GIOVANI SI DIVENTA di Noah Baumbach (2014) Sui giovani d'oggi ci scatarro su

Psicologicamente mi sono sempre considerato un po’ vecchio, anche quando ero giovane. Sono stato un giovane da vecchio e da vecchio mi sono considerato ancora giovane sino a pochi anni fa. Adesso credo proprio di essere un vecchio-vecchio. Quanto appena scritto non l’ho scritto io ma Norberto Bobbio nel suo De senectute. Ho sempre nutrito una certa simpatia per Bobbio, sia per quel cognome con ben tre B sia per la sua ricambiata simpatia per i cileni e sia perché sapeva scrivere in modo se non altro comprensibile. Cito ora Bobbio non ad cazzum o forse sì. Certo avrei potuto citare – che so - Enrico Brignano, ma non oso giacché il suo agghiacciante umorismo non è materia che si presti a citazioni né men che mai ad eccitazioni di sorta. E dicendo così rischio di cadere nell'elevato livello delle sue allusioni ed eruzioni. Piuttosto che guardarmi un intervento di Brignano o una puntata di Tu si que vales (una delle cose più oscene mai apparse in tv) o un collegamento video con Fabio Volo a Che cazzo di tempo che fa, molto più sano è spararsi un film. Cosa può esserci di peggio di una violenta apparizione di uno di questi fenomeni di flatulenza televisiva? Credo nulla. Manco io che completamente sbronzo cago e mi dimentico poi di tirare l’acqua e la mattina dopo vengo svegliato da chi ha trovato Mr. Brown e giustamente mi invita a morire. Or bene il cinema e Giovani si diventa. Come sono approdato a codesta pellicola? Prendendola molto alla larga dico che mettendomi alla ricerca di un film, diciamo, di evasione ho fatto un primo pomeridiano tentativo con Tutto può accadere a Broadway. Avevo letto buone, se non ottime recensioni e quindi mi ci son buttato con fiducia. Non è andata bene. Con tutto il rispetto per Peter Bogdanovich, dopo la visione del suo film e dei capelli di Owen Wilson quasi quasi sono stato tentato di farmi venire un attacco di emorroidi gettandomi a capofitto all'interno di Brignano stesso.
Lasciando perdere Broadway ho quindi scelto questo nuovo film di Noah Baumbach. Ho letto pareri altalenanti ma di certo non mi fido così ciecamente del parere di altrui fruitori per lasciar perdere e decido quindi di provare, manco dovessi spararmi una dose di coca. Alla fine, devo dire che non sono rimasto per niente deluso. Sì, ci sono un sacco di film sulla crisi dei quarantenni – io stesso mi faccio film in testa a riguardo – ma questo di Baumbach (in tedesco il suo nome di può leggere Ruscello dell'Albero) non sento di doverlo definire una debole commedia, specialmente in virtù dei suoi lavori precedenti. Okay, Frances Ha (anche se non mi ha fatto propriamente gridare al miracolo) era un ottimo film ma paragonare le due pellicole per far notare la debolezza di questo Giovani si diventa  mi pare eccessivamente superficiale. Il mio testicolo sinistro è più piccolo di quello destro e sono entrambi testicoli, ma non vado a paragonarli. Sono due cose diverse, nel senso che si muovono su un diametro differente. Vivono di altri peli, vivono in due mondi distinti, riassunti poi in un Tutto hegeliano. Ma a parte le mie palle, sento vivamente di poter blaterare che nell'evidenziare i difetti di Giovani si diventa (titolo italiano abbastanza di merda) premendo sul confronto si cade in una ristretta sacca scrotale. Facendo così si rischia di congedare nel mondo dei “filmetti” una pellicola che in realtà racchiude molta più sostanza; si rischia di apparire più radical-chic di un film che si vuol riassumere dandogli del radical-chic. Ma poi cosa significa esattamente radical? Non si pensi comunque che io sia un fan accanito di Baumbach. Non gli lancio il mio reggiseno e or bene, lungi da me al momento il pensare che i film di Noah Baumbach – uno che potrebbe avere un tatuaggio di Woody Allen sul polpaccio – costituiscano un unico “kolossal dell'introspezione che finalmente riesce a declinare il concetto di postmoderno in chiave riflessiva” e al contempo lungi da me credere che stia succedendo qualcosa di particolare alle generazioni di trentenni e quarantenni. Da una parte chi se ne frega e dall'altra guardo al mio caso: uno che sta viaggiando verso i quaranta. Non mi sta succedendo niente di particolare e osservandomi attorno non vedo nulla in movimento. Penso di vedere quello che vedevano i ragazzi della mia età negli anni Ottanta e Novanta. Non sta succedendo un pene. La questione dell’essere problematici e riflessivi non mi pare questo grande evento epocale. È sempre successo. L’unica differenza è che ora c’è un nome al quale aggrapparsi, hipster. 
Sì, hipster, vale a dire che non posso andare in bicicletta o farmi crescere la barba o indossare camicie perché se no poi sembro hipster. Cristo santo. A parte il fatto che a me i ciclisti mi stanno sul pene senza nessun motivo in particolare, non mi dispiace l’idea di muovermi in bicicletta. Solo che se ti muovi in bicicletta nel tuo paesello di 316 abitanti non ti si caga nessuno, se lo fai in una grande città, sgusciando come un serpente tra le auto ecco che d’improvviso sembri un hipster. Peggio ancora se decidi di andare in bicicletta indossando una giacca. Ad ogni modo sto cagando fuori. Giovani si diventa, Norberto Bobbio e la senectute. E cioè alla fine il film mi è piaciuto. Giovani si diventa parte in un modo, l’ennesima commedia sui vecchi che iniziano a prender atto della cosa del diventare grandi. Sembra in effetti una commedia alla Judd Apatow con tanto di scorie corporali buttate lì. Poi d’improvviso si cambia di livello o di prospettiva, (segue SPOILER) il film inizia a parlare di creatività e del modo di procacciarla. Le nuove generazioni inseguono il proprio ego correggendo e scoreggiando un pochetto sulla verità dei fatti; le vecchie generazioni invece vorrebbero navigare fino alla noia la verità dei fatti. Senza rettificare, senza cancellare niente. Il documentario che sta realizzando il personaggio di Ben Stiller sta via via assumendo la forma dell'eterno work in progress, come il manoscritto del protagonista di Wonder Boys di Michael Chabon. 
Il non riuscire ad accorciare, il voler metter tutto dentro, l’incapacità di cancellare è or bene non dissimile dal desiderio di sentirsi ancora giovani. In ambito artistico nonché esistenziale l’ordine dei fattori viene invertito. I giovani vogliono fare i vecchi e i vecchi vogliono fare i giovani. La frondosità giovanile, il superfluo del Cicerone in erba è stato trasfuso all'uomo adulto e la maturità insita nella sensibilità stilistica è stata invece eredita dal giovane. Il senso di equilibrio e di misura (o come dice mio nonno, il felice matrimonio di decorum egravitas) ha abbandonato i vecchi e si è trasferito nei giovani. Josh Schrebnick - il personaggio interpretato da Ben Stiller - pare quindi destinato ad auto-annegarsi nella più tipica esuberanza dell’asianesimo. Cosa è l’asianesimo o la leziosità degli oratori dell’Asia Minore? Al momento non importa. Quello che voglio dire lo dice probabilmente meglio il simpatico Manlio Sgalambro quando nel Trattato dell’età scrive (non parlando del film di Baumbach) che “Il nuovo vecchio è la figura della modernità. (…) la nascita del vecchio, l’ultima figura che, a livello mondiale, sta entrando nella storia, là dove sta per uscirne con la coda fra le gambe il suo antagonista”. Un antagonista che, seguendo Giovani si diventa, è il vecchio-vecchio (cioè Ben Stiller), sconfitto dal nuovo vecchio, Jamie Massey (cioè Adam Driver). Il nuovo vecchio guarda film in VHS e apprezza – giustamente - I Goonies e al contempo Quarto potere. Il nuovo vecchio veste da vecchio e, come un vecchio, inveisce contro i ciclisti maleducati. “Il vecchio non è più un morto, ma un modo di esistere”, annota Sgalambro ripreso ora da me in modo assolutamente a cazzo e gratuito e solamente per far vedere che ne so un casino. Ma a scrivere con un libro sotto al naso ci sono capaci tutti.

