HELL OR HIGH WATER di David Mackenzie (2016) Il film dove la trota chiedila a tua sorella
È un film di uomini. Uomini solidi come rocce, uomini con jeans, camicia e stivali con quella punta perfetta per arpionare il cappello. Uomini da bottiglia di birra in mano, seduti sul portico a godersi la brezza, ora che è calata. Uomini che si squadrano tra di loro e che Goddamn, sanno che quel tipo strano lì, quello appena entrato nella loro fottuta proprietà, è un tipo che si trova dalla parte sbagliata di una corda corta. È un film di gente per bene che gira armata, di città circondate dal deserto, di lunghe strade, piccole botteghe e tavole calde ove addentare la tua bella bistecca al sangue. E sia chiaro, solo bistecche e patate al forno qui. Certo, c’è stato uno stronzo di New York che ci ha provato ad ordinare qualcosa di diverso ma gli è andata male. Solo Dio sa quanto gli è andata male. È un film di uomini divisi dalla paglia che hanno in bocca e dalla gittata del tabacco sputato. È un film ove vi sono regole non scritte, dove sì, conta la legge ma contano di più quelle maledette regole non scritte. E in quelle norme il senso della giustizia è forte. Certo, è il 2016 ma nel fottuto Texas occidentale siamo ancora nel vecchio west, e non si vende nessuna dannata trota. Hell or High Water è questo, o meglio, è anche questo: un solido western contemporaneo. Ci sono i due fratelli, c’era la loro vecchia madre malata e oppressa dalle banche, c’è la terra ed il ranch, ci sono gli indiani un po’ messicani, ci sono i figli che non devono seguire l’esempio dei padri e c’è il classico dei classici: il vecchio sceriffo (un ranger) stanco e burbero che sta per andare in pensione. Gli manca l’ultima grana da risolvere e poi via verso il crinale dell’hobbistica. L’ultimo caso sembra facile facile: piccoli rapinatori di banche. Ma qui la situazione si complica.
È un film che rispetta tutti i canoni del genere e che per questo potrebbe apparire assai convenzionale e freddo come l’obitorio. Ma in realtà lo scozzese David Mackenzie si fa una gita in America e ne ricava una pellicola tesa – pur nella quiete – e a suo modo divertente. Dico, non è che ti sganasci dalle risate tuttavia aleggia quell’humour bizzarro alla fratelli Coen. E Mackenzie deve amare parecchio i Coen. Ma non li scimmiotta, trova una sua direzione (che è certamente più sensata della mia) e dà vita ad un intrigante délavé. Eh, non ho mai adottato cotale espressione e quindi ce l’ho messa qui un po’ a caso. Ti piace? No? Pazienza. Eccoci allora a seguire le spericolate vicende criminali di due fratelli, il sofferente Toby (Chris Pine, vale a dire il nuovo capitano Kirk, che qui come attore è sorprendente) e lo scapestrato Tanner (Ben Foster, bravo pure lui). Rapinano banche ma non lo fanno perché sono dei pazzi fuorilegge che si divertono a seminar tempesta. Non lo fanno neanche per finanziarsi l’estate sognando di cavalcare le onde col proprio surf. Lo fanno per pagare i debiti con la banca che li ha messi in ginocchio. Quale miglior modo per saldare il conto se non rapinando la stessa filiale che ti sta col fiato sul collo? Un po’ come in Fight Club, vendere il sapone fatto col grasso delle persone che quello stesso sapone poi te lo comprano, a caro prezzo. Un concetto di giustizia forse opinabile ma a ben pensarci neanche tanto. Ed infatti il simpatico spettatore si ritrova alla fin fine a fare il tifo per la nobile causa dei fratelli. E quasi ti stanno un po’ sulle palle gli organi di polizia che li tallonano. Come viene più volte palesato dal film (sia attraverso i dialoghi che con le immagini), i veri criminali sono le banche. Ma la legge è la legge ed ecco il vecchio ranger stanco, interpretato da un Jeff Bridges bolso e catorzoluto (catorzo cosa?!) che ogni volta che lo vedo mi chiedo come diavolo faccia ad avere tutti quei capelli in testa manco fosse un ventenne. Un vecchio ranger al quale fa seguito il buon collega Alberto (Gil Birmingham). Ma un texas ranger nativo americano può chiamarsi Alberto? Se è anche un po’ messicano forse sì. Alberto sia.
Dietro al film, oltre al regista, c’è la penna di Taylor Sheridan, colui che ha scritto Sicario (tesissimo film che io avevo amato con partecipazione e compostezza). In sottofondo invece, ad accompagnare i numerosi brani da veri cowboy (a dispetto dell’autoradio che può tirarti un tiro mancino nel momento topico) ci sono le composizioni di Nick Cave e del collega Warren Ellis. Tra l’altro, le note al piano che aprono la pellicola a me hanno ricordato assai il tema di Westworld e or dunque siamo a cavallo. A cavallo di un film che forse alla casalinga di Treviso non potrà interessare mentre potrebbe piacere al bracciante lucano e al pastore abruzzese. Anche se vorrei dire alla cara casalinga che forse una possibilità a codesto Hell or High Water dovrebbe dargliela. Sì, ci sono uomini duri che sfrecciano sui loro pick-up ma c’è anche una regia che ti raccomando (notevole il modo in cui la macchina da presa osserva i due fratelli) e una vicenda intavolata con senno. E sappi poi che il film è nella lista per Miglior Film ai Golden Globes 2017. Cioè, mica pizza e fichi. Hell or High Water, prodotto da Netflix, e presentato a Cannes in quella amabile sezione chiamata Un Certain Regard (da dire sollevando il mento, guardando altrove e facendo distrattamente cadere un po’ di cenere dalla sigaretta e liberando in ultimo un annoiato “Ops!”), è buon cinema, anzi, ottimo cinema per la miseria. Dialoghi scritti benissimo, personaggi che lasciano il segno; anche quelli minori tipo una giovane cameriera e un’altra meno giovane cameriera. Film dosato, che se la prende comoda ma non troppo, rimane legato ad un genere pur se in forma trapiantata giacché questo western racconta con sofferta convinzione l'epoca attuale ed i suoi tormenti, il suo tirar a campare. E c'è rabbia, molta. Quel tipo di rabbia che ti fa vendere cara la pelle. Film che è una stoccata molto sentita al moderno e affamato mondo finanziario con in aggiunta un certo sarcasmo indirizzato all’eccesso di cattolicesimo. E su tutto questo, tra cowboy, ranger, cassiere, Gesù, deserto e città, incombe come un coperchio una abnorme e decadente coperta. Decisamente meno protettiva rispetto a quella che ad un certo punto indossa Jeff Bridges. Come a dire che se il vecchio west ormai sta morendo (lo sanno bene i bovari), di certo si porterà con sé qualche cadavere e allo stesso tempo lascerà quella coperta più calda alle generazioni successive. Il messaggio di fondo è chiaro e, di ‘sti tempi, è un importante e condivisibile messaggio.
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