L’ULTIMA RIGA DELLE FAVOLE di Massimo Gramellini (2010) Il suicidio della scrittura e come farne uso

Che cosa è uno scrittore e perché alcune persone si convincono di esserlo? Non lo so con esattezza, tuttavia è da quando avevo tre anni che nella mia testolina si è insidiata una convinzione che via via è diventata anche una convenzione: non c’è niente di peggio di uno scrittore che non sa scrivere. Ossia non vi è nulla di peggio di uno scrittore che non è in buona sostanza uno scrittore. Non si diventa scrittori a seguito di un costoso corso di scrittura creativa né si diventa scrittori passando il pomeriggio a lanciare palle di carta dentro al cestino. E non si diventa scrittori solo perché si ha avuti la congiunzione astrale che ha portato all'essere pubblicati. Wikipedia dice che sei uno scrittore, sulla terza di copertina è specificato che sei uno scrittore, in tv ti annunciano come scrittore. Ma vi è un luogo non fisico nel quale tu NON sei uno scrittore, e questo è – per l’appunto – il luogo della scrittura. Quello spazio che vi è tra una parola e l’altra, tra una battuta e l’altra. Fa molto fico spacciarsi per scrittore, il fatto è questo. La cosa ti fa sentire realizzato. Finalmente ce l’hai fatta! Tutte quelle ore a lanciare palle di carte nel cestino sono servite a qualcosa, tutte quelle frasi ripetute nella testa fino a trovarne la giusta musicalità sono servite a qualcosa. Finalmente da attore diventi scrittore, da giornalista diventi scrittore, da critico letterario diventi scrittore, da conduttore televisivo diventi scrittore. Quale emozione le copie che vanno in stampa, tenere tra le mani la tua opera. E poi via, verso le librerie, verso le edicole, verso i monitor. Il tuo libro è un successo pazzesco. Ora è più chiaro che mai, lo dice anche il pubblico (e il cliente ha sempre ragione): tu sei uno scrittore. Il tuo primo romanzo. Quello dove metti tutto te stesso. Il romanzo che ti ha fatto diventare uno scrittore. Ecco quindi che per tentare di capire tale miracolo mi son messo a leggere il primo “romanzo” di uno di quelli scrittori che in questo paese va alla grande. Il primo incredibile romanzo di Massimo Gramellini.
La Longanesi ha ben pensato di nutrire l’affamato e raffinatissimo cervello italiano con la prosa di un cavallo vincente, Massimone Gramellini, o Minimo Gramellone come preferirei chiamarlo io. Or bene, per comprendere le ragioni di questo successo (definito meritato in virtù della massa di lettori dal palato fine che ne hanno tutelato l’escalation) e soprattutto per capire finalmente cosa significhi essere uno scrittore ecco L’ultima riga delle favole di Massimo Gramellini. Libro pubblicato nel 2010, libro che ha venduto oltre 250 mila copie. Il romanzo conta ben 258 pagine, numero raggiunto grazie al corpo dei caratteri e all'ampiezza dei margini. Su una comune pagina di un foglio elettronico il libro potrebbe, ad occhio e croce, contare circa 93,02 pagine Ma non voglia ora star qui a disquisire sulle dimensioni del pene scrittorio di Minimo Gramellone. La copertina del libro ci porta già nella dimensione cardiaca di Gramellini: in primo piano vi è uno spaurito cuore rinchiuso in una gabbia, una mano tenta di salvare questo cuore smarrito dalla sua prigionia. Una bella mano femminile. Che immagine poetica e meravigliosa. Sul retro del libro vi è invece il faccione di Gramellini. Anche questa è una immagine dolce, delicata, non invasiva. Forse Massimo avrebbe dovuto spalmarsi un po’ di burro cacao sulle labbra ma non importa. L’immagine è così voluminosa che, all'occorrenza, la si può utilizzare come maschera per fare gli scherzoni agli amici. Aprendo il libro ci imbattiamo in una illustrazione nella pagina a destra, diciamo che è una sorta di percorso a stella. Le Terme dell’Anima. Una indicazione per ciò che poi troveremo nel prosieguo della vicenda. Sulla pagina a sinistra troviamo invece una citazione dal vangelo di Tommaso. Roba seria quindi. Or bene, andando avanti, la storia inizia con un corsivo, una filastrocca che il protagonista sta leggendo. Una filastrocca che parla di anime smarrite e di una gabbia, una gabbia con… Le sbarre costruite dal dolore. Una immagine, una fotografia esplicativa e metaforica del dramma del cuore umano. Non sto più nella pelle e decido di affrontare il primo capitolo. Poco importa che il primo capitolo conti 28 righe. Il protagonista del romanzo si chiama Tomàs. Certo, avrebbe potuto chiamarsi Ugo, Mario, Nunzio, Luca, Cirino Pomicino ma visto che qui discettiamo di anime e di cuori imprigionati nelle gabbie fatte di dolore, è giusto che il protagonista si chiami Tomàs. Ecco quindi periodi brevi, fulminei, descrizioni sdutte. Il romanzo è fortemente allegorico e quindi ci sta questo lessico metaforico, questo linguaggio figurato. Se ci sono le sinestesie di Montale perché mai non dovrebbero esserci quelle di Massimo Gramellini disseminate per tutto il libro? Vai Massimo, go go, yeah. 
Una prosa fatta di tante piccole porzioni e tante dolcissime immagini, ecco un possibile tratto identificativo del nostro scrittore. Cristo, in fondo anche per Aristotele dagli oggetti singoli si può arrivare all'universale. Certo lui parlava dell’induzione ma va bene lo stesso. Si può scrivere anche così. E quindi vai di frasi tipo: “Rianimò una banconota che moriva di solitudine in fondo alla tasca dei pantaloni”. Tomàs, tra una rianimazione monetaria e l’altra è uno che ha qualche problema con le donne. All'inizio infatti lo sorprendiamo indeciso e sconfitto. Arianna, la donna della quale si innamora alla riga 15 gli rifila un due di picche parlandogli al telefono. Ecco quindi che “Tomàs rimase con la cornetta appesa all'orecchio, una pistola scarica”. Quante belle immagini pregne di potenza letteraria. Il capitolo due è ancora più intenso. Sì, sono tre paginette sputate ma calde e madide di intensità. Povero Tomàs, lui che è il “disertore sentimentale”. Lui che “abitava il suo cuore da solo”. Tomàs è da solo. Cosa farà? Dove andrà? Cosa incredibilmente combinerà nelle prossime 13 righe? Estrarrà fuori una pistola carica di rabbia? Morderà l’aria satura di sconforto? Annasperà tra i flutti della disperazione? Be', lo scopriamo subito giacché Gramellini rintocca sui tasti pencolanti del computer e scrive di Tomàs: “Innaffiò l’aria già umida con un altro starnuto. Una pallina di cemento armato oscillava sulla vetta dello stomaco e narici mani occhi perdevano acqua come rubinetti chiusi male”. Dio, con queste parole io mi sono già venuto nelle mutande. Ti prego Massimone, spruzzami tutto con dell’altra