A DIRTY SHAME di John Waters (2004) Passami il petting
È una bellissima giornata di sole e tutto intorno echeggia la soave Sylvia della David Raksin Orchestra. Prati irrorati, casette immacolate, uccellini canterini, linde auto parcheggiate nei vialetti. È la perfetta mattinata americana in Harford Road, in quel di Baltimora. Con passetti guizzanti e gioiosi avviciniamoci alla cucina di Sylvia Stickles. Appropinquiamoci discreti e sì, eccola lì, Sylvia: è ai fornelli che prepara la tipica colazione americana. Turbati notiamo un certo cipiglio nel suo sguardo, quale lutulento inghippo interpola la sua mente? Poco male, giacché ecco sbucare Vaughn Stickles, l'amorevole marito. Lui saprà come far ritornare il sorriso e la spensieratezza alla pensierosa Sylvia? Lo farà? Sì? No. Vaughn Stickles ha solo una voglia tremenda di inzuppare il biscotto, farsi una cavalcata, foggiare calde e avvolgenti labbra, tubare, scopare, possedere, sbatter lo scroto, far udienza in cappella. Il suo alza bandiera reclama Nazione o quantomeno territorio coloniale. Ma, povero lui, viene respinto malamente da Sylvia. Che fare se non spararsi l'ennesimo solitario pippone? Or dunque e ben donde, nei pochi secondi iniziali siam già dentro il succo di quest'ultimo - ad oggi - film di John Waters. E siam al cospetto di un Waters tornato in modo più marcato nei toni e nelle tematiche a lui più congeniali: le pruderie sessuali come strumento di liberazione dall'ibernazione bigotta, il tutto condito con il suo simpatico senso per il disgusto o meglio il suo buon cattivo gusto. Un delizioso ritorno alle origini in un mondo certamente mutato, se si pensa ai vecchi tempi delle allegre mangiate di merda. Scandalizzare ormai non è così facile e, anzi, potrebbe anche risultare faccenda banalotta e infatti più che ricerca dell'eccesso come input di sociale liberazione questo A Dirty Shame è una sorta di divertente e a tratti malinconica incursione fichtiana nel mondo del sesso. E dico fichtiana senza alcuna cognizione di causa. Lo dico a caso, giusto per dire qualcosa di figo. Fichtiana.
Sì, cioè, diciamo che un po' dovevo darmi quel tono aulico un po' a cazzo che fa sempre quel vedo e non vedo. E l'ho scritto anche perché nel film il rimosso è la chiave fondamentale. Senza fare spoiler basti dire che nei protagonisti di A Dirty Shame il sesso è un bisogno inconscio, represso, dimenticato. L'era glaciale. Pochi sono i beatificati dalla non auto-repressione, pochi sono coloro che vivono il sesso liberamente, senza muraglie anti figa e cazzo. Tutti gli altri (i neutri) sono come intrappolati in sé stessi da un altro sé stesso, da una negazione. E da qui i Negazione? No, perché il nostro caro Fichte tradurrebbe questo in modo più semplice, vale a dire che vi è una formina umana (un io auto-posto) da riempire come un bignè. Il fatto che l'io collochi sé stesso lo porta ad alienarsi da sé. Vi è come una estraneità da sé stessi in questa prima fase. Per porre me stesso devo in qualche modo essere distante da me stesso. Infatti, avviene che la betoniera che è in noi getta su quell'io (il bignè che avevamo posto) un altro io. Un io che è un superamento di quell'altro primo non io. Chiaro? No. C'è un bignè da riempire con tanta bella crema gustosa. Il bignè è l'io che si è auto-posto e la crema è un io più consapevole di sé rispetto al bignè, è un io che attua un superamento. Un superamento che deve necessariamente poggiare su quel primo non-io.
Detto in parole più spicce: tutti i lavori decenti devono avere una base solida. Le nostre belle case sono rette da strutture che generalmente non vediamo: le basi, i cavi, i tubi, etc. Una casa lasciata con lo scheletro può chiamarsi casa? No. Eppure lo è. Sta in piedi, può funzionare ma non è ancora casa. La casa, l'identità casa si aggiunge dando il corpo alla casa e quel corpo si struttura grazie alla non-casa precedente. Sembra un casino? Spero di no ma credo di sì. Per chi ha visto il film o per chi lo vedrà, l'elemento intrinseco è fondamentale o meglio, l'ho letta solo io così perché sono pazzo e perché passo le mie giornate nel nulla assoluto, solo e incompreso. Per Fichte, stando a quanto malamente detto, è il soggetto stesso che si possibilizza. È questo il cardine. Porre sé stessi significa dar possibilità d'essere al vivere. Nel film di Waters una modalità bislacca ma funzionale di porre sé stessi è documentata molto bene. Allo spettatore lo scoprirla. Fichte a parte, io a volte mi sorprendo di come una cosa come il buco del culo possa essere osceno. Spogliato il buco dal suo contesto nonché dalla sua connotazione fecale e sessuale ciò che rimane è un mero buco, perlopiù tappato. Come ho probabilmente detto altrove il buco del culo è un bacio chiuso. È il punto centrale del nodo di un palloncino. Di per sé non ha nulla di particolarmente rilevante e allo stesso tempo ha un che di sacro. Il buco del culo non è per tutti: chi lo dà non lo fa a caso. Questo perché è sì passivo ma è anche molto attivo. È un concedersi totale. Ma poi io, che ne posso sapere di culi?!
