WHIPLASH di Damien Chazelle (2014) Frustate sul culo

Vi è un che di sostanzialmente ridondante in Whiplash; vi è un qualcosa di eccessivo o/e vi è un qualcosa di scomodamente pregnante. Come quando, per eccesso di sostanza, l'acqua del cesso sale su su fino quasi a farti temere il peggio. Per alcuni può essere un film di testa, per me è stato in buona sostanza un film da mal di testa. Un montaggio frenetico, a braccetto con i giochi di polso dei protagonisti e i giochi di polso del maestro di musica. Sì, il buon J. K. Simmons che qui più che strabordare va proprio fuori dalla logica. Sì, è jazz ma... Cosa è il jazz? Di per sé, già il porsi la domanda è un errare nella domanda ed inoltre tutti quanti voglion fare jazz. Round Midnight di Bertrand Tavernier (1986) è un film che non fa uso di un montaggio frenetico per parlare di jazz ma è comunque più jazz di tutto il jazz sciorinato in modo scomposto da questo Whiplash. E quindi il jazz? Be', Chet Baker era un eroinomane, così come Charlie Parker che compensava l'eventuale carenza con l'alcol, idem Miles Davis ed idem Billie Holiday che tra alcol e droghe non ci andava proprio alla leggera. E poi c'era Bud Powell e da qui Round Midnight. Bud Powell, sì, beveva pure lui come una spugna e anche di più e ad ogni modo le spugne non bevono alcolici. L'alcol l'ha portato alla tomba ma in fin dei conti lui ne era pienamente consapevole, il suo unico interesse era la musica, il resto era un pesante fardello. Oltre alla dipendenza da alcol soffriva anche di disturbi psichici (dovuti ad un pestaggio da parte della polizia). Come Lou Reed, fu curato tramite l'elettroshock e quindi non fu curato. La cura tuttavia non gli impedì di esibirsi al piano nei suoi fumosi concerti. Stanco, stremato da nuove esperienze carcerarie nonché altre cure elettriche decise di rintanarsi a Parigi. Ecco, Round Midnight favoleggia in qualche modo di quel suo soggiorno a Parigi, il soggiorno di Bud Powell. Favoleggia fino ad un certo punto. Riscrive una storia realmente accaduta. Powell diventa Dale Turner e non suona il piano ma il sax tenore ed è interpretato (grandiosamente) dal musicista Dexter Gordon. François Cluzet (Quasi amici) dovrebbe incarnare invece lo scrittore Francis Paudras, qui in veste di disegnatore. Il fatto che io or ora stia a scrivere di Round Midnight e non di Whiplash in una (pseudo) recensione di Whiplash è quindi tutto dire. Tornando a Parigi... Nel fumoso locale parigino Blue Note narrato da Round Midnight di Bertrand Tavernier, dove si suona bebop, sembra quasi di starci dentro o comunque forte è il desiderio di passarci almeno una serata. Nel film di Tavernier si intuisce la malinconica elettricità che costituiva il mix tra bisogno di fare musica e il bisogno di fuggire dal mondo nonché il bisogno di fuggire dal mondo facendo musica all'interno del mondo. Nel film di Damien Chazelle (quello di Whiplash) cosa viene fuori? Praticamente nulla. 
Più che un film sul bisogno di fare musica è un film sul bisogno di esagerare. Una esagerazione che mi ha ricordato Ufficiale e gentiluomo, un confronto che va a favore del film di Chazelle nonché di Louis Gossett Jr. e del suo personaggio, personaggio che pur essendo sopra le righe non è mai sopra le righe quanto J. K. Simmons che in questo Whiplash invece di far emergere la sua statura di attore fa emergere i difetti nei quali un bravo attore può incappare. Un bravo attore imprigionato in un personaggio credibile quanto Tina Rex, il tirannosauro de Lo straordinario mondo di Gumball. Whiplash è una non richiesta e quindi inattesa frustata sul culo. Eppure ha il potenziale per essere