mitopoietica! Ecco allora Tomàs andare in spiaggia, già perché “Solo lo iodio riusciva a placare le bizze del suo sistema linfatico”. Dopo un “Trasferì in macchina il suo cattivo umore” e dopo un mondo contemporaneo che ha “riscosso la sua rata di dolore” Tomàs è lì, innanzi al mare, “Era il suo ufficio dei sogni”. Un ufficio subito profanato da un gruppo di malintenzionati che nel tentativo di rapinarlo lo fanno cadere in acqua. In mezzo all'acqua si consuma la tragedia. Tomàs si sente la vita sfuggirgli, lui “Una famiglia, una laurea e un mestiere da scordare. Pochi ideali, amici e amori da rimpiangere. Una vita senza senso e senza cuore”. No, non è una pubblicità dell’Amaro Montenegro, è Gramellini che ci descrive il suo per niente banale protagonista anche se sì, a ben pensarci, la vita di un singolo essere umano non è mai banale e non c’è vuoto nell'umano se non il cuore che si spezza tra le sferzate della miseria. Neppure un fazzoletto di carta, nella sua ludica materialità, può contenere i batteri di una vita spesa a calpestare i petali dell’anima (eh eh, se mi impegno anche io forse posso ambire a questo tipo di scrittura). Il capitolo due (che assieme al capitolo uno costituisce un prologo) si chiude però con una inattesa sorpresona. Tomàs sta affondando ma ecco le ultime tre possenti righe: “Stava andando alla deriva negli abissi di un mare di noia quando sentì pulsare qualcosa. Una luce, fatta di musica. E rimase inebetito da tanta bellezza”. Ed io non vedo l’ora di andare al capitolo tre. 
Qui il protagonista si risveglia sdraiato su un lettino di vimini. Starnutisce anche se “I morti non starnutiscono”. Dove è Tomàs? Cosa gli è successo? Tomàs “Chiese soccorso alla memoria frastornata, che gli restituì il ricordo di un naufragio esistenziale”. Un naufragio esistenziale, oltre 250 mila copie vendute. Il nostro eroe si ritrova in un chiostro,  fa freddo e lo capiamo da un’ennesima immagine possente: “Folate di vento autunnale si insinuarono fra le pieghe dell’accappatoio”; non so cosa sia peggio, se la questione del vento autunnale o l’uso del verbo insinuare o la parola “accappatoio”. Ad ogni modo, fa freddo. Fortunatamente Tomàs non è solo, davanti a lui si manifesta una figura, una figura che in una mano tiene una fiaccola e nell'altra un registro. Siamo indubbiamente innanzi alla Vestale Nera nota come la responsabile dell’accoglienza. Dopo uno scambio di battute serrato ed imbarazzante arriva la questione esistenzialmente preminente. Tomàs si ritiene un signor nessuno ma la Vestale Nera con la fiaccola in mano e il registro gli risponde che no, lui non è il signor nessuno, lui è “il vincitore di una gara di nuoto fra trecento milioni di spermatozoi”. Meraviglioso questo invito a vivere e a viverla e a viverci. Tomàs inizia a sudare e tra una gocciolina e l’altra riesce a leggere il nome della responsabile dell’accoglienza giacché quel nome è stampato sulla sua spilla “all'altezza del seno”: Stella Maris. La tizia con la fiaccola e il registro si chiama Stella Maris. Diciamo che è un po’ come da bambini quando si inventano i nomi: Stella, Luna, Sole, Arcobaleno, Termostato. Ecco quindi che abbiamo Tomàs e Stella Maris. Tomàs terrorizzato da cotanta idiozia letteraria scappa (capitolo 4) e nella fuga si imbatte in due fenicotteri rosa. Scappa, è spaventato ma ha il tempo per scorgere della gioia nei due volatili. “Gli sembravano felici e li invidiò”. Capito? Tomàs ha il suo momento di invidia per la felicità dei fenicotteri rosa. Non è una cosa dolcissima? Adorabile. La fuga di Tomàs dura tre righe, subito dopo è di nuovo in compagnia di Stella Maris che gli rivela dove si trovano, sono alle Terme dell’Anima. Minchia. Perché Tomàs si trova lì? “Lei è ricoverato qui per ricominciare a vivere”. Tomàs è esterrefatto. Anche il lettore lo è, non abituato a questo tipo di scrittura e a questo tipo di intreccio. Il peggio però deve ancora avvenire, a livello di prosa e di immagini. Tomàs insiste nel voler sapere perché lui, lui che non crede nell'amore, si trova lì. Stella Maris risponde senza esitazione, Tomàs è lì perché “Dagli abissi del mare ha mandato un messaggio d’amore su questa frequenza”. Ripetiamo insieme: Dagli abissi del mare ha mandato un messaggio d’amore su questa frequenza. Sia lode a Cristo. Dopo questo avrei voluto gettare la spugna. Non potevo farcela. Non potevo continuare. Ero innanzi ad un horror! 
Tremando proseguo nella lettura e scopro che, anche se non lo sa, Tomàs cerca l’anima gemella. Tormentato dalle scottanti rivelazioni che su di sé gli fa Stella Maris, Tomàs reagisce chiudendo gli occhi per far finta di essere addormentato. “Fin da bambino aveva imparato a indossare la maschera dell’addormentato”, è chiaro che questo è un frammento autobiografico all'interno del coccoloso cervellino di Gramellini. Che tenerezza. Con questo abile (e un pochetto penoso) trucchetto del far finta di dormire si chiude il quarto capitolo. Nel capitolo 5 c’è un sunto degli incontri sentimentali di Tomàs, tra questi la “figlia del notaio più ricco della città” e poi lui che scappa dalle relazioni, il rifugiarsi nell'alcol e altri luoghi comuni. Ora, il libro, come detto, conta 50 capitoli e non posso di certo star a commentarli uno per uno, anche se potrebbe essere una cosa simpatica. Potrei magari organizzare un reading tipo quelli di Benigni. Letture del romanzone di Gramellini in piazza Santa Caterina, a Firenze. Per farla breve, a malincuore seguirà ora un sunto il più sunto  possibile degli altri capitoli. Purtroppo non potrò inserire tutte quelle belle frasi pregne di cuore e di anima e di scrittura tout court. Frasi come quella all'inizio del quinto capitolo: “La sofferenza gli aveva ustionato il cuore”, una frase che forse può funzionare bene in un esercizio all'interno del corso di scrittura creativa ma che, nel mondo dello scrivere, risulta un qualcosa di francamente osceno. La sofferenza gli aveva ustionato il cuore e “una crosta di cinismo si era formata sopra le cicatrici della sua sensibilità”. Gesù, io me lo vedo Gramellone appena dopo l’aver digitato queste frasi. Contempla il monitor e se ne compiace, timidamente ma se ne compiace. Ma ha ragione lui, oltre 250 mila copie vendute: la sofferenza gli aveva ustionato il cuore.
La parte che segue (se non hai già abbandonato dall'inizio la lettura di questo mio odioso post) la puoi saltare. Attuo codesto sunto per avere un quadro generale, per avvicinarmi sempre più alla forma Gramellini scrittore e per interrogarmi ulteriormente sulle ragioni di un così autocrate successo letterario.

