SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN di Ridley Scott (2015) L’astronauta pasticcione
Scismi bellissimi dentro Matt Damon, il simpatico astronauta abbandonato su Marte. Scismi che più che un pasticcio costituiscono una via di salvezza in seno alle retrovie. Ed è giustappunto a seguito delle feci che sento di dover espletare un sintetico (e a posteriori) giudizio: The Martian mi ha fatto abbastanza cagare. Due ore e venti seduto sulla poltrona del cinema, circondato da un voluminoso universo giovanile con quel tipico odore di giovani, ossia un mix tra cellulare e apericena. E alla fine ne evinco con amarezza, un pizzico di malinconia e un sottile timore di morte che le uniche cose buone di questo film sono l’inserimento di una canzone che in qualche modo tutti si aspettano e la nota a piè dei titoli di coda, quella che ci fa sapere che il film ha dato lavoro ad oltre 15000 persone. Mentre cercavo di leggere i nomi nei titoli di coda, facendo scivolare il mio sguardo tra il pubblico che in piedi commentava ciò che aveva appena visto, ho udito frasi come “Mi è piaciuto moltissimo!” e “Però Interstellar era meglio”. Io Interstellar non l’ho visto [ma qui vedi appendice a fondo post] quindi non posso ribattere ma posso trovare opinabili i superlativi per The Martian. Cosa c’è di maleodorante in The Martian? Tutto! Cristo, è un film dove ogni cosa fila alla perfezione. Non ci sono ombre, non ci sono contrasti, non ci sono i chiaroscuri e non ci sono neanche i due leocorni. Ci sono molte patate, c’è l’America superfica che celebra se stessa, c’è il marò Matt Damon da riportare a casa, ci sono gli scienziati simpatici. Insomma, c’è un mastodontico sorrisone che si allunga per tutto il film. Giusto per fare esempi un po’ a caso, sia in Gravity che in Castaway la solitudine aveva un peso. I personaggi vivevano dei conflitti, si addentravano nei propri fantasmi. Si vedeva che Sandra Bullock non stava benissimo nello stare sola nello spazio e si vedeva che Tom Hanks era lì lì per uscire fuori di testa. C’erano delle inquietudini e sia nel film di Cuarón che il quello di Zemeckis si intravedeva oltre tutto la possibilità del suicidio. In The Martian il suicidio lo tenta lo spettatore. Cosa dà il film? Il nulla.
Non riusciamo a sentire praticamente nulla di quello che può rappresentare l’essere gli unici abitanti di un pianeta. Passano i mesi e passano i soli nello star soli ma è come se non passasse una beata mazza. Neanche a livello temporale si avverte questo isolamento; non si percepisce quello che dovrebbe essere un inquieto trascorre del tempo. Oltre a questi graziosi difetti ecco poi arrivare una bella collezione di cose altamente improbabili. Sì, è assolutamente vero che la finzione ha delle licenze (Gravity le usava bene) ma qui assistiamo ad un campionario di risoluzioni così fantascientifiche da far sorridere anche il più ingenuo degli spettatori. Affidabilissimi teli di plastica, funzionali nastri adesivi e genialate alla Iron Man non fanno che confermare la cagata spaziale insita in The Martian. Ridley Scott ha avuto grandi intuizioni, come potrebbero dire i Bluvertigo, ma con questo film si assiste solo ad una ingloriosa defezione in punta di defecazione giacchè ci scappa pure una bella immagine di Matt Damon cagante. Okay, abbiamo il regista di Alien, di Blade Runner e anche - se proprio si deve - de Il Gladiatore(film che qualcuno ha il coraggio di definire un classico), grande Ridley Scott e bla bla bla. Ma se giri una pochezza stitica come questa non ci sono replicanti che tengano. Caro Ridley Scott, ammettilo anche tu che The Martian non è che ti è venuto proprio bene.
È un film che non si può neppure definire un compitino, non ci sono guizzi di regia o cose che ti fanno dire “Ah, Be’ si vede che non è girato da uno stronzo qualsiasi”. The Martian sembra girato da uno stronzo qualsiasi. È un piattume che scivola su elementi sempliciotti come una testata su uno spigolo. Una capocciata che ti fa sbraitare “Ma porca puttana Ridley!! Fammi vedere un po’ di cuore e di culo!” e invece nulla. Tanti sorrisoni, l’immancabile citazione da 2001: Odissea nello spazio, i momenti di simpatia con in aggiunta un irritante piccolo genio maldestro, i momenti di tensione che manco sono di tensione perché sai già come andranno le cose. Infiliamoci pure una colonna sonora di merda e anche le tipiche scene anni Ottanta di folla davanti ai megaschermi. Due coglioni! Neanche Jessica Chastain riesce a risollevare la media. Ci prova a fare espressioni facciali che spremono ogni più piccolo muscolo del suo bel visino ma non le riesce di migliorare il basso livello introspettivo del suo personaggio. E su Marte? Su Marte Matt Damon ride molto, gira video, sotterra la cacca, si fa docce, guida, mangia. Anche il suo comprensibile deperimento fisico rispecchia l’andazzo del film: è inutile poiché è finto.
Ne La storia universale della natura e teoria del cielo, Kant scrive in allegria che “un essere è tanto più perfetto ed eccellente quanto più si trova lontano dal sole”, nel mezzo di questo quadro planetario troviamo l’uomo in bilico tra istinto e ragione. Sta all'uomo rintracciare il polo più consono. Non si può dire che l’astronauta Mark Watney sia in effetti un astronauta pasticcione (se non per la cagatio utilitates), lui sa combinare brillantemente sia l’istinto che la ragione. Il suo restare in vita è una struttura. Come la costruzione di una scala. Un vero e proprio maestro di sopravvivenza al quale molti di noi vorrebbero fare un sacco di belle domande. “Scusi, come si fa a fare un film di due ore e venti senza lasciare poi nulla allo spettatore?”. Una seconda possibile domanda potrebbe essere “Signor Matt Damon, ma lei la devono sempre salvare?”. Già perché questo sarà almeno il terzo se non addirittura quarto film dove Matt si trova a vivere il simpatico tòpos della salvezza cercata. Sì, l’abbandono è una brutta cosa, si pensi alla Fiammetta di Boccaccio. Quanti patimenti per quel Panfilo. L’amore elegiaco in seno all’abbandono sarà pure la base fondamentale della lirica occidentale ma sento di poter dire che magari al prossimo giro lasciamo che Matt se la cavi da solo.
APPENDICE – Codesto post l’avevo scritto in concomitanza con la presenza in sala del film medesimo ma poi, con il tempo e con gli eventi alla fine Interstellar l’ho visto. L’ho visto per ben due volte. Alla prima visione mi era piaciuto assai, alla seconda leggermente di meno. Avrei voluto scriverci qualcosa ma mi sarei dilungato troppo con sconclusionate discettazioni a proposito della paternità, dell’intersoggettività, della natura umana, della contingenza, dell'affettività, dell'archetipo sentimentale, della condivisione, della paura, dell'idea restaurativa in seno al concetto di origine per Walter Benjamin, del suono della pioggia nello spazio. Gesù. Ho lasciato perdere. Chissà se qualcuno ha pensato di fare un simpatico mash-up tra The Martian ed Interstellar, in fondo i presupposti ci sarebbero.
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