SONO NATO, MA... di Yasujiro Ozu (1932) Io e il mio onigiri

In breve. Il più tipico shomingeki di Ozu nonché il film per il quale si è fatto notare (dopo aver girato una ventina di pellicole) sia dalla critica che dal pubblico. Il microcosmo bambinesco, con regole e gerarchie e il macromagma adulto, con uguali regole e gerarchie. Il tutto condizionato da quello che appare essere l'ineluttabile, una condizione esistenziale difficilmente modificabile. Per la gioia di Schopenhauer and Co. e per l'infelicità di tutti quelli del “vedrai che le cose cambieranno”. Alla fine, cambia poco ma il raggiungimento a cotale verità è il vero campo da percorrere. Vabbè, nella vita ci vuole anche una bella dose di culo. Altrimenti alcune cose non si spiegherebbero. Sono nato, ma... Un inizio in fase comica. Ozu pedina i due bambini protagonisti, registra le loro buffe smorfie e il loro andirivieni tra la scuola e la casa, più quello che c'è in mezzo, che è quello di cui i due fratelli farebbero a meno: i bulli di quartiere. Bulli verso i quali possono piegarsi, fuggire o rispondere a colpi di geta (gli zoccoli di legno). Prendersi un geta in testa non dev'essere piacevole. Poi vi sono le soluzioni alternative, ossia quelle soluzioni alle quali i bambini arrivano certo più facilmente. Un recinto sociale, quello dei bambini e degli adulti, circoscritto dai binari del treno nonché dal pericoloso transito degli stessi. Anche il treno, mezzo di fuga, alla fine ritorna sui propri passi, cioè sui propri binari. L'individualità soffocata dal necessario. Il necessario studiare, studiare che ti porterà a lavorare, lavoro che è cosa buona per sopravvivere e quindi il necessario continuare a lavorare, con il sottostare ad una coriacea catena di montaggio. E tra l'altro il termine coriaceo pare essere in disuso e in tutto questo alienante meccanismo come non prendersi una meritata pausa spuntino con gli onigiri?
Cavolo, anche io vorrei un onigiri. Sembrano così gustosi. Me ne nutrirei in primavera, seduto in un qualche luogo verdeggiante, un locus amoenus per eccellenza. Io, una birra (due, tre, quattro...) e il mio onigiri.  Me and my onigiri, a distanza dal sinecismo di Ione, e quindi dal fulcro urbano. Fuori dall'urbano, incorniciato dal non so che, il nescio quid di un luogo che mi coccola. Felice nel rotolarmi, nel farmi di terra e prati e moscerini. Puzzolente come Leonzio Pilato ma egualmente curioso e bizzoso. Il tutto in un trionfo di... Il film!Dicevo, il film abbraccia ancora - seppur in misura minore - l'interesse di Ozu per la tecnica cinematografica, basti osservare l'uso delle carrellate (in certi momenti un uso ironico: la nota scena degli sbadigli); cosa questa che verrà successivamente abbandonata nei film successivi, in favore di una invisibilità della macchina da presa e di un interesse per la sottrazione. Tutto questo non lo so perché sono un fenomeno o perché ho visto l'intera filmografia di Ozu (il che sarebbe comunque impossibile giacché, se non erro, un terzo dei suoi lavori è andato perso o distrutto o entrambe le cose) ma perché ho letto alcuni stralci di interviste o frammenti di cose. Giusto per aver un minimo di informazione.
Informazioni tipo questa: Ozu è stato (è) un grande ispiratore per Jim Jarmusch. Fortemente colpito dal suo stile, amabilmente e profondamente influenzato. “Nothing is forced. All that is left on screen are the smallest details of human nature and interaction, delivered through a lens that is delicate, observational, reductive, and pure.”* Jarmusch che dopo una visita al museo dedicato ad Ozu è andato nel luogo dove il regista giapponese è sepolto, il cimitero del tempio Engaku-ji, nella città di Kamakura. La tomba di Ozu è senza nome e senza date, vi è solo un ideogramma cinese: . Carattere il cui significato si avvicina a quello di “lo spazio che esiste tra tutte le cose” o che più comunemente indica un'assenza o una negazione ma non in termini categorici. Il buon Jim Jarmusch racconta che, in segno di rispetto nonché seguendo la tradizione, dopo aver raccolto dell'acqua con un mestolo, l'ha delicatamente versata sulla lapide e sull'ideogramma. Non solo acqua, comunque, sul luogo di sepoltura ma anche sakè, whisky o semplici lattine di birra campeggiano innanzi alla tomba di Ozu, giacché - come ci ricorda Wikipedia - il regista nutriva una “sconfinata passione alcolica”. Passione che, assieme al suo temperamento indisciplinato, gli han causato non pochi problemi di natura economica. Fortunatamente per noi e per Ozu questa sua inclinazione non si è frapposta inesorabilmente. Il binario di Ozu aveva simpatiche mete altre. A dimostrazione che, in quella gabbia circumnavigata da un cancello metallico, ogni tanto capitano i passaggi a livello e oltrepassarli è cosa buona e giusta.


*http://www.a2pcinema.com/ozu-san/ozu/influence/jarmusch.htm

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