CAPITOLO 6 - Grazie ad un medico gigante di nome Direttore, Tomàs guarda la sua anima in uno specchio (sic!), un’anima femminile. Il livello dei dialoghi è penoso, ad aggravare il tutto subentra una sorta di umorismo di Tomàs, un atteggiamento che per quanto ironico e autoironico, risulta finto, non solidifica la costruzione del personaggio. Si avverte solo il peso dell’autore. Il medico racconta a Tomàs la storia di John Lennon e la cosa dovrebbe impressionarci. Scopriamo che Tomàs colleziona donne. 

7 – Tomàs racconta dell’incontro con l’ultima fanciulla conosciuta prima di annegare, Arianna. Si conoscono ad una conferenza intitolata Il peggiore dei mondi possibili. Arianna è colei che ribatte al “pensatore più famoso della città, così intelligente da venir spesso invitato a litigare in televisione”. Cosa dice Arianna? Dice che a risvegliare il mondo non sarebbe stata la “logica dei sapienti, ma l’energia degli innamorati: gli unici ancora capaci di coniugare i verbi al futuro”. Alla povera fanciulla viene poi tolto il microfono manco stesse denunciando un giro di tangenti.    

8 – Ancora il racconto dell’incontro di Tomàs con la fanciulla. Scambi di battute non esaltanti, abbastanza improbabili nel loro essere troppo ad effetto. Tomàs il professore disoccupato e Arianna la studiosa di filosofia. Certo.

9 – Il medico gigante consegna a Tomàs la sua scheda medica. Scrivendo della “spelonca” delle paure il medico gigante cita Gesù Cristo e un eremita al fine di invitare Tomàs a mettersi in cammino. Tomàs pare voler solo rivedere Arianna, la ragazza incontrata una volta sola.

10 – Tomàs vedendo dei pesciolini che cercano inutilmente di aiutarsi a vicenda dalle problematiche acquatiche si fa prendere dallo sconforto e quasi piange: “Che senso aveva la vita, se ogni gesto d’amore si traduceva in un sacrificio?”. Incontro con Uma, l’allenatrice personale.

11 – Uma, l’allenatrice, rivela a Tomàs che gli verrà insegnato a lanciare il desiderio d’amore nell'universo. Ora quindi deve allenarsi sul tappeto mobile dei desideri. Se riuscirà a lanciare un desiderio d’amore, una stella in cielo si illuminerà d’oro. Peccato, ci mancano solo gli orsetti del cuore. Tomàs fallisce il primo tentativo e gli viene pure il “torcicollo emotivo” (nonostante Uma che gli suggerisce: “è necessario che i muscoli del tuo carattere si rinsaldino nelle difficoltà”). Alla domanda “Chi ami di più al mondo?”, Tomàs non sa rispondere. Ecco allora che stesa su una panca appare Arianna, la fanciulla incontrata solo una volta.

12 – Tomàs grazie alla forza dell’amore (e al tifo greve degli orsetti del cuore) solleva un enorme masso e salva Arianna che vi stava giusto giusto sotto. Arianna scompare all'istante ma Tomàs ora è riuscito a generare la stella d’oro del desiderio d’amore.

13 – In una sauna Tomàs si mette a parlare con un tizio (che si fa chiamare Polvere) anche lui ritrovatosi come Tomàs in quel mondo d’emozioni. Arriva Stella Maris e porge loro la “bacinella sputa vita”, ossia un oggetto a forma di bacinella che ha il potere di produrre sincerità in chi la tiene in mano. La bacinella della verità.

14 – L’uomo nella sauna (Polvere) racconta di come pure lui si era lasciato morire in mare per un amore interrotto dalle sfighe della vita.

15 – Una fanciulla bionda si avvicina a Tomàs, una “celebrità della televisione” che si chiama Morena. “Ma sei bionda. Perché ti chiami Morena?”, domanda Tomàs. Colgo l’occasione per andare a vomitare.

16 – Altre chiacchiere con Morena.

17 – Un essere di nome Andrea racconta una favola. Ne sentivamo proprio il bisogno.

18 – L’essere di nome Andrea si mette a cantare (o come scrive Gramellini a “rac-cantare”). Ne sentivamo ulteriormente il bisogno.

19 – Sbuca Noah, il medico delle acque, e con lui inizia l’immersione nelle vasche con l’acqua termale. Le vasche sono nientepopodimeno che le “vasche dell’io”, contengono le sostanze presenti nel liquido amniotico. Evvai.

20 – Il bagno termale prosegue e compare pure il “sapone del perdono”.

