JUST BEFORE I GO di Courtney Cox (2014) Il gallo per la milza

La questione del suicidio può essere considerata un tabù, un po' come la stimolazione anale attuata da uomini etero mentre al contempo si sparano una sega. Non fosse che il giocare con il proprio corpo è ben altra cosa dal distruggerlo, mi par ovvio. A tal riguardo quindi partirei da Catone l'Uticense per poi andare in modo fulmineo a esplicitare la mia altalenante positiva opinione a riguardo di questo esordio alla regia di Courtney Cox. Catone, oltre ad essere un maschilista di livello (un uomo che tradiva la moglie andava perdonato, una moglie che tradiva l'uomo doveva morire) fu anche avversario di Cesare. Lo detestò a tal punto che, piuttosto che cadere nelle sue mani pelose, preferì togliersi la vita. Da un punto di vista squisitamente linguistico è con Catone che si è arrivati al termine suicidio. Nel senso che a coniare la parola suicidio fu un certo sir Thomas Browne, il quale pensò al suicidio (in termini linguistici) pensando proprio a Catone l'Uticense. Prima dell'invenzione della parola suicidio il modo più comune per parlare dell'auto-perdita di vita era quello di indicarlo come un omicidio. Omicidio di sé, commettere omicidio sul proprio corpo, uccider sé stessi. Sir Browne, nel lontano 1642, contribuì a rendere meno esecrabile, rispetto all'omicidio propriamente detto, l'atto dell'uccidersi. Da un punto di vista invece biologico, pare che un buon livello di influenza sul percorso suicida sia da rintracciare in un settore specifico: il sistema serotoninergico. Minore è il livello di serotonina maggiore è la probabilità di ritrovarsi ad essere aggressivi, violenti, suicidi; da tener poi conto  che - pare esser accertato - il 90% di coloro che arrivano ad uccidersi soffrono di malattie mentali. 
Ammazzarsi oltre a non essere socialmente e affettivamente bello è anche questione tortuosa in termini di mera divulgazione. Qualche piccolo esempio. Hume scrisse un libro sul suicidio (per l'appunto intitolato On Suicide) ma ci ripensò poco prima di arrivare a stamparlo e lo diede alla morte, cioè lo distrusse. A ben cercare nel British Museum di Londra ci si può imbattere in un libro anonimo datato 1578, un libro che non condanna il suicidio ma che lo incoraggia. Che dire poi del De morte voluntaria? Un trattato latino del 1735 scritto da un gesuita svedese di nome Johann Robeck. L'uomo, probabilmente tentato dalla pubblicazione optò invece per una gitarella in barca sul fiume Weser, nella Germania nord-occidentale. Qui, in linea con il suo libro, prese la decisione di uccidersi gettandosi in acqua. Scritti suicidi e suicidi messi per iscritto. L'elenco e le modalità nonché le categorie che ruotano attorno al suicidio sono molteplici, per questo se si è interessati al tema rimando al testo da cui ho estrapolato qualche dritta su quanto scritto fino ad ora*. Per il resto, prima di prendere questa decisione si pensi agli altri nonché al gallo. Furono anche le ultime parole di Socrate, il quale rivolto all'amico Critone ebbe a dire: “Siamo debitori di un gallo ad Esculapio”**. Esculapio è il dio della medicina ed essendo la morte vista come guarigione da tutti i mali, un gallo gli è concesso. Povero gallo però. Ora, era necessaria questa introduzione per parlare di Just before I go? No, ma se non posso scrivere quel che mi balza nel cervellino nel mio blog dove altro lo posso scrivere? Sulle pareti dei cessi pubblici? Non mi basterebbe lo spazio di un muro, disegni di cazzi permettendo.