Nel mentre Naomi Watts si dimena col hip-hop e Amanda Seyfried cerca di adattarsi come può, in modo tutt’altro che inconsistente nonostante lo spazio esiguo che Baumbach lascia al femmineo. Amanda Seyfried mi ricorda un gatto ed è per questo che mi sta simpatica. Ma non solo. In qualche modo nella mia mente malata ho associato una certa e inquieta raffigurazione dell’assenza nel suo personaggio. E non nel senso che la Seyfried faccia pena – per me fa semplicemente quello che deve fare e lo fa anche bene – ma in un senso che ora non ho manco voglia di mettermi a spiegare che tanto tra qualche anno sarò morto. Quindi, Giovani si diventa ha una prima parte alla film di Judd Apatow. Si passa poi ad una seconda parte che affronta a suo modo una tematica non così banale o già sentita altrove, ossia il compromesso in ambito artistico o culturale nonché il senso del vero nel documentario. Da qui poi si finisce con l’osservare che il giovane (vecchio) Jamie Massey non sta facendo nulla di orrendo. Non sta propriamente mentendo, sta modificando, prende scorciatoie ma non corrompe la verità dei fatti. Diciamo solo che la adatta alle tempistiche della contemporaneità. Usando una espressione stra-abusata nelle gare di rutti, la iuvenilis redundantia torna ad appiccarsi a chi dovrebbe esserne ormai spogliato: l’adulto. Or bene, l’esempio migliore di come le cose invece dovrebbero essere all'interno della lotta con l’età lo dà il personaggio interpretato da Adam Horovitz, colui che nei Beastie Boys interpreta Ad-Rock. Un uomo che non pensa a tornare di nuovo giovane, un uomo per il quale è sufficiente nonché esteticamente importante riportare il cd dei Wilco (l’album Yankee Hotel Foxtrot) al suo posto, nella custodia. Insomma, andando alla ciccia di questa non-recensione un pochetto scadente, Giovani si diventa non è di sicuro un film bellissimo ma neanche e per fortuna aspira ad esserlo. Ma non è neanche un filmetto da annotare e salutare con una pernacchia. Ha una sua dignità, è girato molto bene (mi piacerebbe citare alcuni momenti di ottimi movimenti di macchina ma non ne ho voglia) e racconta una questione non sciocca o sentita così tanto spesso. È quindi parlandone bene che ora mi congedo per andare, in allegria, a balzare in sella della mia bici da hipster: la tazza del cesso. Il vero prototipo di maschio metropolitano è sempre stato in fin dei conti il wc-ster, e dopo questa battutona credo di poter dire di esser entrato in Enrico Brignano.

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