SNOOPY & FRIENDS – IL FILM DEI PEANUTS di Steve Martino (2015) Alla ricerca del Grande Cocomero

Forse il fatto che in Italia si sia deciso di tradurre il titolo inglese del film utilizzando un altro titolo inglese può rendere l’idea di cosa possa rappresentare questo film per lo spettatore medio. Andando al cinema la mia domanda mentale del momento era l’interrogarmi sul tipo di spettatore che poteva decidere di spendere qualche fiorino per Snoopy & Friends - Il film dei Peanuts. Non sapevo se aspettarmi bambini, adulti, giovani, vecchi. Alla fine hanno vinto i trentenni, ma per poco. I cinquantenni si sono avvicinati parecchio e si sono conquistati la medaglia d’argento. Bambini non ve n’erano ma bisogna considerare il fatto che non eravamo nel fine settimana ma nel bel mezzo della settimana. La sala era pressoché vuota e la cosa in fin dei conti non mi è dispiaciuta giacché in linea di massima gli esseri umani mi infastidiscono. Ci ha pensato però un trentenne e la sua simpatica amica a farmi sentire nuovamente in società. Nel senso che io detesto sentire i rumori. Detesto il suono dell’acqua versata in un bicchiere, il suono delle pantofole sul pavimento, il suono delle zip delle borse che si aprono e chiudono, il suono dei tasti della tastiera del computer, il suono delle pagine sfogliate, il suono della pisciata sul cesso, il suono dello spazzolino sui denti, il suono delle piante annaffiate, il suono del mondo e il suono dato dallo sgranocchiare il cibo. Ecco, i miei vicini di poltrona hanno iniziato a sgranocchiare patatine appena è iniziato il film e io mi stavo sentendo seriamente male. Ho provato a tapparmi l’orecchio destro ma non ha funzionato. Avrei voluto avere del cibo io stesso giacché se mastico non sento l’altrui masticare. È stata una piccola e irritante tortura, per fortuna dopo un po’ si sono stancati di mangiare. Sì, ogni tanto lui tossiva e si concentrava sul suo cazzo di cellulare ma almeno non mangiava più ed io ero contento di potermi guardare il film come Cristo comanda. 
Il parere conclusivo e stringato? Be’, ci ho pensato parecchio. Ho pensato alla società italiana attuale. Lasciandomi ammaliare dalle immagini dei telegiornali e dai programmi della tivì. Ho cercato di respirare meglio questo contesto. Tipo il tg1 che apre con le notizie sul papa, la faccia di Philippe Daverio sparata così troppo vicino innanzi allo schermo, i capelli di Severgnini e il fatto che esteticamente mi sembra il figlio di Gigi Marzullo e della tizia degli Everything but the Girl. Ho pensato anche al nuovo libro di Fabio Volo ma questi erano pensierini televisivi di passaggio. In realtà mi sono concentrato con maggior spessore su cose agghiaccianti come i giudici di Tu si que vales, le tette di Mara Venier e il Grande Fratello programma. Il Grande Fratello e il fatto che quei poco graziosi giovani si abbracciano in continuazione. Si abbracciano, si baciano, si toccano quando parlano e quando non parlano. Si toccano anche prima di doversi toccare. E poi c’è il programma in sé con lo struggente privato dei concorrenti che fa molto tv del dolore ma anche tv delle cose importanti della vita come le colpe dei padri, delle madri, il rivedersi dopo anni e il finalmente ho avuto il coraggio di chiederti scusa e di sputtanarmi davanti a milioni di telespettatori. Una deflagrante decostruzione del concetto di privato e di affetto. E poi il popolo del web che esprime la sua interessantissima opinione a riguardo di tutto questo mix di dolore e amore. E quindi il parere dei blogger, dei youtuber, dei fanculer. E poi la pubblicità e i minions ovunque e i problemi alla prostata e la dentiera che balla e il prurito intimo da confessare alla mamma. 