21 – Uso del sapone del perdono sul corpo di Tomàs.

22 – Un serpente arcobaleno che bighellonava lì in zona si mangia tutta una serie di versioni di Tomàs. Quando arriva al nostro Tomàs, il serpente arcobaleno gli si attorciglia addosso per poi concentrarsi, fondendosi in Tomàs, in un unico punto: l’osso del culo di Tomàs. L’osso sacro, la “tana dell’energia creatrice”.

23 – Morena, la celebrità della televisione, per via di una cattiva collaborazione nelle terme con Polvere, pare in procinto di schiattare. Tomàs vuole assolutamente salvarla ma ha anche voglia di tirare cazzotti.

24 – Capiamo che Morena è in pericolo perché Polvere, con i suoi “pensieri opachi”, le ha impedito di espandere l’emisfero femminile del cervello causando così alla donna un “prosciugamento dell’anima”. Tomàs pensa allora bene ti baciare Morena morente.

25 – Morena si sveglia dopo il bacio e, come da copione, dà uno schiaffo a Tomàs per poi subito dopo domandargli “Dov'eri, quando avevo bisogno di te?”. Da sottolineare il fatto che i due si conoscono da una manciata di righe. Scambio di battute tra i due e quindi dialoghi imbarazzanti, sempre ad effetto, sempre senza sbavature. Si ha la poco diegetica sensazione che a parlare sia sempre Gramellini, e quindi un unico personaggio. Non vi sono personalità definite ma solo stereotipi. Morena parla del suo lasciarsi e riprendersi con il suo uomo, un regista che si chiama… Paolo? Luigi? Giovanni? No, si chiama Mokò, l’eterno ex fidanzato ubriacone.

26 – Ritorna Noah, il medico delle acque, vuole partecipare all'incalzante discussione tra Tomàs e Morena. Indossa la sua graziosa tunica, “sobria come solo la nobiltà autentica sa essere”. Noah rivela che “Il contrario della bellezza è la mancanza di passione”. Morena, quando l’abbiamo conosciuta era una che si stupiva del non essere riconosciuta – visto la sua celebrità – da Tomàs. Ora è una donna foriera di aforismi fulminanti, sensibile e arguta, “Ciò che una donna come me trova bello in un maschio è la sua forza vitale: quel misto di fierezza, gentilezza e risolutezza che vi rende affascinanti molto più di un bel naso o di una macchina potente. (…) Ci innamoriamo di chi emana energia”. Morena e Tomàs riprendono a navigare nelle acque e Tomàs va verso la sua “Ombra dell’Amore”.

27 – Tomàs sogna di danzare da un continente all'altro ascoltando Starway to heaven.  Poi si mette a volteggiare nelle acque con Morena.

28 – Morena e Tomàs ritornano al chiostro, il punto di partenza. Ad attenderli vi è Andrea che canta radioso con in mano un vassoio di tisane. “Io adoro le emozioni”, sbotta Morena. Tomàs inizia a desiderare Morena. Andrea, continuando a cantare, versa sulle tazze dei due “un infuso che aveva i colori dell’arcobaleno”.

29 – Tomàs si incanta a guardare i piedi di Morena.

30 – Ritorna Noah e i tre si muovono lungo un sentiero. Morena fa la ruota su un prato. Si imbattono in una donna che galleggia in una vasca. La donna altri non è che… Valeria? Maria? Silvia? Giovanna? No, Lys, la “massaggiatrice d’anime”. Entrare nella vasca con Lys comporta l’essere “riportati all'infanzia per rivivere il trauma che aveva deviato il corso naturale delle loro vite”.  Tomàs entra nella vasca e rivive il momento della morte della madre. Siccome è un bambino, il dottore che assiste la madre si chiama dottor Bo e i tizi delle pompe funebri si chiamano pinguini. Questo mi fa pensare a quando ero piccolo io e al fatto di non aver mai contemplato la morte o l’abbandono in termini di dottor Bo e pinguini. Ad ogni modo il dottor Bo dice al piccolo Tomàs che “Da oggi lassù c’è un angelo speciale che veglia su di te”. Certo, come no. Tomàs non ci sta e tira un pugno allo stomaco del dottor Bo che nonostante tutto prende il piccolo Tomàs e lo abbraccia. Momento molto toccante.

31 – Momento elaborazione del lutto e la solita questione del non perdonare chi va per morte.

32 – Nell'elaborazione del lutto e dei ricordi di spiaggia Lys, la “massaggiatrice d’anime” si mette a disquisire di Maradona e di quando Zola fece un goal. Tutto questo per parlare del talento. Tomàs si addormenta. Anche io.

33 – Tomàs si risveglia su uno scoglio, accanto c’è Morena. Tomàs si sente felice, ha elaborato il lutto. Arriva anche Noah, il medico delle acque. Riparte il solito scambio di battute ad effetto. Ad una domanda ben posta corrisponde una super risposta. Balza di nuovo fuori la memorabile bacinella sputa vita. Yeah.

34 – Tomàs rimembra il passato e l’abbandono da parte del padre. Padre vittima del “morbo dell’amor perduto”. Dopo la storiella struggente Morena e Tomàs si stringono l’un l’altra rivolti al sole.

35 – Tomàs e Morena scendono dallo scoglio e raggiungono la piscina sotto di loro. Ritorna Noah, il medico delle acque. Le solite argomentazioni del tipo che gli innamorati coniugano i verbi al futuro. Immersione negli idromassaggi, nella “vasca del Sole” che elargisce i “massaggi di rugiada”. Tomàs si perde nell'immaginare una vita con Morena. Ma l’amore della sua vita non era Arianna la donna incontrata una volta sola?

36 – Ridestato dal guardare al futuro, Tomàs decide di arrampicarsi sullo “scoglio della Gratitudine” e si mette a parlare con una lucertola. Tomàs torna poi nella vasca del Sole per godere degli idromassaggi di rugiada ma riappare Noah, il medico delle acque, che lo invita ad entrare in un buco sotto lo scoglio. Tomàs è un po’ depresso perché già si immagina il momento in cui con Morena passeranno all'essere una coppia spenta. Nell'attraversare il portale, Tomàs evince che Morena non ha ancora chiuso la storia con il suo ex, cioè Mokò, il regista ubriacone. Superato il portale (che poi è un arco), Tomàs si imbatte in Morena.

