THE HATEFUL EIGHT di Quentin Tarantino (2015) La cosa in otto
Ciao caro gattino. Come forse sai io non è che abbia apprezzato tantissimo Django Unchained, non mi aveva esaltato come invece è stato per molti simpatici spettatori. Lo avevo trovato debole, quasi irritante, un po’ troppo fumé con quel suo un gigionismo spinto. Un Tarantino troppo fiducioso dei suoi stessi mezzi. Per me Django Unchained è un film spocchioso al quale avrei tirato volentieri una scarpa in faccia, ma all'epoca faceva freddo e la scarpa mi serviva. Anche in questi giorni fa freddo (ora che scrivo sono nel passato invernale) ma non abbastanza. Il clima “è impazzito” e la fine del mondo si avvicina sempre più. E questa è una dannata buona notizia. Or bene non so quanto possa dipendere dal clima se mi ritrovo a trovare fiacchi film che per gran parte delle persone sono fighi. Revenant si è portato a casa un Golden Globe come miglior film, anche DiCaprio ha vinto e il film ha vinto anche agli Oscar. Io invece Revenant l’ho trovato poco vincente, inutilmente prolisso ed espositivo ed ho trovato l’interpretazione di DiCaprio riassumibile con un “uomo che fa versi si muove sulla neve e a volte mangia”. Certo ha fatto nettamente di meglio rispetto al Vincent Gallo di Essential Killing (ruolo per il quale ha vinto come miglior attore a Venezia) ma proprio non ci riesco a vedere grandi cose in questa sua nuova fatica. Ho trovato assai debole anche 45 anni di Andrew Haigh ed era pure un film sul quale riponevo molte speranze se non il senso stesso della mia vita. Idem per quanto riguarda Carol. E se Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza si salva sul rotto della cuffia (scagazzando qua e là), orbene, eccetto Room che mi ha colpito in positivo nonostante non mi abbia fulminato totalmente, è da molto che non riesco a trovare il giusto e definitivo equilibrio tra aspettativa e ricompensa. In qualche modo mi sento come il cane di Pavlov poco prima di decidere di uccidere Pavlov. Molto probabilmente su tutto pesa il mio bargiglione esistenziale nonché il mio sempre più acuto senso di nausea per me stesso e il me stesso che ha il senso di nausea per se stesso. Sì, lo so. Potrei rilassarmi con una Red Apple e un bel bicchierino di snakebite, peccato però che non fumo e peccato che il mio bel fegato pare abbia prenotato un posto lato finestrino sul volo del non ritorno. Or dunque, ecco The Hateful Eight ed il ritorno di Quentin Tarantino al western tutto battute e grottesca simpatia.
Può anche essere che vi sia qualche essere umano ottimista pronto ad includere codesta ottava fatica ( e mezzo) di Tarantino tra le sue cose migliori e magari vi sarà anche qualche altro essere umano che parlerà di film violentissimo e misogino. Io, dopo averci riflettuto attentamente, credo che The Hateful Eight non è il miglior film di Quentin. Sia perché lui ha fatto nettamente di meglio e sia perché imbastire una classifica può risultare fuorviante. Penso poi che questo non è neppure un film di ultra violenza iper-maschilista. Direi, sintetizzando al massimo, che The Hateful Eight è una divertente pièce che ingloba in sé La Cosa di John Carpenter e Dieci piccoli indiani di Agatha Christie. Storie di gruppi di persone bloccate dal meteo all'interno di una abitazione. Persone che scoprono che tra di loro vi è qualcosa che non quadra. A dispetto del romanzo di Agatha Christie e di quella graziosa e rivelatrice filastrocca sul tizio di colore, qui non abbiamo un omicidio commesso ma un omicidio che deve ancora avvenire. Un ribaltamento assai interessante dell’enigma della camera chiusa. Non sto svelando nulla, tale aspetto viene subito specificato nel film nonché nel trailer. Una donna deve essere giustiziata ma le intemperie ritardano la mano del boia e quindi intorno a questa attesa mortale i nodi non si stringono sul collo ma vengono sciolti. Con l’abilità che lo contraddistingue Tarantino approfitta di un tempo in sospeso per parlare a suo modo di razzismo, giustizia e gente che s’ammazza. Insomma, un western tinto di giallo che in sostanza racconta l’attualità, nella fattispecie quella americana. Quel tipo di realtà che ti fa dire che “un nero è al sicuro solo quando un bianco è disarmato”, quel tipo di realtà che può controbattere che “quando i neri sono spaventati i bianchi sono al sicuro”. Or bene, chi è poi al sicuro quando tutti quanti hanno una pistola?