Celato dalle natiche, il buco è una bizzarra forma di tabù. Dal buco esce la cacca, nel buco a volte entra un pene, dal buco a volte esce un peto. Merda, sesso e risate. Questo in definitiva è il buco del culo. Quale altro luogo corporeo riassume codesti eventi? Possiede quindi in virtù di queste forze e sforzi contrastanti un qualcosa di privilegiato. Privilegiato e strettamente privato. Io mi vergognerei di mostrare il mio buco. Così come mi vergognerei della mia merda. Eppure è successo. È successo sia che mi cagassi addosso (per via di eccesso alcolico, fegato zoppicante, merda andante) ed è successo di mostrare il mio buco del culo; necessariamente e involontariamente durante gli atti sessuali. Per, dire per quanto riguarda i rapporti eterosessuali una posizione come il 69 si presta alla visione del buco del culo (trovo sempre buffo chiamarlo così). Imbarazzante il sapere di esser stato visto lì, nel mezzo. Io, per capirci, avrei qualche difficoltà a guardarmi volontariamente il buco. Mi imbarazzerei di me stesso. La verità intima, come direbbe Bataille, il quale poi aggiungerebbe: “È dunque sotto forma di possibilità maledetta, condannata - sotto forma di peccato - che la verità intima perviene alla coscienza.” Okay, perdona ora questa digressione anale ma sentivo di doverlo dire. Così come è chiaro che quel che per me è l'intimità maledetta del buco del mio culo, per i neutri di A Dirty Shame è il sesso palesato a costituire indecenza. L'ottica è la stessa. È strano come le cose diventino indicibili, come il sesso diventi discussione e morale. Waters, sopra tutto questo ci ride (e non solo) sopra. O meglio ride con noi. Una risata sul volgare che è una risata, alla fin fine, sul non volgare. La volgarità è nei neutri, non negli erotomani. Ed è altresì bello il modo in cui lui tiene a ribadire il concetto inserendo qua e là scritte innanzi alla azione del film (casomai le cose non ci fossero chiare). È palese la sua voglia di dire: “Vivi tranquillamente la tua sessualità!”.
Sempre se ti va di viverla la sessualità, ovviamente. E con questo non voglio star qui a parlare della mia sessualità ma ci tengo intensamente a dire che non tutti gli uomini ragionano con l'uccello. Se c'è una ragazza che mi piace non penso subito Questa qui me la farei o se vedo un bel culo a passeggio non penso Ti vorrei spremere. Non penso in termini sessuali quando una cosa mi piace o mi attira. E non sono il solo. Come me ci sono molti graziosi uominidi. Da bambino ero molto arrapato e probabilmente pensavo in termini di pene, quando poi utilizzav... A Dirty Shame. John Waters quindi. Erotomani e neutri. Un film che potrebbe piacerti. Sì, con quella vera e propria guerra tra chi ricerca la vittoria della carne e chi la salvaguardia della decenza nonché dello Spirito. Da che parte si porrà la dolce Sylvia? Seguirà le ragioni della madre e dei neutri o quelle degli erotomani? Prevenire la fornicazione o inglobare nella propria esistenza il cunilingus? A te spettatore scoprirlo, avventurandoti nel colorato mondo di Waters, facendoti accompagnare tra l'altro da un cast di tutto rispetto. A partire da una scatenata Tracey Ullman (una stappa bottiglie nata) e a seguire da un aderente Johnny Knoxville - il santo del sesso -, e poi da un simpatico Chris Isaak e poi ancora da una esplosiva Selma Blair. Una donna che avrei voluto come fidanzata dei tempi delle medie, lei, Selma Blair che in questo film interpreta non la mia ex fidanzatina dei tempi delle medie ma una figlia frustrata. Bloccata dal non dar sfogo alle proprie benemerite pulsioni nonché limitata dal suo non dar luce e spazi alle sue enormi tette. A Dirty Shame potrebbe piacerti e se non fosse così va bene lo stesso. Tuttavia, chissà che a visione ultimata, alleggeriti dal peso del peccato e stimolati dalle stimolazioni, non ci si possa un pochetto... Come dire, non ci si possa un pochetto trastullare con un funch o gioire di uno starnuto nei cavoli.
Commenti
Posta un commento