37 – Morena e Tomàs raggiungono lo “scoglio della Gratitudine”. Tomàs aggredisce Morena (la celebrità bionda che conosce da pochi capitoli) con un “Non hai niente da dirmi?”.  Morena rivela a Tomàs il viaggio nel futuro che anche lei ha affrontato grazie agli idromassaggi di rugiada. Anche lei ha visto entrambi come coppia. Racconta a Tomàs del loro fare “meravigliosamente l’amore”. La storia tra i due però è destinata a finire, la donna per Tomàs è un’altra. Una donna con gli zigomi alti e le gambe flessuose. Portato a termine il racconto del futuro, Morena prende baracca e burattini e dopo una carezza di congedo a Tomàs, se ne va per la sua strada.

38 -  Lo strazio al quale mi sono sottoposto è quasi giunto al termine. Ci vuole un certo impegno per leggere questo romanzo e spero che, visto tutto ciò che esso propina, si inizi a vedere come parole quali romanzo, libro e scrittore abbiano una connotazione beffarda. Tomàs, scende dallo scoglio. Irrompe sulla scena Andrea, il Cantastorie e riprende le sue litanie: “Non sentirti un reietto. Tutto è giusto e perfetto”. Tomàs non trova di meglio da domandare: “Le favole nascondono il linguaggio degli dei?”. Purtroppo, per lo sfinito lettore, Andrea replica incalzante e alle stronzate di coso… di Tomàs aggiunge le sue. Ecco quindi Andrea cantare: “L’anima ha un nemico, l’ego, che la vuole annientare. Ma attraverso i sette cancelli del corpo essa si salverà. E il suo Verbo lo spirito saprà”. I due si assecondano alla grande. “Una luce troppo forte acceca chi sta nell'oscurità”, canticchia Andrea. Tomàs immagina di “abitare il suo corpo e di pensare i suoi pensieri” e poi d’improvviso urla ad Andrea: “Tu sei… l’amore!”. Io qui mi fermo un attimo e corro in bagno a vomitare, se almeno avessi avuto la bacinella sputa vita avrei vomitato lì, avvolto negli idromassaggi della “vasca del Sole” che elargisce i “massaggi di rugiada”. Lascio scemare gli spasmi allo stomaco e riprendo a leggere. Andrea rivela di essere Androgino, “colui che ha realizzato dentro di sé l’amore, mettendo insieme il maschio con la femmina ed entrambi col suo cuore”. Androgino Andrea, sempre più uno Yoda di ‘stocazzo, canta: “Ognuno può essere speciale. Tu un portento sarai, presa la giusta via. Se il tuo talento troverai, paura non saprai più cosa sia”. Tomàs scopre il suo talento: l’empatia.

39 – Un’altra canzone di Androgino Andrea Cantastorie. Preso dall'estasi Tomàs ode la voce di Arianna, la donna che ha incontrato una volta sola. La sua ragione di vita. Androgino Andrea Cantastorie conduce ora Tomàs nella vasca del Drago, vasca alimentata dalle lacrime. Androgino Andrea Cantastorie se ne va, ma non prima di aver cantato l’ennesima cagatina: “Sii umile perché sei fatto di sterco, ma sii nobile perché sei fatto di stelle”. Mi vomito addosso.

40 – Altri 10 capitoli e questo strazio allucinante finirà. Posso farcela. Tomàs si accorge che le pareti si stanno restringendo attorno a lui. Si sente spacciato e allora si mette a piangere, “Pianse nella piscina tutte le lacrime che aveva risparmiato nel corso degli anni”. Siccome Androgino Andrea Cantastorie gli aveva detto di essere umile allora Tomàs fa qualcosa di umile, piega le gambe (tipo Indiana Jones nella parte finale de L’ultima crociata). Questo movimento gli permette di scoprire una botola e quindi un passaggio segreto. Vi entra. Alla fine Tomàs si ritrova su un prato, qui appare un libro. Pare vi sia narrata l’ultima favola che sua madre ha potuto leggergli. 

41 – La favola è La Bella e la Bestia. I personaggi del libro si animano davanti agli occhi stupiti di Tomàs. Illuminato da tutto ciò, Tomàs comprende che: Bestia è il suo corpo, Bella la sua anima, il castello è il suo cuore. L’anima di Tomàs era entrata nel corpo di Tomàs “risvegliando l’amore che lo avrebbe trasformato finalmente in un uomo”. In un delirio allucinogeno Tomàs arriva ad un trono ove è seduta una fanciulla che tiene in mano una coppa dorata. Tomàs raggiunge la dolce fanciulla e beve “l’acqua di fuoco” dalla coppa. Ora i due si abbracciano e lei si fonde nel corpo di Tomàs che rimane da solo, con la coppa dorata in mano.

42 – Salendo su di una altura Tomàs, il nostro eroe, scopre che il sentiero che unisce le vasche crea una simpatica stella al cui interno primeggia il chiostro. Essendo una persona molto sensibile e profonda, guardando questa stella Tomàs si lascia avvolgere da un “senso di perfezione e di pace”. Forse, se la struttura avesse avuto la forma del simbolo della pace, Tomàs si sarebbe fatto avvolgere da un senso di stella. Estasiato da tanta bellezza, Tomàs si rivolge a dei pennuti e dice loro: “Non avete capito che siamo liberi? Dovete volare, volare!” e dicendo così mima con le braccia il gesto del volo. Non ricevendo alcuna considerazione, Tomàs prende a cuore i pennuti e decide di far loro vedere come si vola lanciandosi da un burrone. Per attirare l’attenzione dei due volatili, Tomàs emette un suono con la bocca. Gli uccelli lo vedono e sono pronti a menarlo. Tomàs allora approfitta di questa attenzione per lanciarsi nel vuoto. In volo Tomàs avverte il risveglio del “fuoco del suo amore”, fuoco che precipita “dentro la camera del cuore in una scia di luce”. Ha il tempo di scorgere i pennuti finalmente in volo e si sente felicissimo.

