ANOMALISA di Charlie Kaufman e Duke Johnson (2015) Erezione in piccolo

Ad un certo punto, tra il VI e il V secolo a.C. il simpatico mondo dell’arte figurativa visse un cambiamento epocale. Una di quelle cose che generalmente viene definita rivoluzione. Orbene, quale incredibile rivoluzione avvenne nella Grecia arcaica? Sopraggiunse saltellando nei pressi del 500 lo stile severo. Da cosa si riconosce lo stile severo? Dal fatto che la statua si muove. Non che se ne vada a spasso per il museo, semplicemente viene a spezzarsi il parallelismo del corpo. Non abbiamo più un omino LEGO rigido e sorridente ma una figura che dà l’idea del movimento grazie ad una soluzione elementare: l’avanzamento in avanti della gamba destra. Non solo, anche la testa tende, geograficamente, a destra. Il movimento segnala un prima e un dopo. Il movimento, la sua illusione, dà così modo di raccontare una storia. Altro aspetto considerevole è la perdita del cosiddetto “sorriso arcaico” in favore di un qualcosa che a noi oggi appare elementare, ossia l’apertura della bocca. Come è nata questa rivoluzione e chi ne è l’artefice? Come si ha modo di leggere in Fidia – L’uomo che scolpì gli dei di Massimiliano Papini, il dibattito è acceso ma forse la risposta più accreditata dà il merito ad una nuova onda sociale e politica. In altre parole fu, forse, un conseguente fatto di costume in seno alla democrazia di Clistene. Il consenso della élite lasciava posto a quello del demos. A ciò vanno ad aggiungersi nuove concezioni corporee a seguito di speculazioni “sulle leggi della natura”. Scappellata questa cappella e tralasciando le dinamiche extra-figurative in loco allo stile severo, appare quanto mai interessante la neo-discettazione sull'umano riutilizzando ciò che all'epoca di Fidia spaccava di brutto: l’arte figurativa. Il raccontare l’umano con dei finti esseri umani. Il raccontare il lato più marcatamente umano attraverso omini alti due mele o poco più. Omini impreziositi con tutti i crismi da mani artigiane abili come quelle di Poltronesofà, gli artigiani della qualità, c’è tempo solo fino a domenica. Chissà cosa ne avrebbe detto Eschilo dei pupazzi di Anomalisa giacché, pare, proferì aspri dubbi sulle curate statue moderne in confronto alle più veritiere e cool statue antiche. Troppa tecnica e poca sostanza. Bè, posso dire che per alcuni aspetti il paffuto Eschilo dicendo male di Anomalisa non avrebbe toppato in toto. 
Da dire che Charlie Kaufman a me piace assai. Mi piace il suo modo di vedere gli umani, mi piace il suo modo di portarli allo scoperto, mi piace il suo gusto nello scegliere i vestiti, mi piace quel suo naso che si intona con il mondo, mi piace il suo sedere così rotondo. Insomma, condivido molto del suo punto di vista. Tuttavia o soprattutto per questo Anomalisa mi ha lasciato oltremodo perplesso. L’umanità di Anomalisa è sostanzialmente spregevole e irritante. Michael Stone, il protagonista, è un individuo spregevole ed irritante. In un modo assai inquietante (quanto il mio eccesso di avverbi) Michael Stone mi ha ricordato me. Eccetto per la sua austerità e il suo rapporto col sesso, ho visto in lui tratti di me. Anche a me capita di rinchiudermi in un guscio inebetito e anche a me capita di avere una visione così fredda dell’essere umano e dell’intersoggettività. Più invecchio più questa peculiarità si fa senza rimedio. Penso comunque – ma non ci credo moltissimo - di potermi salvare e di poter sì essere ugualmente triste e “vittima” ma vivendo dinamiche meno tetre. Come dice Rocky, se io posso cambiare e voi potete cambiare, tutto il mondo può cambiare. Ragion per cui mi piace assai Lost in translation, ragion per cui vorrei ritrovarmi ad essere un giorno quel personaggio di Bill Murray. Scazzato, magari cinico ma non con i folletti dell’odio a penzoloni sullo scroto. Non una persona che vive ormai come se fosse arrivata la sua ora o che teme che da un momento all'altro possa venirgli un micidiale attacco di panico. In tal guisa, Anomalisa è una versione oscura di quel bel filmetto di Sofia Coppola. Un uomo in un albergo incontra una donna, solo che Michael Stone non è Bill Murray. Michael è uno che sì non ha perso totalmente il senso dello stupore né la voglia di conoscere l’altro, ma è ormai troppo contaminato da se stesso per aprirsi alle possibilità. Se all'inizio possiamo anche tifare per lui (senza vedere nella sindrome di Fregoli un mero pretesto) e se possiamo – in qualche modo – trovarlo meritevole di attenzione, con il proseguire della vicenda è lui medesimo ad apparire conforme alla massa, ad esser massa. A mio modo di vedere, in Anomalisa più che l’umanità a predominare è un qualcosa di banale come il desiderio unico di inzuppare il biscotto. Citando l’autore del cuore - o del culo, a seconda dei punti di vista - noto come Massimo Gramellini, “Il sesso è l’unica magia di cui disponiamo per cambiare la realtà”, parole da scolpire nella memoria di tutti, come gran parte delle cose che lui teneramente scrive. A tal riguardo rinvio a qui una serie di mie considerazioni cattive cattive e gratuite su Minimo Gramellone. 
Ora, non nascondendo il fatto che per me Gramellini è tra i figli culturali di una società che fa del sentimento una struggente letteratura (e che in un modo francamente osceno arriva ai vertici delle classifiche, peggio di lui c’è solo l’inossidabile Fabio Volo), l’idea del “sesso magico” mi fa abbastanza cagare. “Il sesso è l’unica magia di cui disponiamo per cambiare la realtà e mettere in moto quei meccanismi inconsci che possono condurre le persone dove non avrebbero mai creduto di andare”, così bofonchia tutto soddisfatto Gramellini ed io già me lo immagino mentre lui esercita la sua magia. Mi dà l’idea di uno che ci dà dentro alla grande, sudato, rosso in viso e con in pochi capelli increspati sulla nuca. “Oh, sììì, fammi esercitare la magia”. E mentre scrivo questo mi scuso e ringrazio la mia ragazza che sta scrivendo per me or ora (santa pazienza), giacché quanto scritto qui glielo sto dettando comodamente steso per terra. Dicevo… Gramellini e la magia del sesso. In Anomalisa ritroviamo cotale medesima ottica. Abbiamo una lei (con la voce di Jennifer Jason Leigh) che, poverina, abbocca alle parole del suo idolo super-intelligente. Una lei capace di spogliarsi, a dispetto di lui, senza doversi per forza togliersi i vestiti. Una lei assolutamente adorabile nella sua (e qui cado in un gramellinismo) fragilità. Io la guardo e penso: è lei che avrei voluto vedere. È lei che avrei voluto mi si raccontasse. Non quell'idiota di un vecchio adolescente dal cazzo facile. L’anomalia di Anomalisa è che purtroppo non ci dà modo di avvicinarci ulteriormente a Lisa.

