di vedere la vita, l’asticella dell’attenzione si è alzata. Finalmente i casi che mi piacevano di più: persone alle quali accadono cose sanguinolente. Il piacere del mistero si è di nuovo acceso, così come le torce di Mulder e Scully, immagine iconografica per eccellenza. Vedere le loro torce accendersi è come vedere, dopo tanto tempo, le spade laser fendere l’aria. Si può godere di una torcia accesa? Cristo, sì. Seguendo le esortazioni dell’ Orazio delle Odi, è bello godere di poco. I corridoi di luce interpellano il disincantamento del mondo e lo invitano ad una sosta di cinquanta minuti circa. Una volta messa da parte l’ingombrante scatolona (che il mio amico immaginario chiamerebbe Entzauberung der Welt) si è amorevolmente liberi di seguire un puzzolente uomo col cerotto sul naso, si è liberi di alloggiare in squallidi motel con gli occhi alle pareti, si è liberi di infilarsi una penna nel cervello, si è - quasi - liberi di calarsi qualche innocua pasticca, si è - quasi - liberi di divertirsi a Las Vegas con vecchi Pistoleri Solitari. Detto questo, non si può ben donde nascondere che punti deboli ve ne siano. Punti dolenti che perlopiù avvolgono il primo e l'ultimo episodio; devo ancora capire, e forse non lo capirò mai, se il quinto episodio (Babilonia) è da inserire in codesto pacchetto claudicante. Ad ogni modo, come ribadito, io non amavo molto le storie totalmente incentrate sul dramma degli alieni e gli ultimi due episodi deragliano (sfiorando il disastro) in cotale direzione. Sì, il primo e l'ultimo episodio, vale a dire quegli episodi che dovrebbero essere sostanzialmente episodi chiave. Tuttavia, complice un atavico affetto, la stagione dieci di X-Files è per me un concentrato riuscito dei nove brufolosi anni precedenti. Non che io abbia mai avuto brufoli. Ora stanno unicamente subentrando i brufoli della vecchiaia. Per rendermi più giovane e in forma, ogni tanto mi rado lo scroto ma è solo un bieco palliativo anti-età. Evitando quanto possibile lo specchio passo il mio tempo pensierante, guardando la parete davanti alla mia scrivania. Rimango così per ore. Senza pensare nulla di particolare. Ogni tanto mi capita, quasi per sbaglio, di buttare l’occhio ad una foto che da secoli è attaccata alla parete e allora mi viene da pensare a quanto mi fossero epidermici gli anni ’90. Gli anni nei quali sono stato giovane e figo. Gli anni nei quali la testa a volte mi scoppiava, gli anni in cui potevo tuttavia fare cose che mi facevano stare bene tipo lo scoreggiare con le scarpe in mano durante un esame di maturità. Ora i miei peti sono più amari. Finisco quindi di fissare il muro davanti a me e mi alzo per andare a contare le matite sul soffitto. Che foto c’è sulla parete innanzi alla scrivania? No, non la mia mentre cucino limoni. No. C’è solo l’immagine dell’agente dell’FBI più figa e razionale della contea televisiva.
* Una storia della lettura by Alberto Manguel
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