43 – Tomàs si risveglia su un lettino. Compare Stella Maris, la Vestale Nera e c’è anche il medico gigante di nome Direttore. Il Direttore porge a Tomàs uno specchio e lui vi si guarda. All'inizio si vede riflesso, poi l’immagine viene sostituita da quella di una fanciulla seduta su un trono. La donna ha un serpente attorcigliato sulla testa, le tette grandi e una tunica rossa. Il Direttore gigante rivela: “Hai appena visto l’amore”. Questo significa che Tomàs si è riconciliato con la sua anima. Il Direttore mostra a Tomàs un medaglione d’argento con incisa una stella grande che ne contiene una piccola, il significato lampante è che ogni maschio contiene una femmina e che ogni femmina contiene un maschio. Sticazzi.

44 – Tomàs prova a disegnare la stella su un pezzo di carta ma non gli viene benissimo. Il Direttore medico gigante se ne esce con una battuta che alla fine è forse la verità più densa di tutto il libro: “Avere tante penne e non saper scrivere” e nonostante ciò, aggiungerei, arrivare a vendere milioni di copie. Ma alla fine non è tanto Gramellini il problema, sì, lui si crede uno scrittore. Ognuno può in fin dei conti credere quello che gli pare. Il problema è che del suo voler essere uno scrittore gliene è stato dato spropositatamente atto. Ma torniamo al… romanzo. Il Direttore medico gigante parla di segni più e di segni meno e del “gioco eterno dell’amore”. Inoltre spiega a Tomàs che due devono incastrarsi reciprocamente per essere anime gemelle e che le Terme dell’Anima esistono per far imparare a desiderare la persona giusta. Il Direttore medico gigante conferma che sì, Arianna è l’anima gemella di Tomàs.

45 – Appaiono tutti i Maestri: Stella Maris, cioè la Vestale Nera nota anche come la responsabile dell’accoglienza. Noah, cioè il Medico delle Acque. Uma, l’allenatrice. Andrea Androgino Cantastorie. Lys, la Massaggiatrice d’Anime. I venerabili Maestri sono dentro la vasca, la vasca dell’Agape, galleggiano in cerchio “fra petali di rosa” e tengono un uovo in mano. Tomàs si avvicina e riceve il suo uovo. Il Direttore Medico Gigante che possiede l’amuleto a doppia stella dà l’ordine e tutti iniziano a mangiare secondo un rituale preciso: nessuno mangia ciò che ha in mano ma ciò che il vicino alla destra via via gli passa. Mi tornano i crampi allo stomaco ma resisto. Uma, l’allenatrice, rivela a Tomàs che i livelli di apprendimento sono in tutto sette. Tomàs, evidentemente sconvolto dalla notizia, si sente mancare. Per fortuna è l’ora del vino. Andrea Androgino Cantastorie stappa una bottiglia e versa l’alcolico nettare sui calici del gruppo. Gli avvinazzati brindano e Andrea Androgino Cantastorie inizia a cantare, cioè a rac-cantare, come precisa puntualmente Gramellini.

46 – Andrea Androgino Cantastorie canta di Fleming che scoprì la penicillina  e di Winston Churchill che guarì dalla polmonite grazie al farmaco di Fleming e di Hitler fermato da Churchill. Canzone e storia che, a detta del mega Direttore Medico Gigante che possiede l’amuleto a doppia stella, “tocca il cuore degli uomini”. Anche il cuore di Tomàs è toccato dalla storia rac-cantata e capisce che ad ogni azione segue una reazione. Il gruppo fa girare un cesto di pane.

47 - Lys, la Massaggiatrice d’Anime, fa un massaggio alle tempie di Tomàs e quindi lui inizia ad avere il solito trip del viaggio indietro nel tempo. Sopraggiunge la questione del funerale della madre, funerale al quale non era stato permesso a Tomàs di partecipare. Elaborazione del lutto, senso di inadeguatezza, sensi di colpa, senso di senso.

48 – Tomàs apre gli occhi e scopre di essere rimasto unicamente con il mega Direttore Medico Gigante che possiede l’amuleto a doppia stella. “Per amare dovrò rinascere?”, domanda Tomàs pensando ad Arianna, la donna che ha incontrato una volta sola. “E per rinascere dovrai morire”, risponde il Direttore Medico Gigante che possiede l’amuleto a doppia stella. Sbuca Stella Maris, la Vestale Nera nota anche come la responsabile dell’accoglienza. Tocca a lei accompagnare Tomàs fuori dal chiostro. Tomàs, rivede nuovamente Polvere e per mostrargli la giusta via decide di lanciarsi giù dalle cascate.

49 – Tomàs riappare in mare. Ritorna sul molo e ritrova anche i suoi vestiti e degli spiccioli. Dopo essersi sistemato va in spiaggia e si mette a ballare. Finita la danza raggiunge il parcheggio ove c’è la macchina ad aspettarlo. Chi lo aveva aggredito all'inizio del libro non si era curato né di buttare i suoi abiti, né di prendergli gli spiccioli, né soprattutto di fregargli la macchina. Ora capiremo perché. Guidando felice Tomàs si imbatte in un autostoppista e gli dà un passaggio. Come si chiama l’autostoppista? Mario? Marco? Michele? Giovanni? No, si chiama Gabriel. Gabriel parla di una lite  con la sua ex e successivamente dell’incontro con dei “balordi”. Qui, sorpresona super, capiamo che questo capitolo è speculare al secondo. Le frasi sono quasi identiche eccetto che nel secondo capitolo vi era un tono disfattista mentre nel capitolo 49 il tono è gioioso. Con lucidità scopriamo or dunque che Tomàs non era stato aggredito da dei “balordi” ma era semplicemente stato avvicinato da Gabriel che gli chiedeva aiuto giacché era lui ad essere inseguito da gente che voleva menarlo. Tomàs aveva invece scambiato la disperazione di Gabriel per aggressione ed era poi inciampato finendo in acqua. Gabriel tuttavia non riconosce Tomàs, pensa che il tizio caduto in acqua sia stato un altro tizio. Ad ogni modo io mi chiedo, questo vede uno cadere in acqua e non l’aiuta? Se ne va come se nulla fosse? Va Be', pretendere qualcosa di sensato da questo libro mi pare effettivamente eccessivo. Gabriel racconta quindi a Tomàs della sua ex ragazza più tutta una serie di dettagli che ovviamente chi non racconterebbe ad un estraneo. “Tu sei fidanzato?”, domanda alla fine Gabriel e Tomàs risponde: “Sì, con la mia anima”.

