12 ANNI SCHIAVO di Steve McQueen (2013) Esco a comprare le sigarette, torno subito

In alcune aree dell'Atlantico gli spostamenti migratori degli squali seguono una rotta ereditariamente trasmessa, la rotta delle navi negriere. Il motivo lo si deduce facilmente: quattro secoli di traffico di schiavi e dieci milioni di africani morti prima ancora di giungere nella cosiddetta civiltà, gettati in mare senza troppe cerimonie. Morti ancora prima di esser protagonisti di quel commercio triangolare che partiva dall'Europa, arrivava in America e ritornava in Europa. Il loro sangue aveva tracciato una linea invisibile, ormai ereditata dai movimenti dei pescecani. La cancellazione dell'umano e la sua trasformazione in “cosa”. Atleti di Cristo, così il cattolico Ferdinando di Aragona chiamava gli schiavi. Uomini-oggetto al servizio del commercio. Nessuno si tirava indietro innanzi ai profitti, neanche le menti più illuminate. Voltaire diede il consenso affinché una nave negriera portasse il suo nome, John Locke investì denaro nella compagnia resa famosa dal suo marchiare a fuoco i propri schiavi*. “Adatto per stare al servizio di un gentiluomo; il tutto in vendita assieme a una mucca con vitello”, così si leggeva di un tredicenne nel Constitutional Journal di Boston del 4 luglio 1776.** Or bene per poter un minimo intuire la portata alienante e orrorifica di questa parte di Storia, ecco 12 Anni Schiavo e la vita di Solomon Northup. Ovviamente astenendomi dagli spoiler o da fastidiose sinossi di sorta posso di certo dire che... Figlio di un ex schiavo (il cognome Northup altro non era che quello del capitano Henry Northup, proprietario del padre), Solomon Northup era un uomo libero; sposato con Anne Hampton - tra le altre cose abilissima cuoca - e padre di due bambini nonché violinista. Uomo libero, libero fino a quando attratto per inganno (come Pinocchio col Gatto e la Volpe) da un'offerta di lavoro si ritrovò ad essere venduto come schiavo e a narrare poi (un poi lungo dodici anni) la sua storia nel libro omonimo.
Steve McQueen è una delle realtà più corpose (a prescindere dalla sua mole) di questi ultimi anni cinematografici. Esordisce col botto con Hunger. Prosegue con un altro acclamato film (seppur per me inferiore al precedente), Shame ed ora eccolo ritornare con questo 12 Anni Schiavo. Che film è 12 Anni Schiavo? Un film che a visione ultimata lascia, come dire, un silenzio. Atterrito dalla lordura che l'essere umano è in grado di allestire vorresti uscire fuori all'aria aperta e credere in qualcosa di positivo giacché nello sfondo dei titoli di coda permangono ancora rabbia, nausea e senso di impotenza. La rescissione, ossia l'annullamento, al quale si è assistiti travalica lo schermo. La testimonianza in veste cinematografica suggerisce quello che per noi, appollaiati nelle comode poltrone, è una realtà inimmaginabile. Empaticamente intuibile ma inavvicinabile. McQueen ci prova e non fallisce. Ci spinge letteralmente oltre il fogliame e ci apre pian piano le porte. Abilissimo nella gestione del mezzo cinematografico, magnifico nel punteggiare la narrazione con flashforward e commistioni di voci-immagini, McQueen dà al suo film un'impronta autoriale. In che senso? Nel senso che questo è certamente un film mainstream e quindi distante ahimè dai suoi due precedenti lavori ma è anche una pellicola che non rinuncia al tocco intelligente del suo autore. Anzi, si deve quasi soprattutto all'occhio del regista il non franare in un pacchetto bello sì ma classico. Complice del classicismo lì all'angolo è probabilmente anche il fatto che questo è il primo film di McQueen non sceneggiato da McQueen stesso; la qual cosa a giudicare da Hunger e da Shame non è poco.
Un incubo. Un incubo lungo poco più di due ore. Impreziosito dalla mano di un regista sapiente. Le sue immagini, il modo capace con il quale governa il mezzo cinematografico, parlano più di ogni altra cosa. La sua macchina da presa accompagna in modo poetico e spietato. Non ci sono vie di fuga, non ci sono sostegni stabili. C'è solo il dileggio e la sopraffazione. C'è solo l'ignoranza e la crudeltà. E nasce la volontà di rispondere all'odio con l'odio, di rispondere alla violenza con la violenza. E poi ecco che Steve McQueen non fa – giustamente - nulla di questo ma ti propone un canto gospel. Una canzone del popolo del blues e del jazz. E lì è concentrata tutta la forza e la bellezza di esseri umani stuprati. Lì, si infiamma la loro volontà di esistere nonché l'ormai innegabile talento di McQueen. Un talento che fa spiccare il film e che lo rende struggente pur, come detto, nell'esser il suo film meno caratteristico. Meno mcqueeniano, se così si può dire anche se mi suona malissimo. Nonostante questo esser pellicola che vira nettamente nel classico (narrativamente parlando), l'occhio di Steve McQueen è... Come dire... Poesia taurina, se mi si passa l'espressione. È cioè vigore e delicatezza.
Non bastasse la genialità del suo autore 12 Anni Schiavo ha poi dalla sua un cast, come si suol dire, ben assortito. Dall'ormai attore cosiddetto feticcio Michael Fassbender (qui forse meno pregnante del solito ma comunque ad avercene) a Paul Dano (davvero ottimo), a Benedict Cumberbatch (suo il ruolo più inquietante), a Paul Giamatti (diegeticamente fa un po' male vederlo in quella parte), a Brad Pitt. Ma soprattutto Chiwetel Ejiofor che nel silenzio, con il volto ci dice tutto. E poi ancora nonché ulteriormente Lupita Nyong'o, che interpreta la schiava Patsey. Lei è la vera scoperta del film. Regista keniota qui alla sua prima prova d'attrice in un lungometraggio, Lupita Nyong'o non solo è figa ma è bravissima. E poi ancora, non trascurabile, c'è la calligrafia sonora di Hans Zimmer che delinea il tutto con una intensa composizione, decisamente tra le migliori da lui recentemente scritte; aggiungi a ciò il fatto che io non ci capisco una mazza di musica. Insomma, al suo terzo film Steve McQueen non inciampa. Si allontana sì da quello spessore particolare delle sue pellicole precedenti ma lascia ugualmente il segno. 12 Anni Schiavo non è il suo film migliore ma rimane, resta ed è un gran film. Un gran film che credo ad una seconda visione non solo manterrà invariato il parere ma potrebbe anche mutuarlo in un positivo ulteriore. Positività che a film terminato uno in effetti vorrebbe andare a cercare. Tipo, andare al parco, guardare tua figlia che dorme nella culla, giocare con le macchinine. Oppure puoi anche ripartire e spararti Free State of Jones, altro film di schiavi. Film anche quello classico nella struttura ma ugualmente sentito. E ora senti qua: ci si vede alla prossima.  

*Schiavi e negrieri, commercio infame di Fabio Galvano da un articolo apparso su Specchio della Stampa - 14 marzo '98. 

**Storia dei neri d'America di Walter Mauro

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