GOD BLESS AMERICA di Bobcat Goldthwait (2011) Lo Zeduniverso, ossia Barbara e Maria il mondo più bello che ci sia

Frank conduce una vita oltremodo poco edificante, persino il suo numero civico (5773½) è sintomatico di un'esistenza vuota. Un vuoto del quale non è direttamente responsabile. Lui è un individuo arguto, intelligente. Ma tutto questo gli serve a poco nel mondo fagocitato dalla società dello spettacolo. Gente che si appassiona nel vedere i deboli umiliati, derisi, gettati nel calderone della notorietà a tutti i costi. Una società idiota, violenta, religiosa, razzista e omofoba. Senza via di uscita. Ogni giorno la materia grigia viene colorata dalla più totale idiozia. Frank è spacciato. Non solo è costretto a subire dai vicini di casa e dai colleghi di lavoro ma anche dalla sua famiglia e perfino dalla sua piccola e viziata figlia che si rifiuta di vederlo (Frank è divorziato) a meno che lui non abbia un I-Phone da regalarle. Stanco da tutto ciò, un bel dì Frank decide di agire. Tanto ormai non ha più nulla da perdere. In questo suo disperato moto morale Frank si imbatte in una ragazzina, Roxy. All'inizio rimane un pochetto perplesso ma poi si rende conto che Roxy è come Frank e Frank è come Roxy: entrambi sono stanchi. Sfiancati dai liquami di stupidità che intasa il loro vivere. Per chi non lo sapesse, Bobcat Goldthwait (il regista di God Bless America) è lo strampalato poliziotto Zed visto nella serie di film Scuola di polizia e Zed è anche il luogo extradimensionale del quale si parla nel numero 84 di Dylan Dog (settembre 1993). Ecco quindi che per semplificare farò riferimento allo Zeduniverso per indicare (col dito o con il gomito) lo strano mondo ultradimensionale che è l'insieme di televisione frammisto in modo molliccio al socio-culturale. Il nostro mondo! L'Italia... Uno!! Non ci sarebbe neanche bisogno, per capirci, di citare Maria De Filippi o Barbara D'Urso e il loro essere meravigliosi paradigmi dello Zeduniverso. Ossia promotrici di una società televisiva dell'evasione e dell'invasione, del melenso e del pathos nonché del peto. Creature televisive che intaccano anche il mondo oltre la televisione e che quindi costituiscono quel complesso culturale che è, per l'appunto, lo Zeduniverso. Cotale struttura mi si palesa quando vedo la De Filippi intervistata; una signora composta e di certo non stupida. Un piglio a modo che rende elegante l'intervista in toto. Ma il punto, distolto lo sguardo dal gentil colloquio, è che la De Filippi fa programmi di merda. E li fa tenendosi lei stessa a distanza, scrutando le sue creature seduta su dei gradini col microfono (il gelato) poggiato tra le mani a coppa. Almeno la D'Urso nel suo trash ci si butta con tutte le scarpe col tacco, pubblica addirittura libri. Tuttavia, l'atteggiamento distanziato della De Filippi è forse una traccia, o per meglio dire è la ritrazione come metodologia e prassi.
"Riapritemi quando Aldo Magro ha finito di sparare cazzate"
Per capirci, io guardo alla tv una tettona (slang) su un divano che fa di tutto per accalappiare l'uomo che pensa in glande. Belle carrozzerie che si bramano. Guardando questo simpatico siparietto io non mi sento stupido. Se mi sentissi stupido non guarderei quel programma a meno di essere così stupido da non sentirmi stupido. In linea di massima io so di avere un (per quanto piccolo) cervello e guardo questo programma pur sempre con un atteggiamento critico, mi distanzio. Anche il mio criticare la scelta di Gemma e di Flavio o di Ramona e Jesus fa parte di un atteggiamento critico. Rimango cioè al di fuori (ritrazione) di quel che sto guardando, indipendentemente dal livello di estraniamento. Questo insieme di fuori (spettatore) e di dentro (televisione) è lo Zeduniverso. Non il reale vero e proprio ma neanche il televisivo vero e proprio. Una nuova forma di reale (spettatore distante) e una nuova forma di irreale-reale (la televisione vicina). Non ho capito nulla di quello che ho appena scritto ma è in in questo bislacco universo diacronico che si muovono i protagonisti di God Bless America. Roxy e Frank sono individui che pur nell'illusione dello stare all'esterno sono comunque stati mediatizzati. Hanno subìto la contaminazione della tv e ogni loro azione scivola nel mondo dello spettacolo. L'idea di apparire in televisione non li dispiace, in fin dei conti. Non è il loro obiettivo primario, ma se succede ben venga. La seduzione del media è lì all'angolo.
Così come intuito sia dal mio ex docente di Filosofia Teoretica sia dalla serie tv Black Mirror e sia da alcuni episodi di Pollon, vi è una certa linea di incontro tra le dinamiche artistiche e quelle televisive-spettacolari. Una qualche implicazione. L'arte novecentesca e lo spettacolo sono un accadere che sovrasta l'interrogazione ontologica sul senso. Il “Cosa vuol dire?”, il “Cosa è?” sono domande inutili. Indicano e fanno ritrarre ciò che vogliono acchiappare: il senso. Come avvicinarsi a toccare le antenne di una chiocciola, se ti avvicini lei si rintana. Per acchiappare devi acchiappare all'interno dello Zeduniverso, con le regole dello Zeduniverso. Il miglior modo per scrivere una critica di un insulso programma tv è parteciparvi come concorrente (vedi l'episodio 15 milioni di celebrità dalla prima stagione di, per l'appunto, Black Mirror) e, dopo aver ricamato la tela della tele alzarsi dal divanetto, mandare a 'fanculo Ramona o Mariliano e iniziare a lanciare scaglie di merda su tutti. Come una scimmia impazzita. Questo in linea con quanto scritto - ad esempio - dal filosofo Nancy: “Non c'è società senza spettacolo, poiché la società è lo spettacolo di se stessa” [capitolo 10 di Essere singolare plurale]. Il mio apparire è sempre un apparire-con-gli-altri. Lo Zeduniverso non solo rispetta questa norma ontologica ma la calza e la incalza con ferocia e ne svela probabilmente la più calzante sostanza: siamo degli idioti. E ci meritiamo la televisione, ci auto-meritiamo chi dice “assolutamente sì” o “assolutamente no”, chi lavora “H 24”, chi abusa della parola “letteralmente”, la gente che batte il cinque, gli sportivi, gli innamorati, chi rumoreggia al cinema, chi si alza un millisecondo dopo che sono iniziati a scorrere i titoli di coda di un film, costringendomi a guardar loro e a perdermi i titoli di coda, ci meritiamo le code. Ci meritiamo questo e ci auto-meritiamo.