50 – Tomàs raggiunge il cimitero sulla collina ove sono sepolti i suoi genitori. “Mi metterò nei panni degli altri per aiutarli a ricominciare a vivere” dice alle loro foto. Poi si mette a pensare ad Arianna, Tomàs ne è convinto: l’avrebbe rintracciata presto.

FINE SUNTO DEL ROMANZONE

Se all'età di undici anni mi avessero detto che una trama del genere ed una prosa del genere sarebbero state unanimemente riconosciute come valide di pubblicazione, sono certo che avrei potuto scriverlo io questo libro. Ad undici anni, forse anche meno. Ho iniziato a scrivere relativamente presto, come Daria Bignardi. Purtroppo per me, non scrivevo di idromassaggi di rugiada nella vasca del Sole. Scrivevo cose più schifose. Scrivere mi veniva abbastanza facile, anzi, era la cosa che mi veniva meglio in assoluto. Non nel senso che scrivessi cose eccelse ma nel senso che venivo notato per questo e questo mi ha permesso un percorso scolastico non totalmente disastroso. Infatti credo di esser stato bocciato circa quattro volte, forse cinque. Scrivere mi ha permesso di stare a galla fino al diploma di scuola media. Non è facile essere uno studente di scuola media. Come tutti i giuovani ero fuori dal tempo, come il Dio di Bonaventura tra l’altro. Se solo a quell'età fossi stato più lungimirante, se solo mi fossero venuti in mente gli idromassaggi di rugiada nella vasca del Sole. Ha ragione Heidegger quando scrive che l’essere dell’uomo è una nullità esistenziale. Sono stato incapace di auto-progettarmi a dovere, sono franato rumorosamente nella negatività originaria ed ontologica dell’uomo. Ma porca puttana Androgino Andrea Cantastorie dove sei quando c’è bisogno di te? Avrei potuto scrivere questo libro ad undici anni di età, chiunque avrebbe potuto farlo. Ma sarebbe apparsa anche una cosa così stupida da fare. Ci vuole il coraggio del non-scrittore per scrivere una storia come questa e farla passare addirittura per romanzo. Solo il non-scrittore può scrivere certe cose, solo il non-scrittore può venderle. Solo il non-scrittore può arrivare al cuore di branchi di lettori affamati di banalità sentimentali e di sentimenti edaci. Non-scrittori e non-lettori, l’agape neo-culturale per eccellenza. Qui mi sopraggiunge in mente Aldo Busi quando (in Nudo di madre – Manuale del perfetto Scrittore) asserisce che non si diventa scrittori, lo si è o non lo si è. Alla fine però, bisogna ammetterlo, dibattere sul talento di scrittore insito in Gramellini e sulla legittimità culturale del suo essere riconosciuto come scrittore, è cosa inutile. Io sono una delle tante voci, lui no. Per dirla in modo infantile: ha ragione lui. 
Il mio pensare che lui non sia uno scrittore non cambia la precessione degli equinozi, non cambia nulla. Da una parte i lettori forti, quelli che non leggerebbero mai Gramellini o Fabio Volo, sanno già cosa si avvicina all'essere definiti scrittori. E dall’altra parte, il popolo popolare della “letteratura” popolare continuerà a portarsi certi libri in spiaggia. Scrive Ortega y Gasset: “la massa travolge tutto ciò che è diverso, singolare, individuale, qualificato”. Chi non rientra in questa massa, in questo “tutto il mondo” rischia di essere eliminato. L’uomo-massa vive di una cultura di luoghi comuni e di idee vacue, prosegue il simpatico filosofo spagnolo. Come nel Sartre di Che cos'è la letteratura? anche per il nostro Ortega, l’intellettuale deve mirare al risveglio di un intelletto assopito. Come una missione. È evidente che questo ruolo non spetta a Gramellini, al sicuro nelle miriadi di copie vendute e al sicuro nel consenso dei suoi popolari estimatori. Tuttavia per un adorabile meccanismo di eterogenesi dei fini, libri come L’ultima riga delle favole riscaldano sì i cuori delle anime squirtate dalle acque del Sole con i massaggi di rugiada ma servono anche come modello. Ossia, se vuoi scrivere non scrivere come lui. Non sviluppare quel tipo di personaggi senza struttura. Non produrre quei dialoghi snaturati. Non lanciarti in quelle abissali immagini profonde come un cuore stampato su un pezzo di carta. Se pensi davvero si possa imparare ad essere scrittore non spendere soldi in corsi di scrittura creativa ma leggiti i non scrittori. Leggili e allontanate. Sì, non arriverai a vendere 250 mila copie, non avrai la tua vetrina suoi quotidiani, non verrai esposto in televisione. Non avrai alcun risalto ma avrai almeno una parvenza di scrittore. Inoltre, molto importante, avrai sorrisi sul tuo viso come ad agosto grilli e stelle. Storie fotografate dentro un album rilegato in pelle. Tuoni di aerei supersonici che fanno alzar la testa e il buio all'alba che si fa d'argento alla finestra. 
Sì, lo saprai solo tu di questa parvenza da scrittore ma non importa. Sarai uno di quei numerosi volti silenziosi, volti coperti dall'uomo-massa e dagli scrittori dall'ego-massa. E no, non sto parlando di me. Io so bene di non essere uno scrittore né ambisco ad esserlo. Sono uno che scrive, questo mi pare più che sufficiente. Come detto poco prima, la scrittura mi ha sempre dato una grossa e pelosa mano nei luoghi scolastici e non solo. Mi ha facilitato il muovermi in certi contesti. Credo comunque di non aver mai pensato di essere in possesso di qualcosa di particolare, pensavo semplicemente che questa cosa dello scrivere mi veniva semplice. E questa cosa semplice agli altri piaceva. Insomma, eravamo tutti contenti. Inoltre, a dirla tutta, non provo piacere nello scrivere. Non è una attività che mi piace, è una cosa che devo fare. È tipo come cagare. Non mi piace stare seduto sul cesso a cagare, ma lo faccio. Se non lo fai ti viene mal di pancia e produci anche letali emissioni d’aria dall'ano. Or bene, non parlo di me quando penso a quelli bravi a scrivere che purtroppo non riescono ad uscire fuori perché l’uscita è bloccata dal culone di Gramellini, dal faccione di Fabio Volo, dalle sopracciglia di Daria Bignardi. E questo è un vero e proprio peccato. Chissà quante pagine possenti e ben scritte sono destinate all'oblio. Purtroppo nell’élite degli scrittori non è sempre concesso l’ingresso agli scrittori. E se già a scoraggiarti vi sono romanzi come L’ultima riga delle favole, così spudoratamente e avventatamente mandati in stampa quando sarebbe stato meglio mandarli a cagare, a cotale privilegiata visibilità si aggiunge il consenso del popolo; un vasto e abnorme consenso. Or bene, non volendolo diventi una sorta di claudicante aristocratico, snob e sfigato. E alla fine ti interroghi con naturale inclinazione: “Ma io devo scrivere in questo contesto?” Tenetevi le vostre vasche dell’io, il sapone del perdono, i massaggi di rugiada e i serpente arcobaleno. Avete ragione voi. Avete indubbiamente ragione. 