Come ci si può approcciare a questo meraviglioso mondo? Sì, perché in qualche modo lo si deve fare. Vuoi dal punto di vista antropologico, sociologico o addirittura filosofico. Come detto meglio da altri e quindi non da me, vi è in seno a tutto ciò un atto di decostruzione. Ossia, c’è l’evento che corre furiosamente verso di noi e che destruttura il senso. L’evento televisivo e quindi spettatoriale e quindi una nuova massa di cerebrolitudine sopraggiunge, non la si può ignorare. Sarà forse un'assurda battaglia ma ignorare non puoi, direbbe Francesco Guccini. Il mio ex professore di Filosofia Teoretica parlerebbe di “impensabilità attuale della scena dello spettacolo”. Questo tentativo di studio dell’evento spettacolare (e cioè della società delle immagini e della spettacolarizzazione dei sentimenti) può esser sì una faccenda fica tuttavia, per quanto mi riguarda vi è da contemplare il fenomeno della perturbazione. Ossia vi è da considerare la quantizzazione dell’energia a seguito dell’alterazione causata dall'osservazione. In altre parole non puoi guardare le tette di Mara Venier, la faccia di Barbara D’Urso, i capelli di Paolo Del Debbio, i libri di Fabio Volo e un uomo qualsiasi come Matteo Salvini pensando di poterli comprendere veramente. Non puoi guardare a pieno questi eventi e comprenderli in toto. L’osservazione genera un comportamento indeterministico. Più che guardare quindi ti ci devi inglobare, devi lanciarti in una bella spagnoletta. Ecco quindi il mass media come agente di socializzazione nonché il fatto che i media stanno lì per plasmare in allegria la nostra conformità alle norme. È poi ovviamente noto che i media più che omologare rincoglioniscono, da qui il coito di quello che si potrebbe penosamente chiamare rincomologazione mediatica. Or bene, dopo averla qui presa alla larghissima mi domando: questa società di spettatori può essere ancora interessata ad un qualcosa come i Peanuts? Il pubblico dei Minions è sufficientemente pronto a recepire i pensieri di quel bambino di otto anni e mezzo che di nome fa Charlie Brown? Penso di no.
Non mi sento molto ottimista da questo punto di vista. Nel senso che ho l’impressione che il bimbo che va a vedere questo film finisce che ne esce senza averci capito nulla e che l’adulto che esce dalla sala assieme al bambino commenta semplicemente con un “Sì, carino” e intanto pensa al come riempire il resto della sua vita o a come svuotarsi i testicoli. I Peanuts saranno sì e no vecchi di cinquant'anni, Schulz ci ha lasciati quindici anni fa. I bambini o i ragazzini di allora non ci sono più, il creatore di Snoopy non c’è più. Guardandosi bene intorno non sembra che oggi potrebbero sortire un qualche effetto delle strisce a fumetti che inglobano in sé malinconia, filosofia, acume, umorismo. Ormai sembra tutto molto grossolano. La gente va a teatro a guardarsi Enrico Brignano, i lettori entrano in libreria ad acquistare il nuovo libro di Fabio Volo, Jessica viene eliminata dal Grande Fratello, Kevin rivede suo padre dopo 46 anni, Benedetta Parodi pubblica un nuovo libro di ricette e Antonella Clerici ci racconta della sua menopausa. Insomma, davvero oggi c’è spazio per una verità fulminea e spiazzante di Linus, per un punteggiatura musicale di Schroeder, per una chiacchierata davanti al chiosco di Lucy o per un sonnellino di Piperita Patty? È normale che quel pubblico che affolla le sale per sorbirsi la carenza di idee de i Minions, che quell'orda umana che ride moltissimo di cose idiote, che quell'apparato spettatoriale svuotato da qualsiasi forma critica se ne esca dalla sala un pochetto insoddisfatto. Insomma, i tempi cambiano. Anche la spaccata di Van Damme non è più quella di un tempo. Tra l’altro, scrivendo così mi sento io stesso un vecchio. Un vecchio con lo scroto aggrinzito. Uno che si lamenta, che borbotta. In fondo Snoopy & Friends non sta andando malissimo nel Bel Paese. Okay, il film con Diego Abatantuono e Francesco Facchinetti (…) sta incassando molto di più ma comunque la situazione non è così tragica. Inoltre il film dei Peanuts non è una squallida operazione commerciale fine a sé stessa. 
