ROSSO SANGUE di Leos Carax (1986) Amore cinefilo

Due parole. Il mauvais sang di Carax è in realtà un buon sangue, un sangue che sprizza cinema in ogni beneamato o fottuto anfratto. Immagini allegoriche o rossastre a parte Mauvais sang è un film di una bellezza spiazzante e anche piazzante, nel senso che ti incolla nella tua postazione di spettatore. Non c'è fotogramma che non sia intriso di meraviglia, come il punto d'avvio e di ritrovo di una filosofia se non di una fenomenologia della percezione. Sì, perché tutto è in continuo movimento, tutto è orientato istintivamente e necessariamente ad un movimento; che sia un movimento sulle note di Modern Love di Bowie o una corsa velata dal sangue, sangue che si può coprire o semplicemente sorvolare, spiccando il volo. Personaggi non in cerca d'autore ma in cerca di una non collocazione. Un nomadismo paradossale giacché per forza di cose nominale, identitario. Nomade è pur sempre una identificazione. Sto delirando con tutte queste iperboli? È possibile ma quello che vorrei cercare di dire è che i personaggi di Carax (che lui stesso spia, anche all'interno della diegesi del racconto filmico con i suoi camei) si segnalano distanziandosi. Lasciano tracce di un passaggio ed è in quella traccia che si può cercare di identificarli. Come il ricordo di un bacio che si è appena ricevuto. Viene voglia di toccarsi le labbra, come per acchiappare quella “cosa” che già non abbiamo più. Per conservarla in tasca. L'esistenza è una faccenda insidiosa. 
Mauvais sang non è solo estetica (critica che certo gli si può appioppare), è racconto. Non è un videoclip sconclusionato ed egocentrico o virtuoso. Ma è un egocentrismo conclusionato. In quei suoi primi piani c'è una storia, c'è un'indagine e c'è un cinema con il CINEMA maiuscolo. Il cinema che stupisce, che inventa, che impreziosice. Un cinema che eredita e che illumina. Quando ci troviamo davanti il bellissimo volto di Juliette Binoche, quando scorgiamo il broncio o il sorriso di Denis Lavant (difficile immaginare Carax senza Lavant), quando di Julie Delpy vediamo solo gli occhi, Be’ in tutto questo non c'è un mero primo piano tanto perché ci sta bene un primo piano. C'è l'avvicinarsi non meccanico ai protagonisti, c'è una esistenzialità. Sì, dovrei finirla con queste storpiature linguistiche ma dirlo in altri modi mi viene difficile e tra l'altro non ci starebbe male una birretta or ora. Ti va? Tanto amore quindi, quello per il cinema e quello per questi personaggi borderline (volevo troppo usarla questa espressione). Vagabondi imprendibili che, alla Rimbaud, corrono “alle ferite, attraverso l'aria sfibrante e il mare; ai supplizi, attraverso il silenzio delle acque e dell'aria mortali; alle torture che ridono, nel loro silenzio atrocemente burrascoso”. Il silenzio di Rimbaud e l'angoscia che sovviene o previene, e direi anche il silenzio di Carax, vale a dire il silenzio-respiro in una corsa momentanea e salvifica. In un gioco per far riaffiorare un sorriso e respingere le lacrime. In una sublime parentesi dal mondo sospesi nell'aria. E con quale linguaggio poi esprimere questo silenzio? Filtrando le parole, come un ventriloquo. Dire senza articolare. 

Osservare queste onde, o queste nuove nuove onde, che si infrangono sugli scogli e che scuotono finalmente è cosa che fa bene. Una scossa cinefila che ci fa innamorare di un cinema che avevamo magari smarrito. Una nuova forma di amore, un amore moderno per chi - come Carax - riesce a destarci, a trascinarci con forza sulla retta via senza via, sui ponti, sulle strade che scottano o dentro limousine per il cambio d'abito e d'esistenza. Il nomadismo urgente, il raccordo più calzante. Ma tralasciando queste mie vorticose e forse pleonastiche nonché pletoriche immagini che lasciano il tempo che trovano o che non trovano il tempo che lasciano, di certo recuperare o scoprire il caro Carax è occasione che non lascia il tempo che trova ma è occasione che impreziosisce il tempo e le nostre simpatiche esistenze (questo periodo era troppo lungo?). Tappare con un cerotto l'occhio che guarda al reale e lasciar il mestiere all'altro occhio, quello più prettamente portato all'esplorazione. Dopo un minimo di stretching quello che ci resta da fare è semplicemente prender lo slancio, respirare ben bene e provare - per quanto possibile - a stare dietro alla corsa segnalataci da Carax, senza stupirci troppo se d'improvviso ci sentiamo compresi e senza stupirci oltremodo se poi di correre non vogliamo più smettere, almeno fino a quando non abbiamo spiccato il volo; anche solo per la durata di un grande film. 

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