VALENTINA NAPPI: IL CINEPANETTONE DELLE FESTE

Debussy spaccava di brutto nel 1908? Ma soprattutto sapeva suscitare emozioni? Per capirlo bisogna sì guardare al periodo bohémien ma anche ad un caloroso e fico amico del celebre compositore, Pierre Louÿs. Pierre era un bel giovanotto. Ossia non soltanto era giovane ma era anche bello, colto e con l'erezione sempre in tasca (per usare un'espressione dell'epoca). Pierre Louÿs "apparteneva alla scuola poetica parnassiana (l'arte deve essere bella e non sociale o politica)" il cui pendant figurativo si riscontrava nell'Art Nouveau. Oltre a ciò, Pierre era un habitué dei gineprai sessuali. Pare infatti che ad aver ammirato e ospitato il suo funghetto in svariati orifizi (bocca, vagina, culo, naso e orecchie) siano state su per giù - o su per sopra e sotto - ben duemila femmine nonché qualche bel giovine. Tra una scopata e l'altra e in pausa dalle scritture erotiche, Pierre trovava il tempo di rimproverare all'amico Debussy il suo "essere un musicista comprensibile solo da un'élite" e di non volersi far comprendere anche dai miseri e comuni mortali*. Per Pierre, Debussy doveva assolutamente farsi capire da individui “capaci di provare emozioni semplici e sincere”. A seguito di ciò in Debussy confluirono pian piano gli interessi ellenistici del bel Pierre. Un'influenza che si dispiegò musicalmente nelle famose Chansons. Vale a dire, proprio la messa in musica de Les Chansons de Bilitis, la raccolta poetica di Pierre Louÿs. In tal guisa, si porti l'orecchio alla prima delle tre chansons, La Chevelure. Ascoltandola infatti si potranno percepire i baci appassionati. Ma che dico, si potranno quasi spiare gli amanti nel “fremito d'amore che pervade le membra e le scuote”. A saperle riconoscere si intenderanno le focose vibrazioni. Si badi a riguardo alla “cellula melodica affidata alle viole e ai violoncelli e ripresa successivamente dai violini e dagli oboi” e si noti quell'utilizzo alterno delle due scale modali. Reb-Mib-Fab-Solb-Lab-Sib e Reb-Mib-Fa-Sol-Lab-Sib. Notato ciò, ancora in fibrillazione, si può ben donde riconoscere l'originalità di cotale brano. I più capricciosi si lasceranno poi assuefare dalla “arditezza armonica” che chiude La Chevelure, quell'eccentrico, portentoso e madido accordo finale in Sol bemolle. Altro che molle. Vigoroso, venoso, marmoreo. Non a caso quello che Debussy fece in musica non fu altro che una rimediazione dell’erotico insito nell’amico Pierre. Or dunque un connubio felice o un felice osservarsi. Arpeggi, armonie transfrastiche, “dissonanti seconde minori stridule” in punta di cazzo. Quando al piacere del corpo si accompagna la musica. 
Con in sottofondo codesti fraseggi ci si deve interrogare or dunque sulle dinamiche sottese al corpo. Tanto palesi quanto celate, tanto melodiche che musicate. La domanda perciò è: perché le persone si incollano? Per il piacere. Un piacere così contagioso da trascendere le leggi di natura. Un piacere così contagioso da portare a credere che se non vi fosse il piacere, se il piacere non fosse legato all'atto riproduttivo, molto più difficile sarebbe avere bambini. Se all'atto riproduttivo non si sommasse il piacere, quanti vi si prodigherebbero sudando e mettendo a dura prova i legamenti? Quando la Chiesa invita a far figli in fondo invita anche a godere. A menar per tette e a lanciar biancospenti unguenti lungo morbide gallerie. Contemplato or bene il senso del piacere si può osservare anche l’altro elemento, quello estetico. Il filmettino porno che guardiamo in cameretta o nello studio, acquisisce con fulgido clamore cotali spettri: la riproduzione fine a sé stessa e il maquillage dei corpi intrecciati. In tal guisa, mi è capitato di domandarmi se è più “porco” osservare due belli che trombano o è più porco osservare due brutti che trombano. Sovente mi auto-rispondo che è più porco guardare il brutto e il bello accoppiarsi l’un l’altro. O, per meglio dire, è più zozzo il sesso tra differenti. Con leggiadria si può poi percorrere la via dell’osceno o del piacevolmente schifoso ma sta al lettore fare le proprie scelte di carattere estetico. Detto questo, senza stare ad analizzare nel dettaglio la risoluzione di Lévi-Strauss a riguardo del cosiddetto paradosso di confusione degli attanti, mi avvicinerei al succo del discorso tirando in ballo la logica dell’identificazione (“un effetto primitivo di struttura”**). 