Frank e Roxy sono figli del post-senso e agiscono in conformità, sono una performance all'interno dello spettacolo dello Zeduniverso. Frank e Roxy si muovono abbastanza liberamente nello Zeduniverso, con una libertà che direi rasenta l'incoscienza. Ma in linea con il loro essere una performance la loro visibilità lì rende invisibili, se invece dovessero nascondersi sarebbero ben donde più visibili nella loro lotta alla mediocrità. Ma, a parte queste mie improbabili derive, il film di Goldthwait mi è piaciuto. Joel Murray (fratello di Bill “Fucking” Murray) è oltremodo ottimo, sia nel suo essere vittima frustrata che nel suo essere spettatore che non si arrende e, per ragioni di certo astruse, in alcune scene il suo volto mi è parso un simpatico morphing tra Paul McCartney e Bruce Willis. Tara Lynne Barr è, per quanto mi riguarda, la rivelazione del film e tra l'altro mi ricorda un po' Anna Faris. Loro due insieme - Frank e Roxy - hanno poco da invidiare ai protagonisti di Schegge di Follia e più recentemente a quelli di Super. Anche se Super aveva un taglio più riuscito, secondo me. God Bless America nella parte centrale perde un po', forse eccedendo troppo (un PO' eccedendo TROPPO). Non ha una sua linearità, in certi passaggi mi sembra claudicante. Ma sono pecche accettabili perché nell'insieme il film dice bene quel che gli preme dire e giacché quel che racconta lo viviamo quotidianamente mi par un più che meritato prestare orecchio. Fine. Ciao.  

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