REGALI DA UNO SCONOSCIUTO – THE GIFT di Joel Edgerton (2015) Tutto da nascondere
Non ho tatuaggi e in linea di massima non li capisco ma a volte servono se abbinati al rap. Il rap va forte, in qualche modo sembra il modo più eclatante per salvaguardare la parola e questo probabilmente potrebbe riportare i più alle innovazioni in campo metrico-musicale proposte da Nevio. Diciamo però che, nell'epoca attuale, l’omologazione ha preso il sopravvento e quindi anche il tatuaggio. Il tatuaggio, ossia un modo per identificare sé stessi e la propria originalità facendo quello che fanno tutti: farsi disegnare cose sulla pelle. Ecco quindi che per discostarmi un pochetto da cotali noie quotidiane non solo mi faccio io stesso un tatuaggio (finto, quelli adesivi da incollare con l’acqua del rubinetto) ma decido di lanciarmi all'interno di uno schermo e quindi penso bene di addentrarmi in un contesto filmico d’evasione con in aggiunta una parentesi introduttiva come questa assolutamente fuori luogo e totalmente gratuita. Dicevo? Ah, sì. Esistono cose che non esistono e vi sono film che si scelgono perché si vuole spegnere il cervello. Tarkovskij e Kieślowski spaccano sempre ma vi sono serate nelle quali non vuoi andare oltre i pop-corn preparati grattandoti le palle. I pop-corn da imboscare poi abilmente nelle logore tasche della giacca giacché la tua condizione miseranda non ti permette di pagarti il pasto direttamente al cinema. Or bene, serate di gloriosa evasione e peli pubici rintracciati nel cibo. Tutto questo per dire che parti in leggerezza scegliendo di guardarti Regali da uno sconosciuto ma finisce che ti dimentichi dei buoni propositi di evasione e leggerezza e ti ritrovi a guardare un film effettivamente sorprendente. L’esordio alle regia di Joel Edgerton è quanto mai notevole. Ora, se ne avessi voglia starei qui ad elencare i molteplici pregi di codesto film ma purtroppo devo limitarmi all'essenziale. E l’essenziale si può condensare nell'evidenziare come il buon Edgerton sia riuscito a scrivere e dirigere un film pregno e pregnante. Un film corposo e amabilmente inquietante. Un film cinematograficamente denso. Per capirci, guardando The gift viene in mente l’Haneke di Niente da nascondere. Ti pare poco? Solo a visione ultimata prendi atto della miriade di elementi – ottimamente orchestrati – che il regista ha disseminato per farti restare incollato alla poltrona dimentico per giunta dei pop-corn pubeali. E solo a visione ultimata prendi davvero atto che Joel Edgerton è quel giocatore che manco ti ricordavi di avere in squadra. Quello che per disperazione inserisci all'ultimo visto che comunque non hai nulla da perdere. Joel Edgerton è il giocatore che dà la svolta alla partita, quello che in cinque minuti ti regala la performance da incorniciare, quello che fa tiri da tre come se fosse la cosa più semplice del mondo. Regali da uno sconosciuto è così: una serie molto fica di tiri da tre. Il film al quale non avresti dato niente e che poi si rivela essere oltremodo valido.
In tal guisa, Edgerton è lo sconosciuto che ti piazza – en passant – il film inaspettato. Un film profondamente autoriale e amorevolmente intelligente nel tessere pian piano la sua trama. Inquietudine, tensione, sorpresa, empatia e cani che ti guardano con una faccia che è tutto un programma. Rubinetti aperti, luci accese, pacchi regalo e – come detto – solo alla fine prendi davvero atto di come il regista sia stato maledettamente bravo nel trasmetterti una certa angoscia. Una tensione che non si risolve unicamente e banalmente nel thriller ma che scava ben più all’interno. Edgerton inserisce con l’adeguata cottura il giusto. Passo per passo, senza accelerare e senza strabordare. Ti porta in una direzione e poi, lentamente ti porta in un’altra. Ma non per un inutile e stupido giochetto tra simpatici amici. C’è tutta una struttura empatica che viene tirata su. Una struttura che si arrampica inizialmente nel tessuto famigliare. Quadretto famigliare che come viene evidenziato dalle stesse architetture domestiche, è trasparente. Per l’appunto, niente da nascondere. Già questa similitudine, apparentemente scontata riesce ad assumere un carattere solido. La struttura esterna, quell'ambiente, con la possibilità di poter vedere tutto e al contempo di non poter vedere nulla. In altre parole, l’inganno come collante o, come direbbe Ovidio masticando una salsiccia, qui poterit sanum fingere, sanus erit. Sciogliersi dalle reti del male attuando la menzogna, la finzione. Ad ogni modo, in Regali da uno sconosciuto siamo più che altro (se proprio dobbiamo dirlo) nei territori di Seneca e nel male che ci accompagna, nel male accucciato dentro i nostri bagagli. Lasciando perdere il passaporto, è qui or ora più che sufficiente invitare l’annoiato lettore (sì sì, proprio tu) alla visione del film. Nella speranza cinefilo-comunitaria di condividerne i pregi. Una moltitudine di pregi ai quali si aggiungono un cast oltremodo in parte. Nella loro discontinuità, nel loro percorso mutevole abbiam or bene un inedito – e quanto mai azzeccato - Jason Bateman, attore solitamente comico e solitamente accomodante. Accanto a lui, come lieta compagna di avventure vi è una Rebecca Hall assai in parte e quindi molto brava nel dare al suo personaggio un’impronta introspettiva sempre più accuratamente tormentata (nonostante il supporto psicologico di Allison Tolman, protagonista della prima stagione di Fargo). E poi vi è Joel Edgerton attore, oltre che regista e sceneggiatore che qui mi ha ricordato un giovane Dennis Hopper ma che più altro mi ha fatto pensare di averlo totalmente sottovalutato visto che il suo Gordo è un personaggio oscuro interpretato davvero alla grande. Da dire poi che nel film, per pochi secondi, compare anche il fratello di Joel, Nash Edgerton. Cosa questa che si è aggiunta alle mie già sostenute inquietudini filmiche.