Abbracciando cotale prospettiva, vale a dire quella politica, il film acquista spessore o, come si suol dire, fa un salto di qualità e quasi non ci si fa caso. Nel senso che il film ha i suoi momenti spassosi. Rimani lì, affascinato da questi dialoghi che sono sferzate sanguinolente non particolarmente sofisticate (non è necessario che lo siano) e guardi questi puzzolenti ominidi ammassati in un accogliente microcosmo. Bevono caffè, si squadrano, rumoreggiano, mangiano lo stufato grugnendo, convivono e attendono. Da spettatore poi ci ripensi su un attimo e realizzi che in fondo in fondo stai assistendo ad una messa in scena dell'oggi. Quei personaggi condensano in modo esasperato un'attualità razzista e violenta, una violenza che nasce dal boia, ossia il giustiziere è il più boia di tutti. L'oggi raccontato attraverso il passato. La guerra civile americana è da poco terminata ma in pieno Wyoming (nome che sembra lo sproloquio di un ubriaco), all'interno della graziosa merceria di Minnie, il conflitto non si è ancora assopito. Come sua consuetudine, prima di iniziar a sfoderare lo sfoderabile, Tarantino diplomatizza. Vale a dire che per gran parte del film il conflitto è orale (in tutti i sensi). Il dialogo è sempre stato il pezzo forte di Quentin e in questo suo ottavo film e mezzo si parla per tre ore. Hold it black fella! That's right, buster! I'll be double dogged damned! Goddamn it! Gimme that fucking gun! That fuckin' thing is busted! In lingua originale la musicalità del tutto è garantita e ciò mi piace assai. Ogni protagonista ha le sue personalissime note, il suo modo di lustrare i timbri. La fonia acquista nell'inglese un ottimo, come dire, surplus caratterizzante. Un concerto di personalità. Molto divertente anche in tal senso codesto The Hateful Eight. Un peccato guardarlo doppiato. Caro gattino, or dunque se puoi guardati la versione originale. Per dire, senti le sfumature nella voce di Samuel L. Jackson? Il doppiaggio lo rende più aggressivo, più tutto d'un pezzo. Lui invece ha questa voce, come dire, con più contorni.
Tanti dialoghi quindi e tanta durata. Okay, il film dura parecchio, ma la durata quasi non si avverte ed è tutto merito - per l'appunto - dei dibattiti che si accendono nel gruppo. Alla fine di ogni capitolo hai voglia di vedere come continuerà. Cosa combineranno mai questi tizi? I tizi. Tutti gli attori sul palcoscenico se la cavano alla grande. Samuel L. Jackson e il suo Maggiore Marquis Warren tengono brillantemente le fila, Kurt Russell è un orso burbero ma dal cuore tenero, Walton Goggins che interpreta un tale di nome Mannix è - per quanto mi riguarda - la sorpresa del film e Jennifer Jason Leigh è fantastica. Piazzata così pare che The Hateful Eight mi abbia fatto impazzire. In realtà non prorio. Per qualche ragione se fossi a teatro penserei di aver visto un qualcosa di strepitoso, qualcosa che vorrei subito tornare a vedere. In un’ottica cinematografica invece il mio entusiasmo viene misteriosamente meno. Devo ancora capire bene perché; forse il mio problema è di carattere unicamente esistenziale. Troppe cose per la testa durante la visione del film. Forse dopo Revenant avrei dovuto prendermi una pausa di riflessione dalla neve. Forse durante le feste ho ingurgitato una quantità spropositata di pandori e cioccolati, forse Babbo Natale mi è cascato con tutto il culo sulla faccia e poi si è messo pure a fare l’angelo sulla neve o forse ho semplicemente bevuto troppo cagando poi male il giorno dopo. In fondo anche Plauto ha avuto le sue giornate no. Plauto amante del grottesco, delle situazioni assurde. Magari a lui sarebbe piaciuto assai The Hateful Eight, giacché anche Plauto amava render protagonisti delle sue commedie i cosiddetti mascalzoni e gli schiavi. Oltretutto il celebre commediografo latino è il promotore del detto lupus est homo homini e nella merceria di Minnie a cosa assistiamo se non alla messa in scena di cotale espressione? In tal guisa penso che vorrei vedere Quentin impelagato in una storia senza gente che ha una pistola a portata di mano, giusto per capire quali soluzioni potrebbe trovare non avendo quella più eclatante soluzione. Come sciogliere tutto quel rancore, quella rabbia, quel senso di ingiustizia e quel bisogno di giustizia utilizzando mezzi non violenti? Sarebbe interessante vedere un film così di Tarantino. Per ora c’è The Hateful Eight e la polvere da sparo. Pistole a go go quindi ma, come ribadito, la pellicola (termine quanto mai azzeccato) non è così violenta come magari è stata furbamente presentata. Diciamo che prevale il comico e questo porta a dare alla violenza un carattere ugualmente divertente. Diciamo che c’è più violenza in una scoreggia di Salvini.
