VIZIO DI FORMA di Paul Thomas Anderson (2014) Lo sportello sulle palle
In linea di massima a me gli hippie non stanno molto simpatici. Non loro in sé quanto il loro sé, ossia il loro credere in quella cosa chiamata amore e in quella cosa chiamata droga e il fare di uno il complemento o la giustificazione dell'altra. Non che sia io un omuncolo contrario all'uso di droghe; se uno ha il coraggio di votare Matteo Salvini o se per anni persone hanno creduto in Berlusconi come posso io pensare che l'uso delle droghe debba essere proibito: libertà di allucinogeni. Ognuno è libero di pensare e di votare quel che vuole. Ma, droghe a parte, per quanto riguarda un mondo di pace e di amore a me gli hippie non stanno granché simpatici. Non credo molto nell'amore tra esseri umani, al di là dell'aspetto funzionale. L'essere umano è troppo intelligente per credere nell'amore. Nel senso che l'amore non è soggetto o oggetto di creature stupide ma è oggetto e soggetto di creature intelligenti. Avere l'intelletto è anche avere scarsa dimestichezza con il sentire. Certo e ben donde dovrei spiegarmi meglio, dovrei dar una mia idea di intelligenza, ma la cosa non è che servirebbe molto; non sarebbe per niente funzionale né tantomeno intelligente. E quindi, ribadisco, a me gli hippie non stanno molto simpatici. L'amore di per sé è una grammatica, una forma di artigianato. Prezioso certo. Prezioso ma anche totalmente inadatto all'essere umano; il linguaggio ha dato il nome ad Amore, ma io credo che amore sia ben altro dalle nostre soluzioni semantiche e dal nostro modo di intendere. Ad ogni modo, ribadisco, non amo gli hippie e anzi, a dir la verità, l'unico hippi che conosco lo conosco da mia moglie che poi è la mia ragazza ma dire moglie fa meno adolescente. Moglie che par aver conosciuto un hippie di nome John che amava fumare marijuana da una graziosa pipetta. Per essere hippie devi per forza farti (e quindi essere non pienamente tu). Io John non l'ho mai conosciuto, e nonostante mia moglie ci abbia avuto a che fare e nonostante il fatto che forse l'ha anche aiutata a mandar giù una forma esistenziale non prettamente confortante o amabile a me gli hippie continuano a non stare simpatici. Nel Pianeta Hippie esistono di certo cose meravigliose ma il punto del tutto è l'hippie stesso più che la salvezza del mondo. Stare per i fatti propri a farsi, a scopare, a farsi guardando gente scopare, a farsi scopare guardando gente che si fa. Nei momenti di massima empatia sociale e politica, esternare la propria solidale fratellanza arrotolando strisce di t-shirt sui ciuffi di cappelli bagnati. Una buona mezz'ora con il fon e poi ecco una bella chioma da piantagione del Sud, “una decente chioma afro da uomo bianco”. Nei momenti di quiete (la gran parte) assumere un'idea tutta particolare di cosa è la realtà: “Gongolo e Pisolo che saltellano nel loro Regno Magico”.