Onestamente, a riguardo dei tempi che cambiano e del fatto che ora i film di animazione sono più sofisticati del mio sistema limbico, il voler riproporre al cinema i Peanuts non è propriamente un’idea vincente in partenza. C’è un certo margine di rischio. Come detto, io mi domandavo che pubblico avrei potuto trovare in sala e mi domandavo anche se avrei trovato il pubblico in sala. Qualcuno c’era, qualcuno rideva eccessivamente e qualcuno mangiava ancora più eccessivamente. Nel mezzo ecco Snoopy & Friends - Il film dei Peanuts, scritto dal figlio e dal nipote di Schulz e diretto da Steve Martino. La monodimensionalità dei personaggi non viene propriamente tradita, il mondo tridimensionale al quale ormai siamo armoniosamente abituati viene integrato da ricordi di matita, o per meglio dire dai pennini Esterbrook intinti nell'inchiostro. Da un punto di vista visivo questa unione funziona giacché da una parte viene salvaguardata la base del mondo animato di Schulz e dall'altra si ottiene una sorta di piacevole impreziosimento (esiste questa parola?) delle immagini. Insomma, visivamente il film è molto fico e molto poetico e non sfigurerebbe innanzi ad un romanzo di Leone Tostone. Volando nella terza dimensione Woodstock non perde i trattini dietro di sé e Snoopy ha tutto un mondo nuovo dove scatenare la sua immaginazione. Un mondo nuovo che è, per l’appunto, l’unica cosa a funzionare male nel film, l’unica cosa che stona assieme all'infelice scelta di inserire brani musicali assolutamente estranei all'allegra problematicità dei Peanuts. Finché la pellicola si mantiene fedele al modello originale il piacere permane. Quando invece si eccede e ci si distanzia dal fumetto i risultati sono quasi irritanti. 
Il bello di Snoopy è il suo trovare un lieto approdo nella fantasia. Noi sappiamo che Snoopy se la sta spassando, lì sopra il tetto della sua cuccia, e non c’è bisogno di saperne oltre. Quell'oltre però viene oltrepassato dal film con un eccesso di virtuosismi e rallenty francamente fuori luogo. A dimostrazione che invece i voli d’immaginazione di Snoopy riescono meglio se sbirciati per poco, c’è una sequenza nel film stesso. Da una parte un eccesso di travalicamento nell'immaginazione e dall'altra piccole porzioni di immaginario. Il medesimo soggetto e due modi di rappresentarlo. Invece di mostrare le due opzioni sarebbe stato meglio scegliere quella meno ridondante. L’errore più grossolano però è, come detto, la musica. Canzoncine innanzi alle quali Schroeder fuggirebbe col suo piano-banco. Tolte queste sviste o scivoloni nel pacchiano, Snoopy & Friends è un film effettivamente e affettivamente riuscito. Un film che di sequenza in sequenza trasmette una poetica tutta particolare, un colorato universo non stucchevole che quasi quasi ti porta a pensare bene del mondo. Senza spoilerare, molti sono i momenti di gustoso equilibrio visivo-narrativo, ma il mio preferito (e chissenefrega) è quello sul palcoscenico. Non ci vengono mostrati i sensazionali numeri di magia, di funambolismo, di abilità dei vari personaggi. Ci viene negato ciò che accade davanti al palcoscenico, vediamo solo il congedo dietro le quinte. E poi… Notevole, davvero notevole. L’ho trovato semplice e geniale e mi ha ricordato non poco una celeberrima sequenza de La regola del gioco di Renoir. Orbene Snoopy & Friends è un riuscito omaggio al mondo creato da Schulz, l’ideatore (citando Fernanda Pivano) delle avventure più miti, più dolci, più limpide dell’ultimo mezzo secolo. Il mondo di quei bambini che “davano voce ai pensieri dei grandi”*. Per volere di Schulz, la fine di Charlie Brown e dei suoi amici sarebbe - ed è stata - il 13 febbraio 2000, con l’ultima pubblicazione dei fascicoli domenicali. A poche ore dalla morte di Schulz c’è stato anche l’addio dei Peanuts. Snoopy & Friends più che riportare in vita i Peanuts ci riporta indietro nel tempo e ci fa sorridere e (spero non sembri una parolaccia) intenerire. Certo questo sorridere nulla può contro il frastuono delle risate sguaiate o della comicità volgare ma, come si suol dire, ad ognuno il suo.


* Corriere della Sera di lunedì 14 febbraio 2000

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