In egual misura anche nel presentarlo come un film misogino si va oltremodo fuori strada. Tarantino non è di certo un bieco maschilista, basti dare una fugace occhiata alla sua filmografia per rendersene conto. Sì, qui c’è Jennifer Jason Leigh che prende un sacco di botte ma se si sta a polemizzare su questa cosa allora si è nella totale incapacità di scindere la finzione dalla realtà. Se su Vanity Fair si tende a chiamare manzo ogni uomo particolarmente bello perché non si può dare un pugno a Daisy Domergue? Inoltre, Tarantino regala a Jennifer Jason Leigh un personaggio molto fico. Il personaggio più riuscito del film. Una scheggia impazzita, una donna tanto squilibrata quanto amabilmente assurda. Una donna capace di salutare col naso, una irrequieta fanciulla che sa decantare storie di vita vissuta. Non si può fare a meno di guardarla, vuoi sotto le note dei White Stripes o sotto il viso insanguinato. Azzeccata anche la scelta del suo compagno di viaggio, un Kurt Russell molto in forma. A ben pensarci, i due sembrano padre e figlia in terapia di coppia obbligata. Cavolo Kurt Russell. Pensiamoci un attimo. Te lo ricordi in Grosso guaio a Chinatown? Sei pronto? Sono nato pronto. Ah, per non parlare di Jena Plissken. Un nome che riecheggia anche in The Hateful Eight, non proprio una citazione giacché si sa che in originale, nel film di Carpenter, lui si chiama Snake. Tuttavia nel contesto italico la cosa fa molto citazione. E magari lo è, conoscendo Tarantino. Carpenter, giustappunto. Il regista de La Cosa (filmone pure quello) e quindi storie di persone chiuse in un unico ambiente e costrette ad interagire. E quindi ancora Kurt Russell ma anche Morricone. Un Morricone in contrasto con Tarantino. Tarantino lo ha cercato, lo ha bramato e il simpatico compositore - stando a voci di corridoio - lo ha un po’ mandato a ‘fanculo. Nulla di sgradevole, solo che per Morricone - o per la sua voce nel corridoio - il regista americano è uno che usa la musica un po’ a caso. Un regista con un senso incoerente della colonna sonora. Caro gattino, a dispetto di ciò sappiamo ben bene che non si può negare che Tarantino faccia un uso geniale della musica nei suoi film. Fortunatamente poi la questione si è ridimensionata. Per fortuna The Hateful Eight ha sistemato le cose. Tarantino è andato a casa di Morricone e pur di averlo nella colonna sonora gli ha detto "Caro Ennio, scrivimi qualcosa. Qualsiasi cosa. Fai quello che te pare ma please scrivi". E così Morricone, pensando quanto fosse simpatico questo Quentin gli ha risposto okay, "Faccio quello che posso". Detto fatto, il buon Ennio Morricone oltre ad aver tolto dallo scatolone in soffitta brani non utilizzati da La Cosa di Carpenter (Eternity, Bestiality e Despair) e ad aver ripreso il Regan's Theme da L’Esorcista 2, ha composto una nuova ed entusiasmante colonna sonora. Colonna sonora che (aperta parentesi) non include il brano Ester nonostante in rete e alla radio - in trasmissioni squisitamente cinematografiche - mi è capitato di ascoltarla venduta tipo: ed ecco un brano – “una partitura” - dalla colonna sonora di The Hateful Eight firmato da Ennio Morricone. Peccato che Ester non solo non appare in The Hateful Eight ma non è neanche di Morricone ma degli svizzeri Lautsprechers (chiusa parentesi). La colonna sonora di Morricone appare qua e là nel film e non è orrida anche se il buon Ennio ha composto nettamente di meglio. In sua difesa va detto che lui è arrivato a cose fatte ma pare che per la prossima volta i due amigos inizieranno a lavorare insieme da subito. E in ogni caso è stato bello l’Oscar a Morricone perché se lo meritava da sempre.