Eccetto che per l'Arcobaleno della gravità e per Vizio di forma, non conosco moltissimo Thomas Pynchon ma credo che in pochi lo conoscano. Nel senso che Pynchon è lo scrittore assente per antonomasia; di recente solo Elena Ferrante può (o forse poteva) tentare di calcarne le orme in fattore di assenza (e quindi forte presenza) di identità. Prima di loro Paul McCartney, William Stuart Campbell e Godot nonché i barbari della famosissima poesia di Kavafis. Metafore dell'assenza, palcoscenici di presenza. Tuttavia, pur non conoscendo io il buon Thomas Pynchon so che non deve essere per niente facile riportare per immagini il suo mondo scrittorio o scrittoresco e Paul Thomas Anderson è il primo ad averci provato. Infatti o probabilmente Vizio di forma è il suo libro più malleabile in tal senso. Un noir. Un semplice noir con protagonista un hippie californiano ben arredato nel suo mondo tutto fico e psichedelico (come dice la “sua” assistente Procuratore Distrettuale). Un noir con tutti i crismi del noir con in più quell'adorabile vena di scazzo perpetuo. E Pynchon deve aver per forza visto Il Grande Lebowski prima di scrivere delle disavventure grottesche del suo Doc Sportello. Un uomo che sovente dimentica che per usare il telefono bisogna prima alzare la cornetta o che dimentica semplici formule come il rispondere “Pronto?” è difficile che riesca a risolvere un caso intricato come la scomparsa di un miliardario costruttore. Come può un personaggio del genere districarsi tra fratellanze ariane, tossicomani con erezioni fecali, dentisti, poliziotti, Charles Manson, federali e offerte speciali quali il Leccami la passera Special? Non può, e infatti non contento pare accettare in contemporanea altri spinosi casi. Il tutto senza neanche farsi pagare ma semplicemente risolvendo con un “Non c'è problema”. Un bianco figlio di puttana completamente fuori di testa, Doc Sportello. Un uomo che deve districarsi nella nebbia, la nebbia della marijuana e la nebbia propriamente detta. Un antieroe per eccellenza.
Ma cosa è poi un antieroe e quante stronzate sto scrivendo? Non lo so, credo che sia una figura che non esiste; o per meglio dire esiste un modo per dare un nome alla persona sbagliata nel posto giusto. Un qualche bel matrimonio. Un matrimonio di certo più felice del mio inserire il punto e virgola un po' a cazzo come ora. Ma sono su un autobus, la strada non è una lingua felice ma un mantello di buchi e buche al di sotto dei buchi. Scrivere in cotali condizioni non è semplice. Davanti a me vi sono due magrebini. Io so dire qualcosa in arabo ma sono tutte parole che poco funzionerebbero in un contesto da interno autobus. Ma buche a parte, cosa è Pynchon messo in atto da Anderson? Per dirlo bisogna prima sciorinare un qualcosa di retorico del tipo che Paul Thomas Anderson fa dei film densi. Belli densi. Sembra di poggiar le mani su una callipigia. Sembra di affondare le mani in un culo sodo. Un culo sodo che sta su e tu staresti tutto il giorno e tutta la notte a spremere quel bel culo e poi, spremendolo, te lo sogneresti pure. Non ti stanca e non ti stanca perché è incredibilmente giusto. Tralasciando complesse, per quanto affascinanti, teorie sul bello in sé, quel bel culo sodo ce l'ha anche Paul Thomas Anderson. E il culo di Pynchon? Il culo di Joaquin Phoenix? Il culo di Josh Brolin? Il culo di Michelle Anne Sinclair?
Il culo di Michelle Anne Sinclair è un bel culo vissuto e il culo di Vizio di forma è un culo probabilmente complesso, un ritratto, una fotografia, dei segnali di fumo di personaggi senza un ancoraggio. Un caos decadente, un ingranaggio che cade a pezzi e che non può che cadere a pezzi. Un hippifania, come potrebbe chiamarla Bigfoot (Josh Brolin). Un gruppo di personaggi improbabili in coda innanzi alla porta dell'Inferno, giusto per usare espressioni a caso. Un caos che forse il film di Anderson non riesce a rendere fino in fondo; nella cura della messa in scena, nella cura di tratteggiare - quasi in eccesso - un che di macchiettistico... Non so, inizio a pensare che Vizio di forma non mi sia piaciuto, eppure mi par una cosa strana. Mi sembra strana perché... Non lo so perché. La sto pure facendo troppo lunga. Insomma, Vizio di forma non è il massimo. Come nel miglior Anderson dopo un po' la faccenda prende alle palle. Il suo è un cinema che richiede un certo impegno testicolare, il che non è di certo un male. Solo che in questo impegno pare che non tutte le ciambelle vengano con il buco, pare che le cose si facciano ridondanti. Per dire, formalmente a me The Master non era dispiaciuto ma nel suo complesso non mi aveva fatto impazzire. Sicuramente vi è un modo kantiano per esprimere questa cosa, cosa che comunque si può condensare con un Per me The Master è un bisticcio di impressioni ove alla fine trionfa il giudizio: a me 'sto The Master ha fatto un pochetto cagare. Anderson è maestoso, e tocca indubbiamente bei livelli. Piacevolezze che riempiono il cuore e il cervello cinefilo. Ma è anche estremamente maestoso e quando in cotale afflato le cose vengono male il risultato è estraniante e quindi pensi se è il caso di rivedere il film o bollarlo come una nulla di che.