Ci offre un esempio autorevole della questione la vicenda narrata in Everyone going down. Il filmato inizia con Valentina Nappi intenta a scrivere qualche appunto nonché ad annoiarsi un pochetto all’interno dell’azienda nella quale lavora. La sua giornata non pare essere proprio il massimo. Oltretutto è stata costretta a mettersi una camicetta che non indossava dall'età di quindici anni. La lavatrice evidentemente ha deciso di tirarle uno scherzetto e quindi eccola esplodere all'interno di un indumento un filino stretto. Come se non bastasse si è ritrovata a corto di calze e questo l’ha portata a ripiegare su degli autoreggenti. La noia e gli abiti fuori contesto, inducono Valentina a masturbarsi in ufficio. Ma anche qui le cose non vanno bene e finisce per farsi beccare da due giovani stagisti di passaggio. Fuggita dal luogo del misfatto, attira le attenzioni muovendosi a rallentatore nei corridoi. E lo sanno tutti che non c’è peggior modo di attirare l’attenzione su di sé. Il rallenty può essere una lama a doppio taglio. Nonostante il rallenty, Valentina riesce a raggiungere l’ascensore e qui si imbatte in altri tizi: il giovane che consegna i pacchi e il rampante manager che non molto tempo prima le avevano fatto delle avances. Quasi insignificante è la presenza di un terzo uomo, un timido lavoratore un po’ nerd con una faccia alla Bollani (l’apprezzato musicista che io trovo uno sventra palle come pochi). La sfiga affonda il colpo decisivo quando l’ascensore si blocca di colpo facendo cadere Valentina e i documenti che teneva in mano. Per passare il tempo o per stemperare il terrore claustrofobico i due uomini iniziano a palparle le tette e lei inizia a tastar loro i peni. L’uomo delle consegne dei pacchi tira allora fuori il suo pacco e così fa anche il manager. Il nerd invece, preso alla sprovvista, va avanti e indietro nervosamente. Comprensibile. Se già è imbarazzante ritrovarsi con estranei in ascensore, figurarsi come può essere destabilizzante il ritrovarsi con tre estranei che scopano tra loro. Senza farsi però dominare dagli eventi, l’uomo che assomiglia a Bollani decide di iniziare a riprendere il tutto con il suo cellulare. Materiale per le seghe della sera ma anche creazione di filmati virali per il popolo del web. Valentina intanto è già nel mezzo della fellatio, alternando bustine di tè a soffocotti. Dopo qualche minuto si è già oltre i convenevoli. Il pacco dell’uomo dei pacchi è dentro Valentina mentre Valentina si concentra sul pacco del manager. Bollani continua a riprendere e qui il regista (non diegetico) ci delizia con la raffinatezza del mostrarci in primo piano il cellulare di Bollani che riprende. Riprese di riprese. Quando le gambe iniziano a cedere ecco che il manager si siede a terra e sopra di lui, di spalle, si siede Valentina. Un bidet sessuale, elemento questo da tenere in considerazione. 