LE FRASI DEL ROMANZO CHE PIÙ MI SONO 
ENTRATE BENE NEL CUORE:

Camminando fra le nuvole basse del suo pessimismo
Le disfatte del cuore aprono squarci provvisori che consentono di guardarsi dentro.
Passarono la notte a raccontarsi la vita.
Uno spacciatore di illusioni.
Mantenere le emozioni a distanza di sicurezza.
Scambiarsi ricette sull'amore.
Aveva sterzato le labbra dalla sua bocca.
I suoi pensieri sono allacciati al cuore, per questo li sento così bene.
Alzava lo scudo dell’ironia.
Solo quando l’emozione si sublima in sentimento l’amore raggiunge il suo centro e l’uomo diventa invincibile.
Tutte le anime posseggono un talento e vengono al mondo per farlo sfruttare.
Ogni mattina mi sveglio con l’intenzione di essere amabile.
Ho strisciato lungo i muri per scansare i pensieri della gente.
Il sesso e i soldi sono le scarpe che usiamo per camminare sulla vita.
I sogni non scherzano. Specie quelli che durano tutta la vita.
Chi incomincia a cercare ciò che ama finirà sempre per amare ciò che trova.
I se sono la patente dei falliti. Nella vita si diventa grandi nonostante.
Soltanto chi si mette in cerca del proprio talento finirà per trovare anche l’amore.
Un pensiero senza amore è un veliero senza vento.
L’entusiasmo cedette il posto al ruminare delle elucubrazioni.
Un gallo da combattimento con un cuore da artista.
Le cose che non esistono non le hai ancora desiderate abbastanza.
Le emozioni servono a ricordarti in ogni momento il colore dei tuoi pensieri.
Dovrai ripulire l’ingresso della tua anima.
Parcheggiare i pensieri su qualcosa che addomesticasse la sua ansia.
Siamo tutti allergici alla vita. Per questo moriamo.
Alitava sentenze a pochi centimetri dal suo naso.
La vita è una ciabatta. Insignificante perché sempre uguale.
Si sentiva un grumo di catarro nell’enorme starnuto dell’universo.
La diga del pudore aveva smesso di arginare la piena delle lacrime.
Lei sgorgò in una di quelle risate che puliscono qualsiasi incrostazione.
Benché grattugiasse troppi io sopra le frasi.
Si era cercata nell’alcol e nella droga.
Chiudere l’amore in un cassetto.
I libri scuri ti insegnano ad affrontare la vita. Ma solo quelli chiari ti ricordano che è trasformabile dai sogni.
Solo quando l’emozione si trasforma in sentimento il tuo Verbo avrà la forza di creare un firmamento.
Nessuno può ingannare il dolore.
L’amore è una meta che si raggiunge in due, a condizione di aver trovato la strada da soli.
Non obbedire mai. Obbedisciti.
Concimare gli aridi prati delle sue relazioni sociali.
I puntini di sospensione erano un modo tipicamente femminile di espandere il pensiero senza recintarlo nella gabbia dei punti fermi.
Impara a usare l’emisfero femminile del cervello. Il destro. Dove intuizione e creatività giacciono atrofizzate fin dall’infanzia.
Se tu imparassi a guardare la bellezza che ti sta intorno, la troveresti anche dentro di te.
È la legge dell’amore.
Mangia senza ungersi il maglione e paga addirittura il conto. Un miracolo di maschio.
Io conosco solo uomini con paura di amare.
L’idealizzazione è il lievito di ogni grande amore.
Secondo me hai in corpo troppa energia d’amore.
L’infanzia gli aveva scavato un vuoto d’affetto.
L’amore muore per strangolamento, ogni volta che Io soffoca Noi.
L’amore è una creatura autonoma, il cui nome è Noi.
L’amore dura finché si continua a sognare insieme.
Le emozioni hanno un colore?
L’amore è un film muto: togli il volume e concentrati sui gesti.
L’amore è un abbraccio che comprende tutto.
Staccando il filo che collega il cervello alla camera del cuore.
L’ossigeno che tiene in vita la tua anima è la volontà di realizzare i suoi sogni.
Nelle dita di ciascun uomo è racchiuso un miracolo.
La gratitudine asciuga, ma perché riscaldi occorre sia condivisa.
Gli innamorati sono in sintonia con il tempo dell’amore.
La vita è un campo di allenamento. Diventa vera solo quando ci amiamo.
Ci diremo quel genere di frasi che gli amanti si sussurrano soltanto negli orecchi.
L’amore è una danza in cui i ballerini non devono compiere per forza gli stessi passi, però li devono compiere insieme.
Ogni ferita fa più male il giorno dopo, e neanche le sofferenze d’amore sfuggono alla dura legge del risveglio.
La persona giusta è un premio, non un regalo.
Tu sei un uomo che mi stimola, mentre io ne voglio uno che mi argini.
Una combattente con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole.
Intuì di trovarsi in mezzo alle sopracciglia, là dove sgorgano le sorgenti dell’amore.
Se non vuoi che la coppia prosciughi (…) è indispensabile che il tuo Io affoghi al più presto in un Noi.
L’amore è una calamita che entra in azione quando il tuo esterno è la copia dell’interno di un’altra persona.
È tramite l’incanto della bellezza che si entra nel mondo dello spirito.
Non è un bene vivere. È un bene vivere bene.

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