Parlando di Pynchon un tizio ha detto “Tutte le narrazioni enciclopediche devono in fin dei conti esser riconosciute come libri nazionali che si ergono come segni scritti della cultura della quale sono parte”*. Pynchon narra di storie collettive, intaglia una sacca culturale (americana) di questa collettività. Aderente or dunque e ben donde al medesimo occhio cinematografico di Anderson. Anderson e Pynchon, li accomuna in tal senso questa polifonia. Il romanzo nazionale di Pynchon e il cinema nazionale di Anderson. Ove per nazione, ribadisco, si parla ovviamente di quella americana. Dall'America del porno all'America che si fa da sé e che si fa gli altri; dall'America onnipotente all'America degli anni Settanta e di Charles Manson, ossia l'America di Vizio di forma e l'America della “fine di quei begli omicidi losangelini di un tempo". Due narratori e un medesimo spettro visivo or dunque. Il tutto è molto bello ma il risultato è altalenante. Altalenante in un caotico teatro assurdo con echi dichiarati del demenziale alla David e Jerry Zucker. Una spremitura di Pynchon che sovente è meglio di Pynchon, con invenzioni grottesche al di là del romanzo (romanzo non propriamente irresistibile per me), si veda ad esempio - e non è spoiler giacché compare nel trailer - la reazione sobria di Sportello alla vista di una foto nonché l'enfatizzare un Chotto, Kenichiro! Dozo, motto panukeiku. Oddio, il cast funziona in toto. A partire da Joaquin Phoenix, attore che per Anderson è il miglior cane che abbia mai avuto. Ma il funzionare del cast non basta. A me non è bastato.
Dovrei forse rivederlo Vizio di Forma, magari con una seconda visione diventerà il mio film preferito in assoluto ma per ora per me è come il John conosciuto da mia moglie: in ritardo e per i cazzi suoi. Tanta marijuana da fumare da una pipetta e un apribottiglie attaccato alla parete da usare con costanza. Marijuana sicuramente buona o forse no ma comunque fumata onestamente. E per fumata onestamente intendo senza aggiungerci il tabacco. Credo che aggiungere il tabacco alla tua marijuana sia come aggiungere dell'acqua alla tua birra. John non lo faceva. John fumava decentemente e con una estetica di misura, John quando poteva si beveva la sua Nastro Azzurro (a me non fa impazzire) e metteva su qualcosa dei Beatles. Tra l'altro John l'ha pure conosciuto Paul McCartney, agli inizi di tutto. E quindi un senso ulteriore al tutto e quindi all'assenza presenza di Thomas Pynchon. Forse lo sta facendo anche ora, dico John e la sua pipetta e la birretta. In ritardo e per i cazzi suoi, ma lo sta facendo. Buon per lui. A me, in codesto momento rimane una non-recensione veramente orrenda di un film che non ho capito se mi è piaciuto o se mi è non piaciuto. Forse, usando termini rubati a Pynchon, Vizio di forma di Paul Thomas Anderson possiede semplicemente la giusta scintilla. Quell'ordine bagnato, quel misterioso consenso, quella dispersione di significato che è il contemporaneo. Ma soprattutto Chotto, Kenichiro! Dozo, motto panukeiku.
*A Tale of a Tube: sul transitare attraverso le finestre; analisi di G. Alfano dall'antologia La dissoluzione onesta - Scritti su Thomas Pynchon
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