Con il manager dentro di lei, Valentina va di fellatio sul ragazzo delle consegne. Al quattordicesimo minuto Bollani non ce la fa più, smette di filmare e prova ogni tanto a pigiare qualche pulsante e ad inviare sms, “Mamma, farò un po’ tardi per pranzo”. Nel mentre Valentina ha cambiato partner. Ora è sul ragazzo dei pacchi ma sempre in posa bidet. Possiamo quindi vedere un interessante e repentino ballonzolare delle palle del giovane. Il manager sta in piedi e si gode le sue bustine di tè. Bollani è allo stremo, se ne va in angolo e si siede ridendo per non piangere. I tre si posizionano nuovamente in piedi ma non mutano i loro approcci. Arriviamo così alla spruzzata gioiosa, con Valentina ben pronta a mandar giù il nettare di entrambi. Appena in tempo giacché d’improvviso le porte si aprono. Bollani se la dà a gambe mentre i tre rimasti si beccano la strigliata del capo, consci però di aver instaurato un rapporto di amicizia e di stima reciproca. Come abbiamo visto la dinamica predatore e preda vive di una identificazione. In che senso è presto detto. Guardiamo al celebre matematico René Thom e alla sua teoria delle catastrofi. Cosa dice Thom? Thom, riprendendo Eraclito, ci mostra in modo altresì brillante come il conflitto sia il motore di tutto. Una miccia (minchia) che innesca il fuoco. Lo scopo di Thom è andare alla ricerca di ciò che si cela dietro ad una forma. Cosa vi è al di là del substrato materiale? Se ci pensi è una questione non distante da quelle congetture kantiane atte a rintracciare (semplifico) il plesso focale dell’arte nonché il plesso focale – e quindi ficale - della figa. Una figa, un cazzo, un pennarello hanno una loro forma. Senza una forma non potresti distinguere un pennarello da un pene, e l’inchiostro del pene non è il massimo per scriverci. Una forma è il frutto di un conflitto. Pensa ad una matita senza punta. Hai una matita spuntata e prendi un tempera matite e le fai la punta. La punta viene fuori grazie agli strati della matita sbucciati e quindi grazie alle lame del tempera matite. Quelle lame, entrando in conflitto con il legno della matita, han prodotto una forma: la punta. Il luogo di quel conflitto – la soglia tra la lama e la matita – è chiamato luogo di catastrofe. Una linea, un confine, un punto che separa due elementi diversi. Un punto che separa due diversità. In quest’ottica, ne converrai, il conflitto assume una valenza di certo non drammatica (la punta alla matita ti permette di scrivere). Dicasi lo stesso per il concetto di catastrofe. Dal luogo di catastrofe, da quell'area, ciò che abbiamo è un percorso a tappe verso una rivoluzione. Rivoluzione nel senso proprio di evento. Dal punto di vista concreto – fisico, materiale – la rivoluzione è il risultato ottenuto. È la forma. Vedo la tazza di un cesso, quella tazza dove finalmente potrò cagare. Cagare è il risultato rivoluzionario di un conflitto sviluppatosi in una catastrofe (linea di confine tra i differenti). L’obiettivo di Thom è poi proseguire a ritroso, alla radice della forma. Chiarito il senso positivo della catastrofe, ai fini di Everyone going down (il porno appena visto) si può con baldanza e un filo di malizia denotare come la catastrofe insita nell'arresto dell’ascensore ha dato forma all’evento amicale tra Valentina e i due uomini. Quando delle immagini valgono più di mille parole.
Ricorderai ben donde come ho maldestramente esordito accennando a Debussy e alle Chansons. L’intento era quello di mostrare come l’atto carnale, l’intrecciarsi dei corpi, può con sagacia venir tradotto in musica. Musica “alta” che nessuno accosterebbe al porno. Eppure di incontri amorosi si parla. A tal proposito, or ora, un piccolo saggio intitolato Storia e sessualità (by Paolo Sorcinelli) mi viene incontro, aiutandomi a far incastrare con maggior sicumera il sesso alla musica per archi. Cotale argomentazione torna utile anche nell’affrontare un altro aspetto importante insito in un cazzo e in una figa e/o culo: il bidet. Elemento, come notato, presente anche in Everyone going down. Ma prima, per dar ragione dell’importanza del risciacquo bideale pigiamo play sul tastino e guardiamo a cosa può servire nel concreto un bidet. Il filmato didattico in questione si chiama My step brother black. Qui troviamo raccontate le simpatiche vicende di due fratelli neri. Due fratelli che, come nella miglior tradizione tarantiniana, vengono presentati attraverso un loro lungo interloquire all’interno della loro bella casetta. A quanto pare, dall’Europa è arrivata la sorellastra con la sua valigia di cartone e i due vogliono ristabilire i rapporti interrotti. Dopo due minuti e mezzo di interscambi ecco sbucare nella cucina Valentina Nappi – cioè la sorellastra - con indosso una canottiera bianca e dei pantaloncini rosa. Valentina cerca una bustina di tè ma appare subito chiaro che i due vorrebbero ben altre bustine di tè. Le discussioni proseguono. Al decimo minuto dalle parole si passa ai fatti. Valentina si è cambiata d’abito, ma solo per spogliarsi davanti ai fratelli. Saltano i pantaloni e si palesano le aste, nere, possenti e succulente. O almeno è così per Valentina che si lancia in fellatio riscaldanti. Il primo ad entrar in Valentina è il fratellone. Poi tocca anche all’altro. I tre sembrano in perfetta sintonia e il divano bianco sul quale si muovono appare perfettamente a d’uopo. Si passa successivamente su un divanetto nero e la situazione si fa ancora più bollente. Valentina pare apprezzare molto la prestanza nera. Al ventiquattresimo minuto quando sono tutti in piena onda calorifica ecco il momento sodomia portami via. Con delicatezza e ridacchiando il fratellino (che tra l’altro ha un tatuaggio sopra il pube) si addentra nell’anello stretto di Valentina. Il liquido lubrificante le cola sulle cosce. Sotto la natica destra si vede un piccolo graffio ormai in fase di guarigione. Esaltato dal luccichio del gel lubrificante ecco glorificarsi il panettone della Nappi. “Con il cuore nel culo non hai sentimenti da esprimere”, canta il Bugo. Tuttavia in questo My step brother black di sentimenti in culo ve ne sono; c’è una certa forma di cuore. Inoltre, come corollario all’Epistola ai Pisoni di Orazio, qui abbiamo anche la felice commistione tra l’utile e il piacevole. Il lavoro di attrice porno e il piacere nello svolgerlo. L’Epistola ai piselloni di Valentina Nappi. 
