SHORTBUS di John Cameron Mitchell (2006) Il pullman dei desideri

Sarà perché un pochetto avverto in me il desiderio di farmi un centinaio di birre per poi dormire su un cespuglio nei pressi di una villa rinascimentale ascoltando un brano a casaccio di Matt Elliott dal suo Drinking Songs  abbracciando un nano da giardino o sarà perché più piove più invecchio e più divento meteoropatico e le mamme imbiancano e i figli crescono... Insomma sarà quel che sarà, questo mio di ora sarà un commento non necessario o una non recensione che lascia ad intendere i puri fini a me inscritti, ossia non lo so. Auto-fellatio o selfsucking. A me viene subito in mente Ron Jeremy, detto uomo baobab ma anche Giullare. Auto-fellatio e quindi solitudine a prescindere con la variante, nell'apice, di un cum swapping. Auto-swapparsi. Se qualcuno in questo momento sta davvero leggendo quanto sto scrivendo e se questo qualcuno si sta chiedendo di che diavolo sto parlando, Be', la domanda è legittima. Con un sontuoso sunto posso riassumere il tutto con: solitudine. Non masturbazione ma solitudine. Ove la masturbazione è un ponte che può sfaldarsi o una mano che può dissolversi. Arrivare a me, venire a me, tramite lo sfregamento, il su e giù, l'introiezione. Arrivare a me perché mi sento dannatamente e comodamente tormentato e devo porvi rimedio. Mi muovo, spaurito come un complemento di specificazione all'interno di una semantica ambigua. Cosa in realtà sono? Cosa in realtà sto scrivendo? Con chi in realtà sto vivendo? Cosa è poi questo: ? Un punto interrogativo o il manico di un ombrello sopra una piccola pallina statica? Piove, piove ed io adopero l'ombrello al contrario. Tutto questo è un'afflizione sbagliata. Il sesso come ponte, verso me stesso e verso - di conseguenza - gli altri. Come Moravia, o meglio come Ernesto De Martino (La fine del mondo) che riflette su Moravia e sulla portanza intermediaria della sessualità, il “residuo puro”. Infatti, oltre al primato ontologico e al primato ontico individuati un giovedì sera da Heidegger di ritorno dal pub, noi tutti possediamo un altro primato inscritto: possiamo scopare. Possiamo e dobbiamo farlo. Per star-CI bene, giacché come sostiene anche l'Anselmo del Monologion: le cose possiedono una loro bontà. 
E vi è certamente bontà nel sesso, nel sesso come atto di condivisione, di co-esistenza, di consenso, di dialogo. Oltretutto, cinematograficamente parlando, quale è stato l'ultimo messaggio lanciatoci da Kubrick? Che cosa dobbiamo fare adesso? Scopare. Attenzione però. Attenzione non solo a non incrociare i flussi ma anche a non deragliare nel pacchiano essere. Come ci ricorda sempre il caro Anselmo, esiste una scala di valore nelle cose esistenti. E come mi ricorda il mio gommista: fai attenzione a non beccare i marciapiedi. Se becchi il marciapiede con la svirgola ti svirgoli la convergenza e se va peggio ti tocca pure cambiare lo pneumatico. E chi li ha i soldi per pagare i danni? Io no. Ma questo ora non c'entra nulla. Aprire le porte dello Shortbus significa entrare in una sorta di campana di vetro smaltato. Al di fuori vi è Edvard Munch, lì tutto bello che pronto a ritrarti. Dentro lo Shortbus Edvard Munch è impegnato a rimpinzarsi di popper-corn e a far due chiacchiere con l'uomo in lustrini, quello rosa vestito e con le labbra che sanno di fragola. Pamphlet e paillette. Palafitta sociale issata oltre la palta bigotta; paiola di corpi nudi. La pagania del penchant. La pallestesia vaginale programmatica. Più tutte le P di questo mondo. Un mondo che quando sta male si organizza e si mette ad enfatizzare una creatura mitica e romita: la famiglia. Ignorando in modo sconcio che la famiglia esiste laddove vi sono due genitori non di sesso differente ma di identica forma di affetto. No, no. Non sto diventando Massimo Gramellini o un biglietto dei cioccolatini. Sto solo…
Non so, forse la famiglia cosiddetta tradizionale ha problemi di coito, forse alla base vi è una frustrazione. Anche io in fondo mi sento così ma almeno non vado in piazza a dichiarare guerra alla famiglia cattiva cattiva, ossia alle coppie gay. Dio mio venerabile e barbuto, come uscire da questa impasse? Una vera e propria terapia sessuale di gruppo, per porre finalmente un freno ai freni che mi bloccano nel mio essere instabile, nel mio sentirmi scontento, nel mio non riuscire ad avere un orgasmo, nel mio terrore esistenziale. Un aiuto. Un aiuto che può essere anche dato dall'osservare per poi provare, io da solo, a riscoprire (riscopare) me stesso. A sbattermi in faccia il mio non esistere in me, per prendere a colpi di gamba di manichino ogni orpello che ottunde la mia sfortunella voglia di uscirne. Lo Shortbus è l'uscita di sicurezza dalle insicurezze. È anche un tirar via una delle prime maschere pirandelliane. Tirarla via, truccarla un po' e renderla più divertente. Muoversi di stanza in stanza, avventurandosi in un mondo di simulacri palesi e altri. Tutto il mondo è palese ma quello in maschera e mascara lo è di più. Ed è un palese paradossale di maschere de-mascherate. Dall'esterno ogni tanto potrà capitare che ti tolgano la corrente e che tutto si faccia buio. È normale che succeda, le cose si fanno spesso buie. Ma in cotale inferno di cecità, chiusura e ferite non è poi così inconsueto che qualcuno tiri fuori delle candele (e non solo il cazzo) e che tu, ad un certo punto, ti unisca agli altri sorridendo nel cantare quella che è ben donde e oltremodo la fine. A bordo dello Shortbus tutto si ridimensiona nelle altre dimensioni. Se i gruppi famigliari del Family Day prendessero questo Shortbus forse il loro sentirsi una famiglia non sarebbe un semplice ruolo istituzionale o un vero e proprio luogo protervo e falso come un pelo di culo tra i peli di pube. 
Insomma, a costo di sembrare sdolcinato o una lavatrice a scollamento edace sono assai convinto che l’idea di famiglia vada ampliata e non ghettizzata. Non rinchiusa in quel nido infelice fatto di genitori assenti, distratti, afflitti. Persone amorevolmente conviventi, persone che molto volentieri si ammazzerebbero; non fosse che - con mendacità - quel ruolo così naturale è stato così voluto da nostro Signore santissimo e che Dio abbia gloria di sé stesso. Ma nostro Signore a parte, qualcuno si è davvero mai imbattuto in una famiglia felice? Io no. Ho sempre visto persone costrette a vivere insieme per convenzione, per pigrizia, o per paura. Humanae vitae mimus, come scrive Seneca. Vale a dire il ruolo che interpretiamo per tutta la nostra esistenza col nostro mimo della vita umana. Ricopriamo parti che non ci appartengono. Spessissimo questo ruolo è chiamato famiglia. Tutti nasciamo da mamma e papà. Difendiamo la famiglia. Difendiamo i nostri figli. Celebriamo la famiglia. Cara famiglia ma chi ti si incula! La famiglia, quella fantastica famiglia da Mulino Bianco, ci pensa da sola a sabotarsi. Nessuno da fuori sta concretamente e sistematicamente toccando la famiglia. Con questo attacco inesistente, la famiglia sente il sacrosanto dovere di attaccare l’altra famiglia. La famiglia che la famiglia del Mulino Bianco non vuole vedere, quella da Shortbus . La famiglia del Mulino Bianco sta difendendo la famiglia da un attacco che non esiste, non ci sono armi di distruzione di massa ma armi da distrazione di massa. No alle unioni gay. No alle adozioni gay. No ai gay gay. Il tutto berciato da individui che hanno come punto di riferimento una sacra famiglia ove un pover uomo si è visto cornificato da un angelo che con la scusa di esser stato inviato da Dio ha magicamente sparato una santa inseminazione nel corpo di una spaurita verginella. Ma davvero questa favoletta – per giunta poco fantasiosa – dovrebbe far da scudo e da bandiera alla tanto decantata famiglia tradizionale? 

