IT di Andrés Muschietti (2017) Stiamo stretti


Lessi It nell’estate tra la quarta e la quinta elementare (e l’estate è una stagione abbastanza singolare). Fu un romanzo che segnò parecchio la mia adolescenza ma anche il mio approcciarmi alla scrittura. It è uno di quei libri che, se possibile, non vanno letti da adulti. L’età cosiddetta matura è quella in cui il tempo può spegnere in modo assai completo il proprio senso dell’immaginario. Ecco quindi che la prima vera e propria rappresentazione cinematografica del capolavoro di Stephen King, una volta annunciata, era attesa con speranza e terrore. Si può raccontare per immagini un romanzo che si addentra nelle piccole ed enormi paludi dell’animo di un bambino? Si può riuscire a costruire in 135 minuti una interazione credibile di sette distinti personaggi? Per non parlare poi della domanda delle domande: si può riuscire a ricreare Pennywise? È con un sospiro di sollievo che finalmente posso (perlomeno il sottoscritto) rispondere di sì. Un sì con delle riserve ma comunque un sì. Il tanto temuto film di Andrés Muschietti (arrivato dopo il poco incoraggiante abbandono del Cary Fukunaga di True Detective) supera la difficile prova. A giudicare dai pettegolezzi, la versione di Fukunaga sarebbe dovuta essere meno soft, tuttavia l’It di Muschietti verte su uno spettro probabilmente più interessante, ossia il sottointeso. Il mostrare troppo - quello che sulla carta appare invece terribilmente sensato – avrebbe potuto creare un effetto eccessivamente grottesco se non persino gratuito. Chi ha letto il romanzo conosce i momenti estremi della vicenda (uno su tutti) e anche quelli non narrativamente forti ma a rischio caricaturale. Muschietti si distanzia dal mostrare (eccetto la sorprendente parte iniziale) e si concentra più sul piccolo. Questo rende It un film molto particolare e anche non esecrabile.

Si sa che il Re e il cinema non hanno mai avuto dei buoni rapporti, anche perché molte delle sue parole conclamano un lato sottile, un lato sottile espanso per tutto il tempo che un pensiero può richiedere. Il cinema ha bisogno invece di concause di una natura specifica: il vedere. Vedere It (il personaggio) è già perderlo, in qualche modo. Il perturbante nel romanzo di King ci coinvolge in un modo praticamente impossibile da rappresentare. E quindi la sfida è persa in partenza? No. L’It cinematografico fa – per fortuna e giustamente – un qualcosa non dissimile da un meta-editing (se mi si passa questa orrida espressione). Muschietti lascia intatti i passaggi fondamentali ma li ricostruisce allo stesso tempo. In tal modo, molti dei lembi fondamentali che caratterizzano la vicenda del romanzo svaniscono, ma è giusto che sia così. Il libro poteva ben donde prendersi il tempo di farci comprendere Derry, quell’oggetto-soggetto comunitario il cui archetipo ne segnava la sopravvivenza. Muschietti può solo accennare a quella cosa che è Derry e per farlo utilizza pochi personaggi (si veda il farmacista). Anche i Barren non possono – purtroppo - trovare il medesimo spazio che hanno nel libro, anche se va detto che Muschietti rimedia regalando una breve sequenza che unifica il luogo dei Perdenti e i Perdenti. Una unificazione sufficiente a farci comprendere la nascita del gruppo (inserendo una sottigliezza che solo chi ha letto il libro può cogliere). It, il film, sintetizza quindi It, il romanzo. Una sintesi che può lasciar spazio all’aspetto più importante: i protagonisti. Già, perché sono loro – gli attori e le caratterizzazioni – a rendere il film riuscito. Il gruppo dei sette Perdenti è così ottimamente riuscito da mettere in secondo piano il loro nemico. Come direbbe il Nietzsche in Al di là del bene e del male, i Perdenti sono “amici della solitudine”. Amici uniti da un segreto ma anche dal loro silenzio. Silenzio che – ancora seguendo Nietzsche – senza il quale non vi sarebbe respiro. Un accordo, una complicità, giacché “le parole che gli amici si scambiano sanno trattenere il silenzio”. I personaggi che riassumono bene questa forma d’essere in-comune sono Ben e Beverly. E a proposito di Beverly, non credo si potesse fare scelta migliore. Sophia Lillis è probabilmente la Beverly Marsh migliore che si potesse scegliere. Lei è semplicemente fantastica in quel ruolo. Grazie quindi caro Muschietti per non aver rovinato un personaggio come lei. E grazie anche per averci dato un Richie Tozier come Finn Wolfhard.