Tornando alla callipigia nappale, l’inquadratura permette di concentrare in un unico quadro il suo panettone con dentro l’asta nera e possente del fratellino, la vagina depilata e le tette in movimento e i capezzoli turgidi. Sempre restando nelle retrovie si passa a posizioni altre. Fratellino a terra con Valentina seduta sopra e fratellone in piedi con lei che lo assaggia come ai tempi dell’estate col Calippo. Allo scadere del ventiseiesimo minuto il cerchio si chiude con la doppia penetrazione. Mentre il fratellino sta dietro ecco entrare nel davanti di Valentina l’ebano del fratellone. Non si può qui nascondere il fatto che il fratellone si bei di dimensioni un filino più ampie e lunghe rispetto al fratellino. Valentina è in estasi totale, due bei maschi tutti per lei. Se alla Staatsbibliothek di Berlino hanno la copia originale (nella versione a noi nota, l’Hamilton 90) del Decameron, la versione originale della Nappi e tra le minchie di due afroamericani. Il sudore avanza e anche gli sguardi tra i protagonisti. Nel variare delle posizioni non variano le dinamiche; pare ormai sia il fratellino l’addetto alle retrovie. Il gel cola ormai ovunque. Poi ecco che il fratellino si allontana, un piccolo lavaggio fuori scena ed eccolo tornare per farsi salutare dalla bocca della Nappi. La frenesia abbonda e quando sembra che le dimensioni maggiori del fratellone lo ostacolino sul fattore retrò ecco la smentita. Valentina si siede su di lui e una bella fetta del bel calumet nero scompare tra le sue natiche. Intanto il fratellino si concede ad una profonda fellatio. Senza farci distrarre da un orologio da polso e dal diastema tra gli incisivi centrali del fratellone ecco che l’estasi supera ogni anfratto e si va avanti con i plop plop dell’edonismo. Tra lo smalto turchese della Nappi e i calzini di successo del fratellone l’accoppiamento prosegue feroce. Valentina ci regala ogni tanto un twerking, coadiuvante nello spingere in dentro e tutto intorno il sigarone nero. Il topos della doppia penetrazione  si ripete e si va ad oltranza. Con un campo largo possiamo notare un tavolo con sopra una scacchiera; in barba alla posizione di Saavedra qui il nero muove e vince. 