Il protagonista del film è Ted Morgan (Sean William Scott in un insolita veste non demenziale). Un giovane uomo - e dico giovane solo perché potrebbe avere la mia giovane età - che ha visto gli anni passare nella sicurezza di una vita mediocre. Ci ha provato ad essere felice, nonostante i consueti ostacoli, ma alla fine il fallimento ha avuto il sopravvento. Non ha funzionato neppure l'aver incontrato una ragazza, una ragazza che era tutto ciò che lui non era. Nel senso di quella cosa per la quale è bello stare in due nel mondo, il completarsi a vicenda e bla bla bla. Ma si sa che l'amore ha una mera funzione evoluzionistica atta successivamente all'equilibrio delle abitudini e del “meglio che guardare la tv da soli”. Cosa rimane quindi se non decidere di farla finita, di fermare l'agonia? Suicidarsi. Ma prima di farlo il giovane Ted pensa bene di regolare i conti in sospeso con chi ha contribuito a rendere la sua vita una merda. Affrontare i predatori. E da qui il ritorno al vecchio paesello, per rincontrare la sua acida insegnante di scuola, per incontrare il bullo che lo tartassava e domandar loro “Perché?”. Ma c'è anche dell'altro e da qui lo sviluppo del film. Credo sia abbastanza facile identificarsi in Ted. Il Ted accusato di essere un individuo bloccato, senza passione, un morto vivente. Dico, io mi ci identifico abbastanza. Non credo di esser mai stato una personcina particolarmente passionale, credo di avere altre modalità di attaccamento. E da qui il fatto che gli altri abbiano altre modalità di distaccamento. Quindi il film potrebbe sì non essere il massimo ma io l'ho visto con una sorta di occhio identificativo ed è per questo che mi è piaciuto. Così come soprattutto mi è piaciuto il volar in modo leggero su tematiche pregnanti. Rendere le cose ridicole è una cosa che funziona bene, aiuta a sostenere l'eventuale peso. Spesso è una cosa che faccio anche io, il rintracciare il comico. Seppur non mi senta purtroppo un comico. L'ultima volta che mi han messo le mani addosso non ho rinunciato certo a qualche battutina propinata lì a d'uopo. Peccato che l'unico pubblico erano il tizio che mi gettava tutto scatenato i suoi pugni in faccia e dei ragazzini di passaggio. Cristo, sovente nelle mie migliori performance non ho un grande pubblico. Per dovere di cronaca, il tizio di cui sopra tra un colpo e l’altro mi ha detto qualcosa come “Prendo un coltello e ti apro la pancia”, al che io ho ribattuto “Be’, così non avrò più problemi di digestione”. Dopo questa battutina lui si è incazzato ulteriormente. I ragazzini che assistevano hanno riso, ma io mi sarei aspettato un applauso. Ma torniamo or ora a parlare di morte.
In Just before I go avvengono cose abbastanza drammatiche e ci sono discussioni tristi su cose che rendono tristi tutti noi. La famiglia, la sessualità, la discriminazione, la violenza, la morte. La morte degli altri e la scelta della morte per sé stessi. Se fosse un film dichiaratamente drammatico, Just before I go sarebbe irrefutabilmente drammatico. La resa di fronte al mondo. A tal proposito, a proposito di cose tristi, mi viene in mente una canzone degli Editors che fa più o meno così: Non voglio più uscire di casa da solo. Non riesco ad affrontare la notte come facevo prima. Prendi la mia mano consumata e rinchiudiamoci insieme. Non metteremo mai, mai piede fuori. Ci rannicchieremo e ci nasconderemo. Mi dispiace così tanto per tutto quello che ci hanno fatto. Mi dispiace così tanto per quello che siamo tutti diventati. Una canzone che potrebbe parlare di zombie ma che io vedo altresì affine al crescere o all'invecchiare. Il bisogno di volersi sentire al sicuro dalle cose negative del fuori. Quelle cose che han preso quasi possesso del tutto, quelle cose che imbruttiscono e che geminano il disinteresse per gli altri, per la vita in generale. Quelli che sopravvivono diventano ciò che contestavano: gli altri. Preso atto che non esiste una casa confortevole dalla quale non uscire più, si lasciano spegnere. Subentra la malinconia, la confusione, il futuro cessa di essere una possibilità in elaborazione e sulla strada del non più possibile, del non più raggiungibile, si accende una luce guida. La luce sulla strada del non ritorno. Il non ancora conscio di Bloch - il filosofo della speranza - diviene, in un attimo saturo di mal di esistere, il non più conquistabile. Non c'è più nulla che io possa fare per rendermi migliore, per far della mia vita una quotidiana sfida. Sono stato sconfitto, mi auto-sconfiggerò. Nel IV secolo a. C., Ippocrate era sicurissimo di aver rintracciato la malinconia in una specifica zona, la milza. Dopo l'arrivo di Cristo, il problema era da localizzare in Santana. Bisogna arrivare alla fine del Seicento per iniziare a pensare che il problema potesse risiedere nel sistema nervoso. Il suicida, spogliato da superstizioni o da teorie sulla natura del mondo, smise di essere considerato un criminale e divenne “vittima della fisiologia cerebrale”*. Ted Morgan non è solamente vittima del suo cervello, è anche il riassunto di condizioni sociali, esistenziali. Come tutti noi. Ci ha provato ad abbracciare la serenità ma non ci è riuscito.
