PASSAGGIO IN SARDEGNA di Massimo Onofri (2015) Non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti
Chi mai vorrebbe per sua figlia un fidanzato come me? Credo nessuna persona ragionevole. Non possiedo doti particolari, non ho alcun proposito per il futuro, sono vecchio, sono quel tipo di persona che quando qualcuno che non mi vedeva da un anno dice: "Ma sei ingrassato?" e quindi sono flaccido, pesante, senza massa muscolare, sono nero, ho il pisello storto, non ho capelli, sono frustrato, volubile, vittimista, codardo, puzzo, ho la pancia tonda e sporgente tipica dei bevitori di birra, non amo gli esseri umani, mi piacciono i gatti ed ho le tette. Insomma, non sono proprio un buon partito. Al massimo mi caricherebbe qualche milf ma solo perché sono un pochetto più funzionale di un vibratore di media grandezza. Anche Hegel se la passerebbe così oggi? Bè, forse sì. Massimo Onofri invece no, lui è uno di quelli che può scrivere di sé e renderlo pubblico e di conseguenza sentirsi nel mondo, il suo mondo. Il massimo per Massimo è essere Massimo. "And I’m in love with myself", potrebbe cantare Massimo ascoltando The Jesus and Mary Chain. Tuttavia mi domando, se Massimo Onofri ha la vocazione della lettura - per chi ancora non lo sapesse è un raffinato critico letterario oltre che un adorabile docente - perché allora dedicarsi alla scrittura nonché alla narrativa propriamente detta? Perché non rimanere sulla cosa che ti viene bene ossia la lettura? Le ragioni possono essere molteplici ma quella basilare è che Onofri si piace molto o come direbbe lui, moltissimo. Quindi non solo mi beo di me stesso nella critica o negli spazi atti a dire quello che penso del mondo ma mi lancio anche in un depliant turistico di cura sopraffina ove, ancora una volta, emerge come un totem la figura verticale di Onofri. Massimo Onofri, colui che per alcuni dell'entourage del ce le suoniamo e ce le cantiamo è un uomo con la stoffa nonché dotato di una scrittura intelligentissima.
Sul fatto che Onofri sappia scrivere non si discute, sul fatto che sappia scrivere bene avrei qualche personale riserva, sul fatto che sia uno scrittore non ci metterei propriamente le mani, i piedi e il culo sul fuoco. Fingendo comunque che sia uno scrittore, Onofri con Passaggio in Sardegna non solo passa in Sardegna ma ci lascia pure abbondanti tracce. Lui e i vari dottorandi, colleghi, amici, studenti e tante altre persone incredibilmente ironiche e superbamente eleganti che van saltellando da un ristorantino all'altro, anzi, come direbbe Onofri, da un ristorantissimo. Al mangiare bene corrisponde anche un cagare sano e quindi al lettore immaginarsi le altre forme di passaggio nei cessi della Sardegna da parte di Massimo Onofri. Ad ogni modo, tra degli antipasti che "corrono euforici" c'è comunque spazio per la Sardegna. Ora, si sa che la Sardegna è un luogo perennemente da scoprire e che soprattutto è un' isola che non inizia né finisce nella Costa Smeralda o sulla pancia del trascinante entusiasmo di Umberto Smaila o tra le tette di Mara Venier. Giusto per enfatizzare la questione, ossia che la Sardegna è anche altro, questione banale ma è così. Ed infatti e non a caso è questo l'unico pregio di questa simpatica guida turistica borderline. Ma non c'era comunque bisogno che ce lo venisse a dire Onofri. Tuttavia (epperò, giusto per usare un odioso marchio di fabbrica di Onofri giacché è sempre bello inventarsi qualcosa) lui ce lo viene a dire lo stesso. Sempre tra una mangiata e l'altra con medici, direttori, ex studenti, biondissimi, biondissime, simpaticissimi e simpaticissime. Un mondo di superlativi ove tutto quello che non fa parte del gustosissimo mondo di Onofri - di quella grazia del vivere o di quel luminoso amore per la vita - è destinato ad essere idiozia, un'idiozia in taluni casi meritevole di denuncia.