Al cinquantesimo minuto si va ancora di culo. Ormai ogni schema è saltato e tutto par andare verso un finale non ancora scritto. Il volto della Nappi parla da sé, ci comunica un lontano modello ellenistico: il paignion, il coinvolgimento totale nell’arte per l’arte. Siamo insomma dalle parti degli Erotopaegnia diLevio. Ecco or dunque il fratellino addentrarsi nelle retrovie, con la Nappi stesa sul pavimento e con le natiche issate grazie al divano. Un affondo globale, senza dubbi e senza incertezze. Stappato il pene del fratellino dal buchino chiappale ecco arrivare subito quello del fratellone che torna a scaldare le piccole labbra e poi giù, giù fino al mattino. E poi di nuovo il fratellino che si addentra ancora dietro. E intanto il modellino di un cavallo in vetro appare alle spalle di Valentina. L’ano predomina sul finale mentre il fratellone, in piedi, è pronto a far sgorgare il nettare bianco-grigio dalla fonte. Rapidissimi movimenti di mano e les jeux sont faits. Rien ne va plus. Valentina si fa inondare felice e manda giù. Come il braccio della manina di gomma che trovavi sul pacco delle patatine, una striscia si incolla lungo la guancia della Nappi. Un quantitativo adeguato all’impresa. Con il contorno bocca tutto colmo c’è ancora da pensare al fratellino che laggiù spinge a più non posso. Spinge, spinge il ragazzotto ed ecco – finalmente – anche il momento spruzzo dal suo pertugio. Dopo un secondo di attesa arriva il bianco-grigio, in piena bocca aperta e anche tutto intorno. Il fratellino e il fratellone si ricongiungono in forma densa sul viso e nella gola di Valentina. Anche il fratellino può vantare una produzione liquida di tutto rispetto. La magia dell’amor cortese è completa. Anzi, quasi completa. Il colpo di grazia finale è in agguato. Vediamo i tre sul divano, appagati e presumibilmente rinfrescati da una doccia (di acqua). Valentina guarda la videocamera e fa il suo eclatante annuncio: “Sono incinta”. I due fratelli si guardano. Chi sarà stato?
Come si può facilmente evincere, a seguito di questi accoppiamenti, il bidet è uno strumento del nostro quotidiano molto importante. Bidet e sesso sono strettamente interconnessi. Se ne prese atto già da tempo. In una stampa del 1843 intitolata Il Concerto si vedono una donna nuda seduta sopra un uomo nudo. Stanno facendo sesso ma con una graziosa variante. La donna è seduta sull’uomo dandogli le spalle. Una posa da bidet, ove il bidet è in questo caso l’uomo. Sulla schiena di lei è srotolato uno spartito e l’uomo si prodiga nel suonarlo con un violino. Sesso igienico in musica o musica come sesso igienico. Il bidet, si capisce, è un oggetto oltremodo legato all’atto sessuale. Non a caso nelle produzioni più sofisticate (il bidet era destinato ai ricchi) si possono trovare scritte sulla ceramica del tipo: “lasciate che i giovani vengano a me”. Oggetto da ostentare or dunque. Allora come non giustificare Madame de Prie che vide bene di ricevere il marchese d’Argenson facendosi trovare seduta sul bidet? Buondì mio caro marchese. Andato bene il viaggio? L’igiene intima forever. Dalla prima metà del XVIII ad oggi il bidet ha accompagnato con mestizia, discrezione e disincanto la nostra bieca e miserabile vita. Da aggiungere però che per i nostri baldanzosi antenati, l’oggetto bidet non era solo visto come una piacevole allegoria sessuale. Il bidet era anche un bel diavolo con corna e fuoco e fiamme giacché era l’oggetto sempre pronto a “vanificare gli effetti del coito, distruggendo e facendo sparire dalla vagina la materia fecondante che vi è stata depositata dall’uomo”. Un prete si sarebbe astenuto dal benedire un bidet. Oggi appare un filino assurdo ma non poche fanciulle ripiegavano sul bidet come anticoncezionale. In alcune parti del Belpaese il rimanere accidentalmente incinta veniva anche detto “baciare il culo a Caino”. Or bene, per non baciare il culo a Caino lavarsi il proprio culo era accuratezza consigliata (anche dal medico di famiglia). Sempre a proposito di culi, non posso in tal sede astenermi dal menzionare l’altro metodo anticoncezionale. Una pratica che – come si è visto nei filmati con la Nappi – pare pressoché infallibile. D’altro canto sia san Tommaso che la credenza popolare concordavano sull’argomento. San Tommaso diceva “paulisper tantisper licet ludere in ano”. Un noto detto veronese concordava dicendo “casso in culo no fa fanciullo”. E pensare che a partire dalla metà del Trecento a Venezia erano apparsi i “Signori di notte” e che agli inizi del Quattrocento vigilavano su Firenze gli “Ufficiali di notte”, magistrati e agenti speciali che avevano il compito di scoraggiare la sodomia***. Contro la sodomia si mossero “provvedimenti legislativi, giurisdizioni apposite, commissioni dedicate”. 