Non starò qui a dire che uccidersi è brutto, dico solo che è abbastanza comprensibile. A sedici anni io non stavo benissimo e posso dire di comprendere certe inclinazioni. Sì, ero un gran fico. Non bevevo neppure ed ero circondato da persone che mi volevano bene ma nonostante questo mi sentivo non bene. Ero arrabbiato con me stesso, turbato con me stesso. Erano gli ormoni? Non saprei. Per dire, per quanto riguarda gli ormoni, nella fase da trentenne mi facevo un sacco di seghe. E non parlo di quelle mentali.... Se si fa attenzione si può ancora notare un piccolo solco nella mia mano. Con questo non voglio asserire che se ti scappa di ammazzarti inizia a masturbarti e vedrai che tutto tornerà a posto. Dico solo che c'è una forma di equilibrio, è in noi come sono in noi le palle degli occhi. A volte è come un filo un filino ammosciato ma è lì e va teso, per far inciampare quella matassa nera di disperazione e arrendevolezza. Il fattore comico è una manina che va usata, dico la manina che aiuta a tendere quel filo. Di questo parla Just before I go. Rendere le cose meno drammatiche e scoprire che forse non lo erano così tanto (e qui mi viene da suggerirti anche la serie Unbreakable Kimmy Schmidt). Or bene, diciamo che Courtney Cox se la cava bene. È bello parlare di suicidio in questo modo. Parlare di una persona che tutti vedono vuota, una persona che quando dice “Io ci tengo a te” risulta poco credibile. Risulta poco credibile solo perché al Io ci tengo a te non accompagna un mega abbraccio o un viso struggente. Problemi di comunicazione. Peccato che a ciò Courtney Cox ci incolli sopra canzoncine là dove sarebbe meglio il silenzio. Una cosa un po' troppo alla friends. E peccato che poi non riesca a concludere il tutto in modo altrettanto dissacrante. Per il film la Cox si è fatta dare delle dritte sia da David Fincher che da Gus Van Sant ma a quanto pare alcuni suggerimenti le sono un pochetto sfuggiti. Ma in fondo, nonostante i difetti, il film mi è piaciuto. E credo che questo si sia capito e di averlo già detto. Cosa ho fatto qui se non scrivere pochissimo del film in questione? Vorrei quindi chiudere in modo dignitoso questa non recensione ma non mi viene nulla e quindi chiudo con Bloch, il filosofo della speranza. Bloch per il quale la speranza trova la sua fame d'essere nel futuro ed è nell'ora, nei grandi attimi, che va oltremodo scaldata. Anche una bella cagata post-pranzo è da considerarsi un attimo ben vissuto, anche una scampagnata dei rettori. E il seguito è tutto un piacevole pomeriggio di leggiadria. E visto che hai già defecato ora puoi fare ben altre cose e il fatto che questo sia possibile è faccenda non da poco. 

* Congedarsi dal mondo di Marzio Barbagli

** Fedone by Platone (117 c -118 a)

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