PROJECT X di Nima Nourizadeh (2012) La sbronza di Foucault
In breve. Potrei sbilanciarmi con un ammanto alcolico di accelerazione interna ma preferisco leggere quello che mi son scritto sul palmo della mano con il pennarello. Una citazione di Foucault che dice all'incirca così: “Noi moderni cominciamo a renderci conto che sotto la follia, la nevrosi, le inadattabilità sociali, circola una comune esperienza dell'angoscia”. E, usando un'espressione che dal mio punto di vista non è proprio entusiasmante, Foucault parla di fascino della sragione per l'uomo classico. Fascino che cede invece sotto il rigetto attuato dall'uomo moderno, atto liberatorio, fuori dalla sragione, simboleggiato dall'intenzione da parte di Pierre Paul Royer-Collard di cacciare de Sade dall'ospizio di Charenton, ove è imprigionato per oscenità. Il Marchese de Sade, “il suo solo delirio è quello del vizio, e questa specie di vizio non può essere represso in una casa consacrata alla cura medica dell'alienazione”. La crisi, nonché la filosofia della crisi, può anche essere speculare alla sragione, nonché - andando un po' più nei crismi di Foucault - alla “metafisica” del potere. Studiare il potere ed impedire che si tramuti in dominio, contrastarlo anche con occasionali eresie e pungolate eccedenze. Ora, queste sono solo indicazioni di sorta o di scorta, ma dal mio punto di vista – insensato e delirante - possono essere una chiave di lettura. Il potere è un'arma che nasce anche dalla contestazione su di esso, contrasto il potere e divengo io potere. Una insidia sostanziale no? Ora, tutto ciò è paradigmatico del Movimento 5 Stelle? No, è paradigmatico di una festa che degenera in caos: una risposta.
Il festeggiato è quello che anche gli stessi genitori riconoscono come uno sfigato. È uno sfigato, alla sua festa verranno in cinque o sei. Non abbiamo di che preoccuparci e soprattutto, poverino, è giusto che cerchi di divertirsi. I genitori partono per festeggiare - loro sì - l'anniversario di matrimonio e lasciano la casa al figlio e ai suoi due migliori amici. Ed è grazie ad uno dei due amici (quello meno incline a cedere alla sfigataggine di cui godono) che gli invitati supereranno di gran lunga il numero di quattro gatti. Lo svolgersi degli eventi è raccontato da una parte grazie alla telecamera di un uomo ombra (l'unico nel gruppo a non bere alcolici) e dall’altra grazie alle riprese fatte da cellulari e altri mezzi. Una sorta di finto documentario sugli eventi; di per sé (anche se stra-abusata) questa è una trovata assai calzante. Il film è il racconto della nascita e del realizzarsi di una degenerazione. Una generazione in degenerazione. Tette, culi, birra, cannucce, salti, balli, vomito. Eppure, e dammi pure dello psicopatico, io in tutto questo ci ho visto un che di profondo. Sì, dai, non ridere. Tecnicamente il film è ben girato e quindi un punto a favore in partenza ma è poi il resto a destare attenzione. Il documentato è un delirante (attenzione che sto per esagerare) salto heideggeriano. Non fare caso se è singolare o inquieto ma dobbiamo saltare dal familiare al non familiare, saltare sul saldo suolo delle nostre vite. Saltare per arrivare dove già siamo, sull'adesso. Solo che l'adesso è critico. Economicamente critico, politicamente critico, socialmente critico. L'altro aspetto di panza e di sostanza di una bolgia ubriaca e festaiola è che, per quanto all'apparenza rappresenti una massa di pecore, in realtà è una forma di singolarità-plurali.
Quando si cede agli effluvi alcolici, quando il muro della ragione viene violentemente rotto si è faccia a faccia con noi stessi. Non si è massa: si è nell'auto-imposizione di me a me. Parafrasando in modo volgare sento di chiamare questa condizione la spontanea autonomia kantiana. Stabilire un principio di comportamento (“Vado alla festa e mi sbronzo”), determinare la modalità di azione e seguire il principio scelto. Bevo responsabilmente, ossia mi prendo la responsabilità di sbronzarmi come se non ci fosse un domani. E mi getto nella comunità non vestito della debolezza delle mie idiosincrasie ma nudo nella forza del mio me a me. Incontro facce, struscio su corpi, capelli femminili sul mio collo, capezzoli femminili sulle mie labbra, sento odori, fumo e scambio il fumo, verso da bere, mi versano da bere. Culi, molti culi. Ciao, come ti chiami? Ciao, posso chiederti una sigaretta? Le sovrastrutture strozzate sul nascere. Ho un'erezione. Sono un pochetto bagnata. La pietosa metafisica del tutto piomba come un macigno il giorno dopo, quando nulla è stato ri-traslato a livello dell'oggi.
A livello “politico” vi è stato un momento d'aggregazione e di risposta coerente alla crisi abbracciando un'altra crisi: quella singolare nel mondo plurale irrazional-economico. Dalla cenere, o dal vomito, restante si raccoglie un grappolo di tristezza. Per quanto ci siamo scatenati nulla là fuori ha subìto il colpo, anzi, siamo stati spinti ancora più indietro e forse ci giochiamo anche un futuro responsabile. E quindi allora che fare se non pensare ad un nuovo appuntamento con il contatto? Oltre all'amaro sbatter la faccia sull'adesso vi è comunque ciò che a livello umano conta di più: l'intersoggettività, il toccarsi, il curarsi l'uno dell'altro, il non restar da soli anche solo per il momento della vomitata all'aperto. Sì, ben donde, può esser che magari tutto ciò l'ho visto solo io in questo film. Ma mi auguro di no (sempre per parlar di condivisione). Le uniche note critiche sono sulla scarsa introspezione dei personaggi, non dico una ponderosa analisi psicologica ma un pochetto di più avrebbe impreziosito il film che, ripeto, per me è solo apparentemente un film di gente sbronza. E, altra nota critica, alcuni elementi nel finale. Ma sono piccolezze per un'ora e mezza scarsa di spassosa follia giovanile ove non può che nascere nella diegesi una certa e, mi auguro, comprensiva invidia a partire da un cartello a bordo piscina che dice “solo ragazze nude”; invidia ovviamente non per il cartello ma per la piscina.
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