un qualcosa. Ma non lo coglie, precipita e addirittura sanguina. Come nei peggiori (cioè praticamente tutti) film di Michael Bay vi è un uso irriflessivo dell'immagine. Dettagli, molti dettagli, assurdità, molte assurdità, dettagli su assurdità, dettagli di sangue su assurdità di dettagli. E vengono un pochetto i nervi alla fine. Tutto questo vagheggiare, nel senso di guardare con diletto e compiacimento. E tutto questo vaniloquio, nel senso di discorso vano, sconclusionato, inutile. Whiplash non è jazz o indagine sul jazz ma è puerile demagogia e anche se non vuole essere un'indagine sul jazz ma su di un tizio che desidera emergere è comunque puerile demagogia. Altro che “quintessenza della raffinatezza fuori dal coro del cinema indipendente”, altro che cattiveria o discorso altro sulla morale del musicista o sul respiro dell'artista. Certo in cotale eccesso di eccessi in fil di bacchette vi sono cose buone. Cose buone che ricadono tutte sul protagonista.
Nonostante il caos generale, in qualche modo si riesce a rendere quello che è il bisogno di sé. Il bisogno di far di sé quello che è più proprio. E non ci sarebbe stato bisogno di un maestro despota e schizzato per capirlo, a livello diegetico. Il bisogno di sé. Il bisogno di seguire la propria natura anche e soprattutto a scapito del sociale e delle affettività. L'apologia dell'ozio, questo dovremmo essere anche noi. Ove ozio, si badi, va assunto o esperito nell'accezione romana antica. Per i romani l'optium non è pigrizia ma è il tempo dedicato al dedicarci a noi stessi. Al nostro essere. Ma non solo. Come indica e riassume un tale come Michel Foucault, il dedicarsi a sé ingloba un ambito di attività complesse e regolate. Il dedicarsi a sé stessi è una tecnica, il resto sì è un ozio. Ma attenzione all'eccesso e quindi attenzione a lanciarsi in leziose lezioni. Attenzione alle prodezze giacché “l'ascesi filosofica è molto diffidente nei confronti di quei personaggi che vantavano le meraviglie”*. E di vanto di meraviglie in Whiplash ve ne è a iosa. La meravigliosa e strabordante presenza di Terence Fletcher (J. K. Simmons), la strabordante voglia di farcela di Andrew Neiman (Miles Teller), lo strabordante piatto ride di Andrew Neiman, lo strabordante e demenzialmente sanguigno rullante di Andrew Neiman, la strabordante molla del pedale di Andrew Neiman.
Tutto questo eccesso mi ha ricordato molto la cultura della fatica nipponica insita in Hilary (La leggenda di Hikari) nonché Holly e Benji. Gente che soffre, la musica che genera sofferenza. Ma non è il caso di Whiplash ove quel che per alcuni è un film che morde con rabbia mentre diverte con gusto e picchia fortissimo per me è un film che non morde ma mastica molto. Decisamente meglio in tal guisa i moti nipponici dei Polysics (giusto per rimanere in ambito sol levante), dico, in tema di cose che divertono con gusto e che picchiano moltissimo. Il virtuosismo fine a se stesso è cosa estremamente irritante (si vedano gli ultimi lunghissimi e scontati minuti del film) e questo non significa di certo fare jazz. Il jazz è indubbiamente altro, il jazz è Sad Walk dalle trasferte parigine di Chet Baker, è Stuffy Turkey nel pieno momento Thelonious Monk, è la fondamentale Flamenco Sketches di Miles Davis, il jazz è la ben dovuta Ernie's Tune di Dexter Gordon, è la superlativa Acknowledgement di John Coltrane. Il jazz è musica, questo film invece è un puerile esercizio. Ah, dimenticavo, questa è pure una non-recensione di merda.


*Breve brevismo di Foucault tratto da Ermeneutica, collocazione in biblioteca: 121.68 ERM 

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