INSIDE OUT di Pete Docter (2015) Il senso del blu
Un bel po’ di tempo fa ho pensato bene di dividere il mio portatile in due. Appare quasi naturale che un apparecchio scisso in distinti blocchi (tastiera e monitor) possa trovare un esito felice nella separazione. Peccato però che non sia una cosa tanto naturale ed oltretutto, scrivendo (seppur male) su un blog, il fatto di non possedere un computer costituisce un problema. Come si scrive senza computer? Be’, si scrive a mano. Anche se ora non si vede sto scrivendo su di un pezzo di carta. Successivamente penserò a come riportare questo su un supporto non cartaceo quale è l’internet. Perché ho distrutto il mio portatile? Per via di un corto circuito emotivo alimentato dall'alcol. Se cagare sangue e cagarmi addosso non riescono a darmi un segnale abbastanza forte da permettere di evitare il ritrovarmi in certe situazioni, forse l’ostacolarmi il processo di scrittura potrebbe esercitare una presa maggiore. Come se io incapace di decidere di me stesso dessi via libera ad un me stesso più sbrigativo. Che nome dare a questa isola emotiva? Come chiamare questo omino nel cervello? Credo possa starci bene un nome tipo ambivalenza emotiva o, come direbbe Freud, quel “fenomeno fondamentale della nostra vita emotiva, dovuto al contrasto tra due pulsioni antagoniste”*. Un moto con sviluppo edipico, un difetto primordiale causato dall'incapacità di unire l’istinto sessuale e quello distruttivo. Un difetto di fabbricazione che vede il dado Eros incapace di stringersi come si deve al filetto della vite Thanatos. Ma niente paura, ne siamo quasi tutti affetti. Per arrivare al patologico bisogna passare per ben altre malmostose strade. Ad ogni modo definire le emozioni è faccenda ancora in discussione, in piena discussione. Forse il modo più condivisibile di parlarne è pensarle come “funzioni biologiche del sistema nervoso”** giacché uno stato psicologico cosa può essere se non una funzione cerebrale? E dico questo non tanto perché sono scettico nei riguardi della materia psicologica ma perché è quanto mai semplice evincere che il sapore di una mela arrivi dopo averla addentata. E sì, vi sono le dovute sfumature ma tant'è. Per dire, più che al controllo degli sfinteri mi viene da porre maggior credito al percorso sensoriale ed emotivo che passa dal talamo per arrivare alla corteccia cerebrale nonché all'ipotalamo e da qui ai miei muscoli e alle mie mani che spaccano in due un MacBook. L’argomento, ne converrai, è altamente affascinante.
Il rintracciare la sala comandi delle nostre emozioni base; una centralina scavata nel nocciolo di pochi grammi di tessuto cerebrale. Con le dovute precauzioni, attuando una visione dall'alto, si può oggi sostenere che le emozioni si sviluppano in un’area che tocca la regione grigio periacqueduttale, l’ipotalamo e il talamo mediale. Vale a dire nel cuore del cervello. Un cuore (antiche regioni sottocorticali) ove per magia è stato possibile identificare al momento*** sette sistemi emotivi di base: attesa, paura, rabbia, desiderio, accadimento, tristezza e gioia. Sistemi che se stimolati generano sentimenti emotivi forti, pensieri e ricordi. Ed è qui, a seguito di questa mia prolissa e non richiesta parentesi iniziale che si trova il modo davvero migliore per raccontare un qualcosa di così complesso come il sistema delle emozioni. Non c’è bisogno di argomentare di cose come le cellule piramidali dell’ippocampo per ammirare con stupore la mente umana. È stato sufficiente sedersi sulla poltrona del cinema. Perché? Be’, perché Inside Out è una vera e propria opera d’arte cinematografica. Opera in grado di condensare con poco il molto. Opera capace di addentrasi e risvegliare il sopito senso di meraviglia e bellezza, un senso fin troppo stordito dalla quotidiana bruttezza e stupidità. Veniamo al sodo. Per quanto se ne possa scrivere su questo film (ci sarebbe da scrivere moltissimo) il modo migliore per descriverlo è condensarlo in una cornice il cui titolo potrebbe essere Il più bel film dell’anno. Non fosse che poi è arrivato il rombo di Mad Max: Fury Road e si è preso tutto, si è preso meritatamente tutto. Inside Out è allora il secondo miglior film dell’anno?