E It? Come detto nel film accade qualcosa che va a ridosso dal fallimento, e questo è il felice connubio tra il gruppo di ragazzi. Personaggi così adeguatamente scritti da far arretrare It. Bill Skarsgard fa sicuramente un ottimo lavoro (vedi il suo non semplice esordio nello scarico dove gli tocca essere amichevole e spaventoso) ma sono soprattutto i Perdenti a valorizzarlo. Così come sono i Perdenti a valorizzare gli altri cattivi, nonché quel personaggio bullo-maschio-alfa che conosciamo bene e che purtroppo il film perde troppo di vista, rendendolo quasi inspiegabile. Sì, in qualche modo il difetto del film e lì dove dovrebbe avere più mordente (è il caso di dirlo), ossia nella rappresentazione del lato oscuro. Per dirla alla Virgilio, le ombre dei morti non trovano sufficiente giustizia. Ecco perché sarebbe stato meglio prolungare ulteriormente la durata del film. Va bene il suggerire la fame di Pennywise ma abbozzare le crepe di Henry Bowers e quelle di Mike Hanlon risulta alla fine un vero peccato. Questo, ribadisco, non rende It un film deludente. Anzi. Muschietti sforbicia questioni che in effetti è stato giusto eliminare. Nel romanzo il campionario di tutti i mostri possibili immaginabili può certo funzionare, ma in un’epoca ormai “emancipata” come questa un mostro in meno non toglie ma aggiunge, dà spazio. Dà spazio alla nascita dei Perdenti e a quel loro rapporto per la cui unione è sufficiente un tuffo o una stretta di mano o anche un piccolissimo sguardo. Poesia? In fondo sì. E anche una tenue metafora dell’abbandono, dell’elaborazione di una perdita. Perdita di affetti, perdita di cose mai avute, perdita di una età. Era da molto che non si vedeva una trasposizione decente di un romanzo di Stephen King, figurarsi metter mano ad un’opera dell’adolescenza come It. Non era impresa facile ma Andrés Muschietti ci è riuscito. Okay, non mancano i difetti (il trabocchetto stancante della musica che si alza e della figura che appare: basta!) ma sono decisamente di più i pregi. Senza mai dimenticare che stanno stretti sotto i letti, sette spettri a denti stretti.

Commenti

  1. It andrà anche letto da bambini, ma io non ce l'ho proprio fatta. Già sono rimasto traumatizzato dalla versione televisiva del 1990...
    A dirla tutta, ho paura di leggerlo pure adesso. :)

    Non potendo fare il confronto con il libro, io comunque sono rimasto più che soddisfatto dal film. I Perdenti lo portano alla vittoria. Chi l'avrebbe detto? :D

    RispondiElimina
  2. Anche io sono rimasto traumatizzato dalla versione degli anni Novanta, ma perché l'ho trovata orrenda. Una delusione cocente che ancora oggi ricordo, nelle notti insonni, tra la nebbia e la tempesta. E concordo, in questa versione cinematografica i perdenti vincono alla grande.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

NYMPHOMANIAC di Lars von Trier (2013) Plateau orgasmico

IL CINEMA D’ISOLAMENTO (cioè , per chiudere, 10 film da vedere... da soli)

FAI BEI SOGNI di Massimo Gramellini (2012) L’incubo di un caso letterario