La battaglia contro il culo fu così agguerrita che a Venezia “nel 1467 una legge impose a chirurghi e barbieri di denunciare chiunque si fosse rivolto a loro per lesioni sospette”, al che io mi chiedo cosa c’entrasse il barbiere. Denunciare chi era “rotto in quelle parti” era un dovere di tutti e non c’era molto da scherzare perché ad esser condannati si rischiava il rogo, la decapitazione o – se ti diceva bene - la fustigazione, la marchiatura e l’amputazione di un arto. Come rispondono Valentina Nappi e i suoi amici a questo funesto atto che secondo il Concilio Lateranense del 1179 portava alla esclusione totale ed eterna dalla comunità dei fedeli? Come si mostrano la Nappi e i suoi amici innanzi a quel vizio che per san Bernardino rendeva iracondi, servilmente blandi e incapaci di tutto? In che modo reagiscono la Nappi e i suoi amici nudi a riguardo di quell’atto che per santa Caterina da Siena puzza? Lo si è visto bene in My step brother black, l’incontro tra i fratelli e la sorellastra europea. Facile quindi evincere la portanza di questi filmatini. In pochi minuti trovano accesso ataviche tematiche e assonanze. La musicalità del sesso, l’inesausta abluzione intima e la sicurezza in culo. E la seduzione? Che fine fa la seduzione? Per il Jean Baudrillard di Della seduzione, la pornografia è assenza di seduzione; un’assenza da imputare alla “sovrabbondanza di realtà”. Un po’ come vedere un film ad altissima definizione, amplificare le nostre naturali capacità visive. Il sesso del porno è – sempre per Baudrillard – un iperreale, un “voyeurismo della rappresentazione” nonché “l’irruzione dell’osceno”. Un sesso esasperato. Troppo vicino, troppo a fuoco. A tal riguardo mi chiedo cosa Jean Baudrillard potrebbe dire dei prolassi anali autoindotti, dei divaricatori, dei musi di tinca portati allo scoperto. Parti nascoste che vengono messe a contatto, leccate, spruzzate. In tal guisa, credo di poter quasi concordare con Jean quando scrive che la pornografia non è la festa del sesso ma è il festival del sesso. Nel senso che per me la pornografia è sì il festival del sesso ma è anche la festa di chi quel sesso lo fa. Il festival dello spettatore e la festa degli astanti sul set. Ed è questo che solitamente eccita gli animi. È questo che porta a farsi una bella sega: l’idea che loro stiano godendo e che tu li stai guardando. In questo caso non è la pornografia ad essere una caricatura del sesso (come dice Baudrillard) ma sei tu, seduto sulla sedia ad essere una caricatura del sesso. Baudrillard parla di pornografia nei termini di “visione truccata”, per me invece è lo spettatore a scoprirsi truccato. Truccato e frustrato giacché guarda ciò che a lui non è concesso. La pornografia non è tanto una “illusione demente” ma siamo noi spettatori ad esserlo. Siamo noi a vivere la demenza dell’occhio che guarda un monitor facendosi una sega. È non è neanche poi così vero che il culmine del porno è la cancellazione del volto. Nel trionfo della pornografia, scrive ancora Baudrillard, “gli attori porno non hanno un volto” e aggiunge che “Qualsiasi volto è inopportuno, perché spezza l’oscenità e riproduce senso dove tutto mira ad abolirlo”. Superfluo dire che non sono per niente d’accordo. Nel porno il volto ha la sua porca importanza. Personalmente i volti delle attrici baccanti sono tra le cose che maggiormente apprezzo. Un volto che gode. Uno sguardo che porta con sé il fraseggio di una prenotazione, vaginale o anale. La seduzione nel porno sopravvive proprio in quel volto. Non è cosa inconsueta imbattersi in attori che si cercano con gli occhi, che vogliono vedersi in faccia. In questo il bacio assume un carattere estremamente forte. Il “buon sesso” quindi non è quello non pornografico ma è anche quello pornografico. Altresì, vedere il porno come una esasperazione dell’atto sessuale può semplicemente segnalare una nostra stoica esasperazione dell’atto non sessuale. In qualche modo la ricerca del sensuale appare così un mero esercizio di castrazione. Una scusa o una giustificazione e al contempo una esaltazione del proprio modo di intendere il cazzo. Degradare il porno (il che è quasi un paradosso) può rivelarsi un modo come un altro per giocare a chi ce l’ha più lungo. Un modo come un altro per fare del proprio aulico contegno un ideale castrante non distante da quello che andava di moda tra il III e il IV secolo. Cosa dice Valentina Nappi a riguardo? Dice Ma succhia!

* Nuova rivista musicale italiana, numero 3 Luglio/Settembre 2011
** L’identità by Claude Lévi-Strauss

*** Due in una carne – Chiesa e sessualità nella storia by Pelaja & Scaraffia

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