Detto ciò, mi permetto (tra l’altro a me stesso) di non trascurare il tema del dono. Tema che – facile evincerlo – non è estraneo ad un film intitolato The gift. Non ci vogliono, nel nostro peloso caso, riferimenti ad autori quali Marcel Mauss, Jean-Luc Marion o Claude Lévi-Strauss per comprendere quanto al dono sia legata una contropartita. Il dono “assoluto” forse esiste, l’atto che non chiama un contro-dono, ma per lo più fare un regalo a qualcuno costituisce una socialità-contrattuale. A suo modo Regali da uno sconosciuto esercita questa silenziosa legge dello “scambio di cortesie”. Tu mi dai, io ti do. Ovviamente nel film di Joel Edgerton si dà in eccesso. Allo spettatore scoprirne i crismi. Tuttavia (cercando di non scomodare il Tucidide che discetta della guerra del Peloponneso) non ci è di certo estraneo lo sperimentare, nel nostro detestabile vivere quotidiano, il peso dei rapporti intersoggettivi. L’aver a che fare gli uni con gli altri è una spina nel culo non da poco. Lo scambio di cortesie è un modo come un altro per anestetizzare l’avvelenato dardo. Peccato che gli scambi non sono quasi mai alla pari e l’odiosa legge del più forte che sovrasta il debole fa capolino. Fa capolino anche nel Tucidide che discetta sulla guerra del Peloponneso. Come detto, sta allo spettatore comprendere i meccanismi di cotale diatriba. Or bene, lungi da me fare spoiler e per evitare ciò mi rifarò a Kant! E Kant in tal caso non è uno spoiler. Come sai, il bene tiene stretto per le mani la bandierina dell’imperativo categorico. Fare del bene equivale cioè a tener salda tra le mani l’asta di codesta bandiera. Non fare del bene (che non significa propriamente fare del male) è invece fare ciò che facciamo di solito: sottostare agli imperativi ipotetici. Vale a dire, se voglio una cosa me la prendo. Se è vero che il marchese de Sade ha sconfitto Kant* portando l’altro (l’altro da me, il mio vicino, il salumiere, mia moglie) ad assumere le sembianze di un mero strumento al mio servizio, è altresì vero che in Regali da uno sconosciuto ritroviamo il primato – attualizzato – della morale kantiana. Non ci stai capendo nulla? Non importa, sto solo allungando il brodo per esigenze editoriali. All'imperativo ipotetico che vede l’altro come mio strumento di dominio torna a rispondere l’agire morale. Ossia l’agire universalmente riconosciuto come giusto. Le alleanze che si creano nel film danno nuovo lustro a questa “razionalità universale”. Guardando il film potrai ben donde aver più chiara questa rivalsa kantiana, questo imperativo per il quale “tu condividi con me le ragioni del mio agire”. Tu sei d’accordo con me, il cane è d’accordo con me, difendiamo il nostro diritto morale. Se Regali da uno sconosciuto dà adito e forse anche alito a cotali riflessioni non è solo perché io sono pazzo ma anche perché il film di Joel Edgerton (lodevolmente prodotto dalla Blumhouse di Jason Blum) è un bel film e non il passatempo che io mi aspettavo che fosse. In chiusura di questa fugace e – come sempre – inconcludente non-recensione l’invito è conclamato: fatti un regalo, vai al cinema. A Kant magari ci pensiamo un'altra volta.
* Kant – Le tre critiche by Antonio Gargano
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