Sul momento ti arriva addosso in modo dirompente e questo vuol dire che ridi, mastichi popcorn, sorseggi dalla cannuccia, peti e scruti le immagini nei dettagli e noti come quel pastello è così azzeccato con l’imprendibilità dei concetti e pensi che è tutto esteticamente geniale. Solo che con quel susseguirsi di invenzioni non hai molto il tempo di cogliere tutto. Sei lì che ti diverti ed intanto scorrono innanzi a te strutture universi quali la crescita, gli affetti, il sogno, la perdita, l’immaginazione, la memoria, il subconscio, l’astrattezza. Davanti a te ballonzolano interi universi esistenziali, condensati in immagini, decostruiti in idee. Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto diventano in Inside Out il riassunto perfetto di ciò che ci rende quel che siamo. Nel bene e soprattutto nel sottovalutato male. Ed è un sunto che vive di svago. Nel senso che se questo non fosse un film di animazione sarebbe - paradossalmente - più facile addentrarsi in modo astratto nelle emozioni. Nel senso che l’argomento verrebbe affrontato con maggior serietà. Il mito del carro platonico, la soggettività kantiana, l’esserci, le paure, le sovrastrutture, le difese. Quanti volumi scritti nel tentativo di riassumere in modo meno imperfetto l’imperfezione umana nonché l’orrore insito nell'umano essere. Si spendono imprecisate quantità di inchiostro, si sradicano alberi, si erigono neo mitologie e miti per parlare di un qualcosa che ci appartiene alla radice, nel nocciolo. Spendiamo soldi per sentirci raccontare in modo sgrammaticato e rozzo da personaggi furbetti e insulsi. Spediamo mail a figure televisive e raccontiamo loro gli affari nostri, raccontiamo loro le nostre fobie e le nostre patologie. E ci aspettiamo che sappiano raccontarci. Ci aspettiamo che sappiano spiegarci perché stiamo così male o perché non ci sentiamo appartenere alla specie umana. E loro si arricchiscono delle nostre esistenze. Comprano case, fanno famiglia e completano il loro esistere grazie a noi, augurandoci poi il Buongiorno. Mando mail alla rivista ove scrivi perché tu mi sembri una persona sensibile, sei uno che ha sofferto e allora mi pare giusto rivolgermi a te. Solo che le tue parole vivono di me, tu acquisti me ed io da te non ricevo nulla neanche a livello di dono. Questo siamo. Le nostre emozioni hanno assunto uno status spettacolare. Vi è pur sempre un ricavo alla base. Il nostro io pare ormai dedito allo spettacolo, alla messa in scena. Al selfie, ossia al limite dello spettacolo per noi stessi. Siamo atrofizzati nel profondo. Acquistiamo le caramelline con i minions e le caramelline ci dicono Guarda Il Film. Guarda Il Film. Guarda Il Film. Guarda Il Film. Pensare non è cosa che ci appartiene più. Il pensare arriva dopo il pensato degli altri.
E or bene nonché or dunque ecco manifestarsi con Inside Out un sano e conclamato invito al pensare. Un invito che senza troppe cerimonie si addentra direttamente nel nostro pensare. E nel contesto apparentemente ludico eccoci riassunti. Riassunti all'interno di un percorso che (no spoiler) esplode in un meraviglioso palcoscenico ove totalmente indifesi possiamo esercitare il nostro diritto a stare male. E se già Inside Out non fosse un film notevole - probabilmente il migliore della Pixar - arriva poi quel suo appoggiarci una mano in un abbraccio. Un abbraccio che è innanzitutto consapevolezza di noi e consapevolezza di ciò che dobbiamo lasciare andare. Nonché un invito ad accettare le sfumature. E come ci dice tutto questo? Divertendo. Inside Out si fa colorato, esagitato, stupido, si fa astratto e profondo. Condensa al suo interno litri di inchiostro e tomi sulle evoluzioni e i voli delle emozioni umane. E, come detto, molto si potrebbe scrivere su questo film ma sarebbe solo un ribadire un concetto. Il modo più corretto di scrivere di Inside Out è guardare Inside Out. E certo avrei potuto lasciar parlare le mie varie emozioni per rendere in modo simpatico e accattivante il senso del film. Gioia avrebbe gioito del film, Rabbia si sarebbe arrabbiato con chi il film lo avesse snobato, Paura si sarebbe spaventata di un mio scrivere del film, Disgusto mi avrebbe lasciato perdere e Tristezza… Tristezza non avrebbe detto niente. Ed è nel dir poco che vorrei concentrare il molto del film. Per lasciare allo spettatore il piacere dello scoprire e del riflettere. Senza però mancare di evidenziare ulteriormente la meraviglia insita in Inside Out. Lasciando allo spettatore il senso del blu delle nostre esistenze. Quel Kind of Blue che appartiene a noi tutti, per quanto specie deplorevole e sciatta. Il glaciale blu dei ricordi più profondi, quelli che ci hanno reso persone. Ricordi da conservare in un cassetto senza più isole. Inside Out è l’abbandono ed è la crescita. È il riconoscere la distanza che ti separa da casa e quella che ti distanzia dall'illusione del migliore dei mondi possibili. Esagero? Forse sì, ma è colpa delle birre che mi sto bevendo. E colpa di Rabbia e di Tristezza che premono al limite la mia console.
*Introduzione alla psicologia delle emozioni
by D’Urso & Trentin
**Il cervello emotivo by Joseph Ledoux
***Archeologia della mente by Panksepp & Biven
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