Ma parliamo di cappelli e cappotti. Un altro elemento che ho assai apprezzato del film, forse l’elemento che in assoluto mi è piaciuto di più sono i costumi. Sono bellissimi! E mi viene proprio da usare questo superlativo così esagerato tipo una adolescente che guarda il suo brufoloso ragazzo con la fica un pochetto bagnata e con l’dea che il principe azzurro esista. Il lavoro fatto sugli abiti dei protagonisti è eccezionale e mi sarei aspettato una bella candidatura ma invece ciccia. Quegli abiti sono caldi, e non solo nel senso che tengono caldo. Sì, lo so caro gattino che tu avresti sonnecchiato felice sul vestito peloso di Kurt Russell. Quegli abiti sono maledettamente disegnati a dovere sui personaggi che li abitano. Come dice la costumista stessa*, fondamentale è il lavoro sugli archetipi quali il cacciatore di taglie, lo sceriffo, il prigioniero, la damigella in pericolo. Partire da lì e poi giocarci e stravolgere. E trovo molto azzeccata e divertente l’idea del personaggio di Michael Madsen, uno “appena uscito da una scatola di giocattoli” per quanto è agghindato come il tipico cowboy. Ho un serpente nello stivale. Tanto di cappello – da cowboy – a Courtney Hoffman, la costumista. In soldoni, The Hateful Eight, film divertente che regge con sicumera le quasi tre ore di lunghezza. Ma il fatto che sia un film divertente è positivo parlando all'interno di una lunghezza di tre ore? No. Sì, ottimi attori, dialoghi accattivanti, costumi magnifici però… C’è un però grande quanto la merceria di Minnie. L’impressione finale è che sia un film di pistole caricate a salve. Non c’è un qualcosa di pregnante, qualcosa che ti faccia sussultare. Come detto, c’è il sottotesto politico attuale. C’è la questione razzismo. Elementi che sì sollevano il livello ma non è sufficiente. Alla fine è come aver partecipato ad un gioco. Il gioco degli otto o dei nove (giacché nella conta viene ingiustamente ignorato il cocchiere). The Hateful Eight non ha per fortuna il compiacimento di Django Unchained, vive con maggior cura l’esibizionismo fine a se stesso. Tuttavia il tratto del film ha un che di finto. Gli otto brutti, sporchi e cattivi sono troppo puliti. Tutti belli impostati, tutti molto personaggio da ricordare. All'apice di questo tratto barocco, come esempio non plus ultra, c’è Tim Roth travestito da Christoph Waltz. Insomma, sembra che tutto quello che ci viene mostrato debba essere accattivante. Tarantino si rifiuta di tagliare, di snellire. Tutto gli piace troppo. Gli piace anche mostrare uomini che mettono dei pali sulla neve. Questo abbondare toglie molto al film. Un film che se fosse stato un pochetto più piccolo ne avrebbe magari guadagnato. The Hateful Eight, diciamo che è un film che fa la sua bella figura. Niente di eccezionale, niente di incredibile o pazzesco ma neppure un qualcosa di inguardabile. Si salva, diciamo, di mestiere. Si salva come una Alba Rohrwacher tutta pimpante e con le treccine. Inoltre nonché in conclusione, mio caro gattino sai cosa vorrei? Nonostante tutto io vorrei gli action figures di John Ruth (Kurt Russell) e Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh). L’uno legato all'altra. Sarebbe fantastico. E già che ci sono vorrei anche un giocattolino di Mannix (Walton Goggins) con un pulsante che se lo premi gli fa dire “Ohh, I'll be double dogged damned!”. Bè caro gattino, fammi sapere come ti ripari dal poco freddo inverno. Già ti vedo, tutto appallottolato nella tua cuccia. Buona visione caro gattino e, come si confà a Plauto, exporgi meliust lumbos atque exsurgier: Tarantina longa fabula in scaenam venit.
*http://deadline.com/2015/12/courtney-hoffman-hateful-eight-costume-designer-interview-oscars-1201668405/#content
Commenti
Posta un commento