Come si potrebbe dire di Lévinas (Inclinazioni by Adriana Cavarero), in Anomalisa vi è un’esaltazione della rettitudine, vi è una scrittura che segue l’asta del pene ignorando il potenziale dell’inclinazione, cioè il potenziale di ciò che non è eretto. Il Michael di Anomalisa è un individuo scrupolosamente levinassiano. Un uomo il cui io si materializza, si forma, nel godimento virile ed eretto. Un io per il quale la donna è un caldo luogo di accoglienza, un luogo che non deve necessariamente avere un volto: basta che tenga caldo. Citando Derrida nel suo saluto a Lévinas, Michael Stone costituisce, in tutta la sua erezione godereccia, una “iperbole androcentrica”. Il suo è un io totalmente (totalitariamente) solipsistico. L’io di Michael (come l’io di Lévinas) utilizza la sessualità, il sesso con l’altro, con l’unico fine di non precipitare troppo in se stessi. Un mezzo. L’altro in tal funzione può anche non avere un volto, basta che abbia un buco. L’amata – per Michael e per Lévinas – è un’impersonale, un anonimato animale. Lisa si fa via via più invisibile, non offuscata dalla luce dell’alterità ma assorbita e consumata dalla luce divina dell’io androcentrico di Michael, quella luce che ad un certo punto si impone sul volto di Lisa. Forte permane poi il dubbio irritante che l’erezione generale possa nascondere anche un riversamento di seme. Una fecondità atta a glorificare ancora una volta il maschio. Gran premio della giuria a Venezia, Anomalisa, si sarà capito, non mi ha convinto per niente. Non fosse per il grazioso ed impegnativo stop-motion arriverei anche a pensare che è un film falsamente tormentato. Propina sulla carta cose quali la crisi di coppia, la coppia, il dolore insito negli animi creativi, l’anima gemella e tutta una serie di temi universali e bla bla bla. A ben guardare invece si rivela un film non brutale ma bruttino. Non tanto un film cattivo o cinico ma un film odioso nel suo volerlo sembrare. In ballo non vi è l’atroce essere abbandonati a sé stessi e le paturnie esistenziali ma la mera, squallidamente adamantina, ricerca dell’ove infilare un cazzo.

Commenti

Post popolari in questo blog

MUKHSIN di Yasmin Ahmad (2007) Il mondo sopra un albero

NYMPHOMANIAC di Lars von Trier (2013) Plateau orgasmico

BOJACK HORSEMAN di Raphael Bob-Waksberg (2014) Foto di gruppo con cavallo