Alla fine sembra più che altro che questo Family Day serva solo per scimmiottare l’idea di famiglia, serva solo per festeggiare quel ruolo mimato e minato, il ruolo esplicitato dal simpatico Seneca. Ma siamo una famiglia? Non lo so. Senti organizziamo una festa così stando tutti insieme in piazza capiamo di essere una famiglia. Be’ messa così, la faccenda ha una sua logica. Inoltre, vi è anche una logica da un punto di vista squisitamente politico, giacché pare che il Family Day sia anche una felice occasione per acchiappar consensi destrorsi. Dalla parte opposta invece, diciamo a sinistra, la piazza del Famiglia Giorno è un utile test per annusare la faccenda e muoversi poi con volitiva confusione. Or dunque tutti felici e tutti con obiettivi disparati, sfruttando per bene la massa e quella idea ferrea della famiglia tradizionale. Sapendo però che la cosiddetta famiglia tradizionale paga quotidianamente il suo stesso aggiotaggio. Mi pare abbastanza ovvio che l’unica vera minaccia alla famiglia sia la famiglia stessa e non ciò che costoro chiamano estensione della famiglia. Vi è così tanta frustrazione nella famiglia, così tanta da voler cercare un capro espiatorio generato dalla propria surrogata materia grigia. Un pharmakos sul quale anestetizzare le proprie intestine e intestinali frustrazioni. Con un certo livello di onestà intellettuale e di cestini di cioccolato sento di poter dire che il Family Day mi ha rotto le palle, l’ipocrisia che sostiene, la colluvie come collante, l’inganno che lo accende. Lo Shortbus dovrebbe servire anche a questo, a sorvolare su codesta cartolina patinata ove le testoline di mamma e papà si intersecano a quelle di bimbo e bimba. Il meraviglioso mondo dell’immagine in difesa di un mero ruolo di facciata. Non sapendo riconoscere gli errori insiti in rapporti e maschere perniciose, più facile trovare sodalizio nella lotta contro. Come se l’unione tra omosessuali o l’adozione possano costituire una grave e insulsa minaccia a questa bellissima famiglia tradizionale. Quel bellissimo e tradizionale ignorarsi, mandarsi a ‘fanculo, tradirsi, picchiarsi, uccidersi, guardare Porta a Porta. Nel mentre lo Shortbus svolazza sopra la piazza, tentando in modo jakecosmico e finntastico di chiarire per l’ennesima volta che una famiglia non è una etichetta ma una esistenza condivisa e partecipativa. I bambini or dunque andrebbero difesi non da questi gay minacciosi e zozzoni ma dalla famiglia stessa. Difendere i bambini dal Family Day dovrebbe essere una delle poche cose sensate da fare. I bambini sono notoriamente più fantasiosi, tolleranti e aperti rispetto ad un adulto ormai asserragliato sulla torre del suo paesello ove tutto il resto è inopinabile. Che gli adulti restino ad urlare il proprio diritto allo sfacelo, senza trascinarsi dietro bambini che più che voler essere difesi dal nulla preferirebbero farsi un giretto svolazzante sullo Shortbus per aver così più slancio nel raggiungere, se butta bene, il Gattobus.

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