Coinvolgente come uno scontrino della spesa, “ubriaco d’amore” e di se stesso, Onofri è ben lontano dallo smaltire la sbronza. Passaggio in Sardegna è or dunque e ben donde un moto stracolmo. Un conclamato marame di incontri, biografie, citazioni, riferimenti con annessa ogni tanto una sacrosanta fumata di sigaro (il vecchio Toscano) giacché come evidenzia ironicamente anche l'amato Mannuzzu (citando Soldati) "A non fumare si rischia troppo". E dopo ancora ricordi, molti e molta malinconia per quelle sere d'estate e quei cieli stellati e quelle stelle più luminose di altre e quindi luminosissime. Incontri e sommessi scontri e poi ancora un bel posticino ove mangiare, in grazia divina o nei banchetti dell'Ade come ad esser protagonisti designati dei versi del simpatico cantore Museo. Non fosse che Onofri è pressoché astemio, potrebbe bearsi oltremodo dell'eterna ebbrezza. Eterna ebbrezza che costituisce (seguendo il Platone de La Repubblica) la miglior ricompensa per i giusti. Il giustissimo Massimo Onofri e la sua elegantissima facezia. A tal proposito, fosse vissuto nella seconda metà dell'ottavo secolo a. C., non improbabile sarebbe stata la sua partecipazione a L'uomo più elegante dell'anno Award.
Nella Grecia antica l'eleganza era una virtù cittadina e veniva premiata con un prestigioso oinochoe. Onofri e la sua eleganza quindi e il suo vaso vinto. E il suo socialismo borghese e riformista. E la sua fitta libertà. E la sua allegria e "la sua beata coincidenza con se stesso e coi suoi sensi". Dimenticandosi per un attimo che sovente il coincidere con sé stessi equivale al non aver più un senno. Ma forse questo Onofri lo sa e se ne fotte, in forza dei suoi epperò. In forza del suo crogiolarsi come una corda tesa in una vibrazione di godimento nel suo sé medesimo e nei sé degli altri che lo festeggiano o lo osannano. Un bimbo felice, una comunità al sicuro. Una nuova ed esaltante forma di sinecismo, ad un sospiro dal suo orecchio di etrusco. Or bene che c'è di male nel volersi bene? Nulla. Solo che il millantare sé medesimi e il proprio entourage, soprattutto in forma scritta, ha un che di classista, se mi si passa l'espressione. L'ampolloso che si fa privato, cotale meta non è ciò che deve essere la scrittura. Inoltre non è che voglio lanciarmi in una frustrata pseudo-stroncatura da misero quaquaraquà quale magari sono, però ci dovrebbe essere un umano limite all'uso dei due punti. Onofri se ne fotte anche di questo e fa un uso esagerato se non stucchevole dei due punti. Vedere la scrittura trattata così mi causa un problema ai calzini. Passando con leggiadria oltre quest'uso ad cazzum della grammatica, non si può però sorvolare con altrettanta spensieratezza quando in chiusura del suo libronzolissimo, Onofri si lancia nella marchetta della "ottima birra sarda, l'Ichnusa". Da un individuo che passa gran parte del libro a menzionare ristoranti e pietanze cotale scivolone non me lo aspetterei. Dico, lascia perdere. Non c'è bisogno che menzioni l'ottima birra sarda (del gruppo Heineken). O almeno se proprio vuoi farlo prova prima ad assaggiare la moltitudine di ottime birre artigianali che l'isola confeziona. E se poi ti piace ancora l'Ichnusa, buon per te. Or bene... Questo è Passaggio in Sardegna dell'intelligentissima prosa di Onofri. Un problema ai calzini? No, una condita torta, tra un agape festante e un infoiato presenzialismo. Essendo un libro con più pagine cose non orride tuttavia vi sono; una non deplorevole metafora insita nell'asino albino dell'Asinara e un appunto sulla bellezza delle donne sarde che non posso che condividere. Per il resto... Onofri, un uomo disorientato ma orientato su di sé e con la coinvolgente voglia di metterlo per iscritto. Vedendosi oggetto di ammirazione e giustificata attenzione, un bel dì dell'aprile del 1778 Kant ebbe a scrivere* - parafrasando - "Fare colpo su una grande scena è cosa che mi attira poco". Onofri scriverebbe lo stesso? O chissà, più realisticamente, se fosse diventato un fisico nucleare oggi avremmo invece un quark chiamato Epperò.
* Werke, volume IX, lettera a Markus Herz, pagina 174.
Per altre esperienze onofriane rimando a Recensire.
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