IL RITORNO di Andrei Zvyagintsev (2003) Quando mio padre ha avuto un orgasmo
I padri sono una faccenda complicata. Con la madre si ha da subito un approccio corporeo direi incestuoso. Necessariamente fisico. In genere usciamo dalla vagina. E devi poi succhiare il capezzolo di tua madre. La fisicità nel rapporto materno garantisce la nostra sopravvivenza. La madre - di norma - è il nostro primo partner (tecnicamente si dice: partner di diadi). Il padre non ha questo vantaggio, anzi, parte proprio in svantaggio. Il padre non fa nulla se non venire, il resto, per nove mesi lo fa la madre. Credo ci si senta strani quando si vede la propria compagna dolorante per il parto imminente. Ci si sente responsabili e impotenti. Ho goduto per un attimo ed ora ecco il risultato di un orgasmo. Ci si sente inutili e forse ci si aspetta che da un momento all'altro la nostra amata fanciulla ci maledica. I padri hanno la strada in salita perché prima ce l'hanno avuta in discesa. Sovente capita poi che i padri vogliano continuare ad avere la strada in discesa pur tuttavia pretendendo (a volte riuscendoci) un ruolo di leadership on the road. Il “ritorno” del titolo del film di Zvyagintsev (come si pronuncia?) è quello di un padre, dopo dodici anni di assenza. Se l'impatto con la compagna è perlopiù indifferente, quello con i due figli adolescenti (Andrej e Ivan) è oltremodo più delicato. Come reagire se dopo anni tuo padre si ripresenta a casa? Hey, bambini. Papà è tornato! Un padre che non è neanche particolarmente caloroso. Un uomo ruvido, silenzioso, decisamente arcigno che forse per sensi di colpa o forse per interessi personali propone ai due una gita con pesca annessa. L'entusiasmo (pacato e guardingo) dei fratelli non tarderà a smorzarsi.
Opera prima, vincitrice a Venezia 2003 di due premi tra cui il Leone d'Oro, il film di questo ben donde ottimo regista russo (i suoi film successivi non li ho ancora visti e quindi il mio “ottimo” è forse esagerato ma vabbè) è fitto al pari delle acque quiete e gelide che accompagnano i protagonisti. Pur volendo respingere con una certa irritante altezzosità ogni forma di simbolismo, Zvyagintsev ci presenta immediatamente il padre dei due ragazzi in forma simbolica: ilCristo morto di Andrea Mantegna; un super classico dei nostri tempi. Non parlatemi di simboli ma intanto io ci infilo un simbolo. Per il resto Zvyagintsev sostiene che i significati profondi del film spetta al pubblico trovarli. “Ho giurato che non avrei parlato di cosa vedo nel mio film”, sbotta Zvyagintsev ed io penso “Ma che palle! E dicci qualcosina”. Or dunque sfuggendo da simbolismi e metafore che tanto annoiano Zvyagintsev, si può effettivamente leggere il film per quello che è: la sconfitta della paternità. Il fallimento dei padri. Il fallimento di una figura assente. Il dover arrangiarsi. Non si può neanche parlare di una carenza di comunicazione, i due ragazzi fan quanto loro possibile per riuscire a comunicare col padre e lui esercita la sua autorità con il silenzio o con la punizione ma anche con un insegnar loro a fare da soli. Devi cospargere la tua barca di catrame affinché resti a galla. Questa immagine secondo me è rilevante nella comprensione della pellicola.
Un interscambio ad ogni modo c'è. Nel senso che pur nel suo essere ruvido il padre riesce ad essere padre. Quindi? Be’, hai presente la tela di Paolo Veronese dal titolo Iseppo da Porto col figlio Adriano? “Veramente no. Perché?” Ecco, quella è una figura icastica nell'inquadrare una paternità. Icastica? Sì, è incisiva sia perché non toglie al padre la sua austerità - da leadership - sia perché racconta con egual misura l'affettività del genitore e il senso di protezione vissuto dal figlio. Nella mano senza guanto di Iseppo c'è l'asserzione paterna, nel doppio gesto del figlio Adriano vi è un esser al sicuro e un esser coccolato. Delizioso direi. Delizie paterne che a volte vanno a farsi benedire. Si veda il padre di Stephen King, il padre di Paul Auster, il padre di Frank McCourt oppure Tim e Jeff Buckley. Esorcizzare una mancanza con la propria arte. Jeff Buckley che canta I Never Asked To Be Your Mountain proprio ad una commemorazione per il padre tra l'altro, in una chiesa di Brooklyn. Che c'entra Jeff Buckley ora? Be’, ancora il Cristo di Mantegna. Il Cristo abbandonato da suo padre. Dio ha una fissa con i padri, basti pensare ad Isacco. Meglio però non mantenere i simbolismi dati da Mantegna (mantenere Mantegna) e tener fede al regista. Credenti o meno anche Gesù è stato oggetto di suo padre. E qui simbolismi a iosa ma anche un mio, consueto, scrivere a vanvera.
Il Ritorno mi è piaciuto parecchio. Capisci che un film ti piace perché continui a pensarci anche dopo averlo visto ed è soprattutto in quel dopo, a freddo, che comprendi che ti è piaciuto. Che mi è piaciuto. Ti frullano in testa una serie di immagini. Soprattutto quell'acqua, quasi nera, e la luce dei due protagonisti. Tenaci nel dare una possibilità ad un padre alieno, nel cercare di rintracciare il pesce sul fondale. Regia ineccepibile e attori all'altezza. In particolare ovviamente i due giovani attori. Vladimir Garin, il fratello maggiore e Ivan Dobronravov, il fratello minore. Sono loro il cuore di questa pellicola. E non si può non ricordare soprattutto Vladimir Garin e il suo tragico destino, proprio nelle acque dove è stato girato il film. Commovente e dovuta la dedica a lui durante la consegna del Leone d'Oro. Detto questo, niente, mi allontano e mi dirigo altrove. Per vedere la tela di Veronese (Iseppo da Porto col figlio Adriano) e anche quella di Caravaggio (Sacrificio di Isacco) basta fare un salto agli Uffizi. Per avere altre forme d'arte relative al rapporto padri e figli basta procurarsi questo riuscito e gelido esordio di Andrei Zvyagintsev.
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